medioevo arrosto 2 Fleisch_braten_mit_Schinkenspeck_nach_altpolnischer_Art,_Sanok

Per fare ogni bello arrosto, Maestro Martino da Como 1450-60

Arrosto di carne con pancetta, Trzcinica – Festival Archeologico – La Cucina dell’Alto Medioevo (dal 476, all’anno 1000)

.Libro de Arte Coquinaria, 1450-60maestro martino

Capitolo I
Per dare ad intender qual carne merita andare arrosto et quale allesso.
Per cocer capponi, fasani et altri volatili.
Per haver ogni carne bella allesso.
Per fare ogni bello arrosto.
Per fare peperata de salvaticina.

Per dare ad intender qual carne merita andare arrosto et quale allesso.

Carne grossa di bove et de vacca vole esser allessa;
carne de vitello, zioè¹ il pecto davanti è bono allesso, et la lonza arrosto, et le cosse² in polpette.
Carne de castrone tutta è bona allesso, salvo la spalla, che è bona arrosto, et etiamdio la cossa.
Carne de porco non è sana in nullo modo; pur la schina³ vole essere arrosto quando è fresco con cepolle, et il resto per salare o come ti piace.
Carne di capretto è tutta bona allesso et arrosto; ma la parte de drieto è meglio arrosto. Similemente è l’agnello. Carne de capra è bona del mese de jennaro con la agliata⁴
De la carne del cervo la parte denanzi ˆbona in brodo lardieri⁵:, le lonze se potono far arrosto, et le cosse son bone in pastello secco⁶ o in polpette. Similemente è bona la carne del capriolo.
Carne de porco selvatico⁷ vole esser in peperata⁸, o in civero⁹, o in brodo lardieri.
Carne de lepore¹⁰ è tutta bona arrosta, ma la parte de drietoˆ è migliore, et la parte denanzi è bona in sapore, come è dicto.
Carne de coniglio è meglio arrosto che in niuno altro modo, et li lumbiˆ sonno la miglior parte di esso.
Carne di urso è bona in pastelli.

¹ᶻᶦᵒᵉ̀: ᶜᶦᵒᵉ̀
²ᶜᵒˢˢᵉ: ᶜᵒˢᶜᵉ
³ˢᶜʰᶦⁿᵃ: ˢᶜʰᶦᵉⁿᵃ
⁴ᵃᵍˡᶦᵃᵗᵃ: ˢᵃˡˢᵃ ᵃ ᵇᵃˢᵉ ᵈ’ᵃᵍˡᶦᵒ
⁵ᵇʳᵒᵈᵒ ˡᵃʳᵈᶦᵉʳᶦ: ᵇʳᵒᵈᵒ ᵖʳᵉᵖᵃʳᵃᵗᵒ ᶜᵒⁿ ᶦˡ ˡᵃʳᵈᵒ
⁶ᵖᵃˢᵗᵉˡˡᵒ ˢᵉᶜᶜᵒ: ᵖᵃˢᵗᶦᶜᶜᶦᵒ ᵈᶦ ᶜᵃʳⁿᵉ ˢᵉⁿᶻᵃ ᶦⁿᵗᶦⁿᵍᵒˡᵒ
⁷ᵖᵒʳᶜᵒ ˢᵉˡᵛᵃᵗᶦᶜᵒ: ᶜᶦⁿᵍʰᶦᵃˡᵉ
⁸ᵖᵉᵖᵉʳᵃᵗᵃ: ˢᵃˡˢᵃ ᵈᵉⁿˢᵃ ᵉ ˢᶜᵘʳᵃ ᵃ ᵇᵃˢᵉ ᵈᶦ ᵖᵉᵖᵉ, ˢᵖᵉᶻᶦᵉ, ᵐᵒˢᵗᵒ, ᵃᶜᵉᵗᵒ, ᵖᵃⁿᵉ ᵃᵇᵇʳᵘˢᵗᵒˡᶦᵗᵒ, ᵘᵛᵃ ᵖᵃˢˢᵃ, ˢᵃⁿᵍᵘᵉ ᵈᶦ ˢᵉˡᵛᵃᵍᵍᵍᶦⁿᵃ ᵖᵉˢᵗᵃᵗᶦ ᵃˢˢᶦᵉᵐᵉ, ᶜᵒᵗᵗᶦ ᵉ ᵖᵃˢˢᵃᵗᶦ ᵃˡ ˢᵉᵗᵃᶜᶜᶦᵒ.
⁹ᶜᶦᵛᵉʳᵒ: ᵖʳᵉᵖᵃʳᵃᶻᶦᵒⁿᵉ ˢᶦᵐᶦˡᵉ ᵃˡ ˢᵃˡᵐᶦ̀ ⁽ᵈᵃˡ ᶠʳᵃⁿᶜᵉˢᵉ “ᶜᶦᵛᵉᵗ”⁾
¹⁰ˡᵉᵖᵒʳᵉ: ˡᵉᵖʳᵉ

Per cocer capponi, fasani et altri volatili.

Cicerone¹, over cigno, ocha, anetra², grua³, ocha salvatica, airone et cicognia⁴ vogliono essere arrosto piene de aglio o cepolle⁵ et altre bone chose.
Pavoni, fasani, coturnici, starne, galline salvatiche, pedarelli⁶, quaglie, turdi, merule⁷ et tutti li altri boni ucelli vogliono esser arrosto. Pollastri arrosto. Pipioni⁸ son boni allesso, ma arrosto son migliori.
Palumbi⁹ salvatichi son boni arrosto, ma son migliori allesso con pepe et salvia.
Cappone bono vole esser allesso, et quando è ben grasso vole esser arrosto; similemente è la gallina.

¹ᶜᶦᶜᵉʳᵒⁿᵉ: ᶜᶦᵍⁿᵒ
²ᵃⁿᵉᵗʳᵃ: ᵃⁿᵃᵗʳᵃ
³ᵍʳᵘᵃ: ᵍʳᵘ
⁴ᶜᶦᶜᵒᵍⁿᶦᵃ: ᶜᶦᶜᵒᵍⁿᵃ
⁵ᶜᵉᵖᵒˡˡᵉ: ᶜᶦᵖᵒˡˡᵉ
⁶ᵖᵉᵈᵃʳᵉˡˡᶦ: ᵖᵉʳⁿᶦᶜᶦᵒᵗᵗᶦ
⁷ᵐᵉʳᵘˡᵉ: ⁿᵒᵐᵉ ˡᵃᵗᶦⁿᵉᵍᵍᶦᵃⁿᵗᵉ ᵈᵉᶦ ᵐᵉʳˡᶦ
⁸ᵖᶦᵖᶦᵒⁿᶦ: ᵖᶦᶜᶜᶦᵒⁿᶦ
⁹ᵖᵃˡᵘᵐᵇᶦ: ᶜᵒˡᵒᵐᵇᶦ

Per haver ogni carne bella allesso.

Chi vole haver bella carne allesso la deve dividere in pezi come gli piace, et porla a mollo in aqua fresca per spatio de una hora, poi lavarla bene con aqua calda, et poi iterum¹ con aqua fresca, et ponerla al foco in un caldaro dove non stia a stretto aziò² che rimanghi più bianca. Poi gli devi ponere el sale secondo che è necessario, et schiumarla bene sopratutto; et se il sale non fosse netto, ponilo in una pocha dacqua³ calda, che in breve spatio⁴ serrà dileguato⁵, et converso in salimora⁶ , la quale come sia rasectata⁷ se potrà poner nel caldaro pianamente, aziò che non ve andassi la terra, che serrà sul fondo; et se la carne fusse vecchia et dura, specialmente cappone et gallina, cavala parechie volte da l’aqua bollente, et rinfredala ne l’aqua fresca, et in questo modo serrà più bella et più presto cotta.

¹ᶦᵗᵉʳᵘᵐ: ᵈᶦ ⁿᵘᵒᵛᵒ
²ᵃᶻᶦᵒ̀: ᵃᶜᶜᶦᵒ̀
³ᵈᵃᶜᑫᵘᵃ: ᵈ’ᵃᶜᑫᵘᵃ
⁴ˢᵖᵃᵗᶦᵒ: ᵗᵉᵐᵖᵒ
⁵ᵈᶦˡᵉᵍᵘᵃᵗᵒ: ˢᶜᶦᵒˡᵗᵒ
⁶ᶜᵒⁿᵛᵉʳˢᵒ ᶦⁿ ˢᵃˡᶦᵐᵒʳᵃ: ᵗʳᵃˢᶠᵒʳᵐᵃᵗᵒ ᶦⁿ ˢᵃˡᵃᵐᵒᶦᵃ
⁷ʳᵃˢᵉᶜᵗᵃᵗᵃ: ʳᵃˢˢᵉᵗᵗᵃᵗᵃ

Per fare ogni bello arrosto.

Per fare bello arrosto de pollastri, de capponi, de capretti, o de qualunche altra carne che meriti esser arrosta: prima¹, se fosse carne grossa, fagli trare un boglio², excepto se fosse de vitello giovine, et poi lardala, come se fanno li arrosti; se fosse cappone, fasano, pollastro, capretto, o qualunchaltra³ carne, che meriti arrosto, fa’ che sia ben netta et polita, poi mettila in aqua bollente, et subito cavala fore, et ponila in aqua freda, et questo se fa aziò⁴ che sia più bella, et meglio se possa conciare; poi lardala, zioè⁵ con lardo bactuto, et altre chose convenienti odorifere⁶ onta⁷ bene, secondo el gusto del tuo signore; et drento se te piace gli poni de bone herbe con prune⁸ secche, marasche, et viscioli⁹ o, in tempo¹⁰, de l’agresto, et altre chose simile; poi mittila ordinatamente nel speto, et ponila al foco, et daglilo¹¹ nel principio ad ascio ad ascio, perché sia bello et bono arrosto se deve cocere pian piano; et quando ti pare che sia presso che cotto, piglia un pane bianco, et grattugialo menuto, et con esso pane mescola tanto sale quanto te pare necessario per lo arrosto; poi gitta questa mescolanza de pane et de sale sopra lo arrosto in modo che ne vadi in ogni loco; poi dalli¹² una bona calda¹³ de foco, facendolo voltar presto; et in questo modo haverai el tuo arrosto bello et colorito. De poi mandalo a tabula; quanto più presto, è meglio.

¹ᵖʳᶦᵐᵃ: ᵖᵉʳ ᵖʳᶦᵐᵃ ᶜᵒˢᵃ
²ᵗʳᵃʳᵉ ᵘⁿ ᵇʳᵒᵍˡᶦᵒ: ᵖʳᵉⁿᵈᵉʳᵉ ᵘⁿᵃ ᵇᵒˡˡᶦᵗᵘʳᵃ
³ᑫᵘᵃˡᵘⁿᶜʰᵃˡᵗʳᵃ: ᑫᵘᵃˡᵘⁿᑫᵘᵉ ᵃˡᵗʳᵃ
⁴ᵃᶻᶦᵒ̀: ᵃᶜᶜᶦᵒ̀
⁵ᶻᶦᵒᵉ̀: ᶜᶦᵒᵉ̀
⁶ᶜʰᵒˢᵉ ᶜᵒⁿᵛᵉⁿᶦᵉⁿᵗᶦ ᵒᵈᵒʳᶦᶠᵉʳᵉ: ᶦⁿᵍʳᵉᵈᶦᵉⁿᵗᶦ ᵃᵈᵃᵗᵗᶦ ᵃʳᵒᵐᵃᵗᶦᶜᶦ
⁷ᵒⁿᵗᵃ: ᵘⁿᵗᵃ
⁸ᵖʳᵘⁿᵉ: ᵖʳᵘᵍⁿᵉ
⁹ᵛᶦˢᶜᶦᵒˡᶦ: ᶜᶦˡᶦᵉᵍᶦᵉ
¹⁰ᶦⁿ ᵗᵉᵐᵖᵒ: ᵃˡ ᵐᵒᵐᵉⁿᵗᵒ ᵍᶦᵘˢᵗᵒ
¹¹ᵈᵃᵍˡᶦˡᵒ: ᵈᵃᵍˡᶦᵉⁿᵉ ⁽ᵈᵉˡ ᶠᵘᵒᶜᵒ⁾
¹²ᵈᵃˡˡᶦ: ᵈᵃᵍˡᶦ
¹³ᶜᵃˡᵈᵃ: ˢᶜᵃˡᵈᵃᵗᵃ

Per fare peperata de salvaticina¹.

Per fare bona peperata de capriolo, o lepore², o porco salvatico³, o daltra salvagina, piglia tanta aqua, quanto vino roscio⁴, et lavavi bene drento la carne; dapoi passa questa lavatura per la stamigna agiongendoli tanto sale quanto te pare necessario; et poni a cocere la carne in la dicta aqua et vino; et quando è cotta cacciala fora, et volendone fare duo piattelli, tolli una libra et meza de uva passa, et falla pistare molto bene, et togli altrettanto pane tagliato in fette brusculato⁵ bene sopra la graticula, et ben mogliato⁶ in bono aceto, pistalo insemi con dicta uva passa, et potendo havere del sangue, overo la coratella⁷de la salvagina, sarebe optime pestarla con queste chose, le quale ben peste se deve distemperare col brodo di questa carne, con un poco de sapa⁸, zioè⁹ vino cotto in mosto, et collaceto dove è mollato el pane; dapoi passa questa materia¹⁰ per la stamigna in una pignatta, giungendoli spetie, pepero, garofali et cannella, over cinnamomo, secundo te parrà necessario; et questa peperata¹¹ falla forte o dolce de aceto, et de spetie, secundo el gusto commune, o del tuo Signore.  Dapoi falla bollire per spatio de meza hora sopra la brascia¹², in modo che non habia più foco da una parte che dallaltra, menandola spesse volte col cocchiaro; dapoi frigi la carne predicta con bono lardo, et spartila¹³ ne li piattelli, et coprila de la prefata¹⁴ peperata la qual quanto è più negra, tanto è più bella.

¹ˢᵉˡᵛᵃᵗᶦᶜᶦⁿᵃ: ˢᵉˡᵛᵃᵍᵍᶦⁿᵃ
²ˡᵉᵖᵒʳᵉ: ˡᵉᵖʳᵉ
³ᵖᵒʳᶜᵒ ˢᵉˡᵛᵃᵗᶦᶜᵒ: ᶜᶦⁿᵍʰᶦᵃˡᵉ
⁴ʳᵒˢᶜᶦᵒ: ʳᵒˢˢᵒ
⁵ᵇʳᵘˢᶜᵘˡᵃᵗᵒ: ᵃᵇᵇʳᵘˢᵗᵒˡᶦᵗᵒ
⁶ᵐᵒᵍˡᶦᵃᵗᵒ: ʳᵃᵐᵐᵒˡˡᵃᵗᵒ
⁷ᶜᵒʳᵃᵗᵉˡˡᵃ: ᶠʳᵃᵗᵗᵃᵍˡᶦᵉ
⁸ˢᵃᵖᵃ: ᵐᵒˢᵗᵒ ᶜᵒᵗᵗᵒ
⁹ᶻᶦᵒᵉ̀: ᶜᶦᵒᵉ̀
¹⁰ᵐᵃᵗᵉʳᶦᵃ. ᶜᵒᵐᵖᵒˢᵗᵒ
¹¹ᵖᵉᵖᵉʳᵃᵗᵃ: ᶦⁿᵗᶦⁿᵍᵒˡᵒ ᵖᵉᵖᵃᵗᵒ
¹²ᵇʳᵃˢᶜᶦᵃ: ᵇʳᵃᶜᵉ
¹³ˢᵖᵃʳᵗᶦˡᵃ: ˢᵘᵈᵈᶦᵛᶦᵈᶦˡᵃ
¹⁴ᵖʳᵉᶠᵃᵗᵃ: ᵖʳᵉᵈᵉᵗᵗᵃ

 

 

Capitolo V

Per fare frictelle quadragesimale.

Per fare frictelle de fior de sambuco.
Piglia dell’amandole et pistale bene, overo di pignoli se più ti piacene, et (segue)

frittelle sambuco fiori fritti Hollerkiachal

 

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Festa a tema in stile Medievale con menù

Festa della Stagion Bona, Panzano in Chianti FI

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Palio delle Contrade, Fucecchio FI

 

 

 

 

 

 

liquore fiori sambuco cocktail

Torta con i fiori sambuco

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Sciroppo di fiori di sambucotorta fiori sambuco

Di Silar – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=33520556
Fave, Herbe e Fonghi alla maniera di Maestro Martino OSPREON Dei Legumi, Baccelli verdi di fave comuni e baiane, Apicio

Fave, Herbe e Fonghi alla maniera di Maestro Martino da Como

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Fave piene
Fave fresche con brodo di carne
Herbe con lacte d’amandole
Herbe senza lacte
Fonghi
Altro modo di acconciare gli detti fonghi
maestro martino
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 Le fave e la festa del 2 novembre:

Il 2 novembre, in tutto il mondo cristiano, è il giorno della commemorazzione dei morti. oggi, da noi, è consuetudine visitare i cimiteri, ripulire le tombe, illuminarle con ceri, deporre crisantemi e pregare. Tipica di un tempo era invece l’usanza delle fave. Infatti, sia i Greci che i Romani vedevano nel bianco e nero dei suoi fiori una sigla mortuaria, e perciò le consideravano emblema della morte. Esse, pertanto, venivano sparse sulle tombe per implorare pace e placare gli spiriti maligni.

Fave piene

Poni le fave a moglio. Et quando sonno bene a moglio fendile un
pocho da quello canto¹ che non sono negre; et caccia fore pian piano le
fave dentro che non se rompa la scorza. Et dapoi togli de le amandole
bianche et nette, et pistale molto bene con un pocha d’acqua rosata
accioché non facciano olio. Et ponivi assai zuccharo. Et di questa
materia impie le ditte scorze di fave, et poi restringile inseme che
parano fave meze cotte, et ponile a scaldare in una pignatta, o padella,
o altro vaso dove non sia né acqua né altra cosa, guardandole che non
ardesseno. Et mitti le ditte fave in scudelle agiongendovi di sopra
un pocho di brodo di carne caldo, con un pocho di petrosillo tagliato
menuto con un poche de cipolle fritte et tagliate menute, et dapoi
un poche di spetie dulci. Et a chi non piaceno le cipolle non le
porre.¹canto: lato
.
Fave fresche con brodo di carne
Piglia le fave et mondale con l’acqua calda como se fanno le amandole,
et poi le mitti a bollire in bon brodo. Et quando ti pareno cotte
mette con esse un pocho di petrosillo¹ et menta battuta facendogli
bollire etiamdio² de bona carne salata. Et questa menestra vole essere
un pocho verde che pare più bella. Et simelmente poi fare i peselli,
et ogni altro leghume frescho, ma nota che non voleno essere mondati
coll’acqua calda como le fave, ma lasciali pur così con quella
sua scorza sottile.
  • ¹petrosillo: prezzemolo,
  • ²etiamdio: anche.
 Herbe

Herbe con lacte d’amandole
Habi le herbe et falle bollire in prima un pocho in l’acqua, la qual
deve bollire quando glille¹ mitti. Et poi la cava fore, et ponile sopra
una tavola, o un taglieri², et battile menute con un coltello, et nel
mortale le macinarai³ molto bene; et poi le farai bollire ne lo lacte
d’amandole mettendovi del zuccharo a sufficientia.

  • ¹glille mitti: le metti.
  • ²taglieri: tagliere o ripiano di legno per battere,
  • ³macinari: macinerai

Herbe senza lacte

Habi le herbe; et prima le fa’ bollire como è ditto di sopra.
Et diquelle farai menestre¹ grasse, o magre secundo il tempo²,
compartendole como ti pare et piace.
Piglia la sementa di canipa³, e lassala stare a moglio per un dì
e una nocte buttando via quelli granelli¹ che stanno sopra
lacqua perchè sono tristi². Et poi habi dellamandole ben mondate,
e pistale inseme con la ditta sementa.
Et pista che seranno bene le distemperarai con lacqua fresca
e con bono brodo di peselli³, mettendovi etiamdio¹
del zuccharo fino, e una pocha dacqua rosa.
Et poi farai cocere tutte queste cose per spatio duna octava²
dora vel circha³ menandola de continuo col cocchiaro.
  • ¹menestre: piatti, razioni,
  • ²tempo: tempo di magro o di grasso,
  • ³canipa: canapa,
  • ¹granelli: semi,
  • ²tristi: avariati,
  • ³peselli: piselli,
  • ¹etiamdio:anche,
  • ²octava: ottavo,
  • ³vel circha: circa.
Fonghi

Netta li fonghi¹ molto bene, et falli bollire in acqua con doi o tre
capi daglio, et con mollicha di pane. Et questo si fa perché da natura²
sonno venenosi. Dapoi cavagli fora et lassa ben colare quella acqua
in modo che restino sciutti*, et dapoi frigili in bono olio, o in lardo.
Et quando son cotti mettevi sopra de le spetie.

  • ¹fonghi:funghi, da natura: per loro natura,
  • ²sciutti: asciutti.

Altro modo di acconciare gli detti fonghi
In altro modo poterai acconciare¹ gli ditti fonghi, cioè nettandoli prima
molto bene, et poi nettargli sopra la bragia, et ponvi sopra del
lardo et de laglio battuti inseme et del pepe. Et similemente gli
poterai aconciare con olio. Et etiamdio² gli poterai cocere così acconci
in una padella como se fosse una torta.

  • ¹acconciare: preparare, cucinare,
  • ²etiamdio: anche.

Leggiadre Madonne et baldi Messeri! Medioevo con menù

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Festa a tema in stile Medievale con menù

Festa della Stagion Bona – Panzano in Chianti

Festa a tema in stile Medievale con menù

Leggiadre Madonne et baldi Messeri, udite! Festa a tema in stile Medievale con ricette

 Festa della Stagion Bona – Panzano in Chianti FI
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Se per Carnevale, o in altre occasioni, volete organizzare una festa a tema, ecco alcuni suggerimenti che spero possano esservi utili:

Abbigliamento e accessori.

Abbigliamento 1100-1200
Abbigliamento 1300-1400

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Trucco e parrucco

Ambientazione

Musica

  • Carmina Burana – Carl Orff – (video): Zubin Mehta dirige per il Maggio Musicale Fiorentino l’opera di Carl Orff mentre nella evocativa abbazia rinascimentale di San Galgano illuminata da falò e torce vengono messe in scena azioni di teatro profano da artisti di strada: una evocazione immaginifica delle atmosfere medievali che accompagna la magistrale esecuzione musicale di Piazza della Signoria. (dramatic rendition)
  • Medievale
  • Rinascimentale
  • Barocca

Castello di Malbork 1270 – Polonia

IL BANCHETTO

medioevo maestro martino uova ova

Ricette nel blog con foto

Le bevande nel Medioevo

Le bevande erano, sulla tavola dei ricchi, in bottiglie di vetro o in brocche metalliche e si servivano in metallo prezioso, di vetro o di legno decorato.

acqua-Rose_Petal_Soda

Acquarosa di Leonardo

vino medioevo Idromele_e_ippocrasso

Ippocrasso.

idromele- medioevo Hidromel_Tradicional_Suave

Idromele.

 

 

 

 

 

Medio-evo, Rinascimento, Barocco: ricette con foto
torte maestro martino medioevoTudor_pies_on_pewter_plates_at_Hampton_Court
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Il banchetto rinascimentale e barocco
era una complessa macchina conviviale e teatrale, oltre che gastronomica. Dietro le quinte, per così dire, si svolgeva il lavoro di preparazione e presentazione delle numerose portate, che implicava il concorso di specifiche professionalità. Per descrivere la “squadra”, anzi il piccolo esercito necessario per la messa in opera di cotanto evento ci serviremo di un celebre dipinto, le Nozze di Cana, dipinto da Paolo Veronese tra il 1562 e il 1563, esposto a Parigi nel museo del Louvre. In esso sono raffigurati infatti tutti personaggi che concorrevano alla realizzazione di un banchetto principesco come quello in cui il Veronese ambienta l’episodio evangelico.

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Le Nozze di Cana, dipinto da Paolo Veronese tra il 1562 e il 1563, esposto a Parigi nel museo del Louvre (clicca sull’immagine per ingrandire così da apprezzare i particolari)

File:Veronese, The Marriage at Cana (1563).jpg

Festa a tema in stile Medievale con menù

Ave populus! Festa a tema in stile Antica Roma con menù

Ricette anni ’80 per una festa a tema.

Costumi femminili da maschera per il Carnevale di inizio ‘900

Di Larry Ferrante – Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1666133Di Dawid Galus – Opera propria, CC BY-SA 3.0 pl, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35352781 Veronese, The Marriage at Cana (1563).jpg [[File:Veronese, The Marriage at Cana (1563).jpg|Veronese,_The_Marriage_at_Cana_(1563)]]
Cristoforo da Messisbugo

Cristoforo da Messisbugo: “Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale”

Cristoforo da Messisbugo (..-1548) Scalco o Maestro di casa
(…) Il compito dello scalco o maestro di cucina, in particolare, è assai delicato: dovrà predisporre la lista delle vivande e la loro successione, tenendo conto dell’offerta stagionale, scegliere gli arredi della tavola e delle credenze, finissimi e preziosi, assecondando i gusti della committenza, predisporre le “sorprese” che dovranno allietare i banchettanti e gli intrattenimenti che consentiranno ai commensali di fare qualche salutare pausa nel succedersi delle vivande.(…)

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Grandi banchetti: Servire a tavola nel Rinascimento

Ricette tratte dal volume di Cristoforo da Messisbugo:

“Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale”.

Questo libro, comparso per la prima volta a Ferrara nel 1549 postumo, è il più fantasioso e completo tra i manuali gastronomici del Cinquecento. Le ricette in questo testo, rivelano un uso indiscriminato dello zucchero della cannella, di pinoli e dell’uva passa sparsi praticamente in ogni vivanda: dalla pasta, agli arrosti, ai pasticci e perfino nelle torte di anguilla. secondo il gusto per l’agrodolce del Rinascimento, quando lo zucchero era privilegio dei ricchi; veniva proposta la cucina romana d’Apicio con la tendenza esasperata alle mescolanze e all’abbondanza delle spezie. La cucina Rinascimentale rivedeva la gastronomia classica e liberamente la reinterpretava.
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Il Messisbugo non va confuso con un capocuoco e nemmeno con gli artisti di gastronomia dell’epoca: era un gentiluomo, un dotto, un umanista che nella prima metà del 500 entrò nel favore della Corte degli Estensi. Intorno al cibo, la Corte ferrarese organizzava per gli ospiti spettacoli di livello eccelso e il tutto era orchestrato proprio dal Messisbugo. Viene ricordato il banchetto del 24 gennaio del 1529, in occasione delle nozze del principe Ercole con la figlia del re di Francia alla presenza di Isabella d’Este Gonzaga.

A.D. 1529 – Banchetto per le nozze di Ercole d’Este

La lista delle vivande del famoso convittore e di pesce, fritti e carpioni, cotture in graticola e stufati; uso disinvolto della pastasciutta, specialmente di tortelli diversamente ripieni. Il tutto accompagnato da vini eccellenti.

taccuini storici.it

torta bieta messisbugoTorta lombarda di bieta -burek-serbia

minestra mariconda brodo pane stracciatella 1

mariconda messibusbugo

Medio-evo, Rinascimento, Barocco: ricette con foto
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Cristoforo da Messisbugo: Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale
Sua maestà... la ZUCCA! Per fare zucche - Maestro Martino

Per fare zucche – Maestro Martino “Il Libro de Arte Coquinaria” sec. XV: Cap. II

 Maestro Martino “Il Libro de Arte Coquinaria”maestro martino

CAPITOLO II – PER FAR OGNI MANERA DE VIVANDE

Per fare zucche fritte.

Togli de le zucche et nettale bene. Et dapoi tagliale per traverso in fette sottili como la costa d’un coltello. Et dapoi gli fa’ trare solamente un boglio in acqua, et cacciale fore; et dapoi le poni a sciuttare. Et poneli de sopra un pocho pocho di sale et involtale in farina bella, et frigile in olio. Dapoi cacciale fore et togli un pocho di fiore de finocchio, un pocho d’aglio et di mollicha di pane; et pistali bene et distempera con agresto in modo che resti ben raro, et passa per la stamegnia, et getta questo tal sapore sopra le ditte zucche. Le quali etiamdio son bone ponendogli solamente di sopra agresto, et fior di finocchio. Et se voi che ‘l ditto sapore sia giallo mettevi un pocho di zafrano.

Per fare menestra de pome cotogne.

Sburlòn, liquore di mele cotogne

Mele e pere cotogne

Coci le poma cotogne in brodo di carne magra. Dapoi pistale e stemperale con latte de amandole facto con brodo di carne o di bon pollo grosso, se ‘l tempo il richiede; et passale per la stamegnia, et ponila in una pignatta con zuccharo, zenzevero, et cannella, et un pocho di zafrano; et ponila a bollire longi dal focho sopra la bragia che non pigile fume, et voltela spesso col cocchiaro. Et ponendogli un pocho de butiro o strutto frescho sarebbe migliore. Dapoi quando ti pare cotta fa’ le menestre, et punvi di sopra de le spetie dulci e del zuccharo


Per cocer zucche.

Mondale como vogliono essere, et poi cecile con brodo di carne, overo con acqua et mettevi un pocha de cipolla secundo la quantità che tu vorrai fare. Et quando parerà cotta cacciala fore, et passa ogni cosa per la cocchiara straforata, overo pistale molto bene, et metteli accocere in una pignatta con brodo grasso, et con un pocho d’agresto.

Et siano un pocho gialle di zafrano; et quando sono cotte toglile dal focho et lasciale un pocho refredare. Dapoi togli di rossi d’ova secundo la quantità et sbattili con un pocho di caso vecchio et gittagli in le ditte zucche menando continuamente col cocchiaro acciò che non si prendano : et fa’ le menestre et mectevi sopra spetie dolci.

Per fare zucche con lacte d’amandole.

Fa’ cocere le zucche con acqua et poi caccia fore l’acqua quanto più poterai, et passale per la stamegnia, o per la cocchiara forata et mittile a bollire con lo ditto lacte et con zuccharo, et con un pocho d’agresto secundo il gusto del patrone.

Per fare carabaze a la catalana.

Piglia le carabazze cioè le zucche, et nettale molto bene, et mittivi dentro in una pignatta che sia asciutta con bon lardo battuto, et mitti la ditta pignatta sopra la brascia remota dal focho et falla bollire menando continuamente col cocchiaro. Et vogliono bollire in questa forma per spatio de quattro hore. Et poi habi de bon brodo grasso facto giallo con un pocho di zafrano, et mittilo dentro giongendovi del zuccharo et de le spetie dolci con un pocho d’agresto secundo il gusto del tuo Signore, o d’altri. Et como dicemo di sopra nel primo capitolo de le zucche, gli poi mettere qualche rosso d’ovo battuto con un pocho di bon caso vecchio.

zucca

Medio-evo, Rinascimento, Barocco: ricette con foto
torte maestro martino medioevoTudor_pies_on_pewter_plates_at_Hampton_Court
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Per fare zucche – Maestro Martino 

ricettari secoli storia cucina

E. Mori – Raccolta di testi per seguire l’evoluzione della cucina europea nel corso dei secoli

Edoardo Mori
Raccolta di libri gratis digitalizzati

Raccolta di 173 testi per la storia della Gastronomia europea 

(…) Internet ci consente di accedere ad una gran massa di informazioni ed è facile trovare articoli sulla storia della gastronomia. Più difficile reperire i testi i testi originali digitalizzati e quelli che si trovano sono spesso leggibili con difficoltà, con pagine ingiallite, macchiate, storte o mal formattate.

Ho quindi pensato di ricercare questi testi e di ridigitalizzarli o di restaurarli in modo da essere leggibili come un libro fresco di stampa. Talvolta ho modificato le dimensioni della pagina.

I testi consentono di seguire l’evoluzione della cucina europea nel corso dei secoli. L’ ottocento è ricco di testi francesi e tedeschi mentre in Italia vi è poco o nulla, salvo alcuni testi del tipo “Il cuciniere moderno”, di modesta qualità e diffusione. Si dovrà attendere il 1891 con il libro dello Artusi perché una nuova aria entri nella cucina italiana.

Alcune delle opere di lingua tedesca sono stampate in caratteri gotici (Fraktur). in uso fino alla II GM.. Chi volesse convertire qualche pagina in caratteri moderni, deve trasformare la pagina PDF in immagine, usando programmi come Acrobat o PDF FILL (Tools), e poi caricarla sul sito https://www.newocr.com/ (gratuito) o su Trasnkribus .

Mancano in questa raccolta molti libri tedeschi del Rinascimento, anche importanti. Ciò si spiega per il fatto che sono stampati in caratteri gotici dell’epoca, che pochi ormai riescono a leggere se non con difficoltà; quindi ha poco senso riprodurli.

I testi sono elencati in ordine di data. Sono circa 1,5 Giga complessivi, pari a circa 40.000 pagine.

 (segue)

Buongustaio

crispelle Frittelle anonimo

Anonimo toscano, ricette per Crispelli sec. XIV. Le frittelle ubaldine

Anonimo toscano – Libro de la cocina – sec.XIV

I manoscritti, assieme a quelli dell’Anonimo Meridionale, anch’esso redatto presso la corte Angioina di Napoli, tramandano il testo del più antico ricettario di cucina dell’occidente cristiano, giunto fino ai nostri giorni. Redatto in latino volgare, il Liber rappresenta una delle più importanti testimonianze sulle abitudini alimentari presso le corti italiane ed europee del tardo Medioevo.

Liber de coquina (BNF Latin 7131) f. 98r detail: “Crispae, crispellae, fristella”

I crispelli erano preparati con erbe aromatiche e fiori come era consuetudine nella cucina medievale e rinascimentale.

De’ Crispelli o vero frittelle Ubaldine¹ pag. 36

«Togli farina netta, bianca, e distempera con ova e fermento uno poco: mettivi zaffarano, e poi metti a cocere con lardo disfatto; da poi mettivi su zuccaro o mele², e mangia.
Altramente.
Piglia farina bianca con un poco di levarne: distempera con acqua calda, e fà levare, cioè fermentare: poi, prese ova di luccio, o di trota, o di corvaio, o d’altro pesce, mesta forte colla predetta pasta; e, messovi dentro del zaffarano, coci come detto è di sopra.
Altramente.
Simile puoi fare con cipolle trite, con nepitella et erbe; e friggile con aglio o lardo: poi prendi farina, e: distempera insieme tutte cose con albume d’ova, e mettivi fiori di sambuco et altri fiori, come tu vuoli; e diversifica i colori come ti piace, e mettili in lardo bolliente con la mescola spartitamenle.»

¹Frittelle ubaldine: aifb.it/cultura-enogastronomica-italiana: Il nome di questa specialità deriva da Ubaldino della Pila, signore del castello della Pila in Val di Sieve. Dante lo colloca nella VI Cornice del Purgatorio (Canti XXIII-XXIV), ove risiedono i golosi, colpevoli di…(segue)
²mele: miele

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Le frittelle ubaldine, a tavola con Dante 
(ricetta testata da aifb.it)

Gli unici fiori per questa ricetta sono i fiori di sambuco e la nepitella, ma  si possono aggiungere foglie e fiori di finocchio, origano, menta, santoreggia, timo, maggiorana, salvia, foglie di aneto o coriandolo.
Secondo la tradizione medievale, il lardo era un grasso per cottura utilizzato nei giorni di grasso, mentre l’olio d’oliva lo sostituiva nei giorni di magro.

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Ingredienti
300 gr. di farina, 15 gr. di lievito di birra, 10 cl. di acqua tiepida, 1 tuorlo più 1 uovo, 1 bustina di zafferano, 1 cipolla tritata, sambuco, nepitella e altre erbe aromatiche a piacere, sale, 1 cucchiaio di zucchero, olio d’oliva o lardo per friggere (Se si usa il lardo per soffriggere cipolle e erbe, non occorre aggiungere il sale).

Preparazione
Sciogliere lo zafferano in 10 cl di acqua tiepida; a seguire, nella stessa acqua, stemperare il lievito e attendere una decina di minuti (il lievito inizierà a gonfiarsi). Incorporare la farina e le uova e lasciare in lievitazione, aggiungere all’impasto la cipolla tritata, le erbe aromatiche, lo zucchero e un pizzico di sale. Formare con l’impasto delle palline non troppo grandi e lasciare lievitare per 1 ora: la pasta deve raddoppiare di volume (ovviamente i tempi di lievitazione possono variare a seconda della temperatura e dell’umidità). Scaldare l’olio e friggerle. Sgocciolarle, disporle su un piatto di servizio e servire ben calde.

Torta con i fiori sambuco

Fiori di sambuco

De’ crispelli di carne, o vero tortelli e ravioli pag. 39.

«Prendi ventresca di porco scorticata, lessala, e tritala forte col coltello: togli erbe odorifere bona quantità, e pestale forte nel mortaio: mettivi su del cascio fresco con esse et un poco di farina, e distempera con albume d’ova, si che sia duro. E preso de! grasso del porco fresco in bona quantità, metti in la padella, sì che bolla, e fàne crispelli; e cotti, e cavati, mettivi su del zuccaro.
Altramente.
Togli cascio fresco, trito forte: mettivi un poco di farina, e distempera con albume d’ ova, si che sia spesso; e metti a cocere con lardo, come detto è di sopra; e mettivi su zuccaro, come nell’altre cose fu detto.»

Nota curiosa
La brigata godereccia
Siena, metà del Duecento. Dodici giovani di famiglia ricca danno vita alla “brigata”, ripromettendosi di sperperare tutto il proprio danaro in gozzoviglie. Ci riuscirono, dilapidando 216.000 fiorini in due anni, l’equivalente di 12-15 milioni di €uro. Scrissero di loro Cavalcanti, Boccaccio e Dante. Si legge nella Divina Commedia, Inferno XXIX,128: “Niccolò de’ Salimbeni che la costuma ricca del garofano prima discoperse”. Ciò in quanto, al tempo era noto per la passione smodata per il costosissimo chiodo di garofano. Si diceva cuocesse le carni sopra braci prodotte con questa spezia. Ai 12 ghiotti sono dedicate nel libro per cuoco alcune ricette.
“Se tu voy fare mandolata cocta per XII persone, toy tre libre de mandole, e toy meza libra de zucharo”. Slowfood.it
Medio-evo, Rinascimento, Barocco: ricette con foto
torte maestro martino medioevoTudor_pies_on_pewter_plates_at_Hampton_Court
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Per far frictelle de fior de sambuco quadragesimale, la ricetta del 1460

Menestra de fior de sambucho e amandole, ricetta del 1460

Per fare ogni bello arrosto, Maestro Martino da Como 1450-60

more maestro martino Blackberry_muraba_2

Maestro Martino da Como, Per fare sapor celeste de estate…

Libro de Arte Coquinaria, 1450-60 Capitolo III

Per far ogni sapore: le MORE

Maestro Martino da Como, Per fare sapor celeste de estate

Per fare sapor celeste de estate.
Piglia de li moroni salvatiche che nascono in le fratte,
et un poche de amandole
ben piste, con un pocho di zenzevero.
Et queste cose distemperarai con
agresto¹ et passarale per la stamegnia.

Mescola more di rovo con qualche mandorla ben schiacciata e un pizzico di zenzero. Unisci il tutto a dell’agresto e passa al colino.

  • ¹AGRESTO: conserva acidula a base di mosto (leggi)
  • ²Stamegnia: colino o setaccio fine

more maestro martino (2)
Per fare sapor de moroni.
Habi dell’amandole monde et piste bene con un pocha di mollicha di pane biancho.
Et piglia li ditti moroni, et macina con diligentia ogni cosa inseme.
Et non gli dare colpo né pistare, per non rompere quelli granelli piccini
che hanno dentro; poi gli mecti de la cannella, del zenzevero
et un pocho di noce moscata. Et ogni cosa passa per la stamegnia.

Schiaccia bene delle mandorle con un po’ di mollica di pane bianco. Aggiungi le more e mescola tutto senza schiacciare per non disfarle. Unisci cannella, zenzero e un po’ di noce moscata. Passa tutto al colino.

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Maestro Martino da Como, Per fare sapor celeste de estate Blackberry muraba 2.jpg [[File:Blackberry muraba 2.jpg|Blackberry_muraba_2]]
afrodisiaci bacco cerere medioevo

Ricette medievali magiche e afrodisiache

Bacco e Cerere è un affresco della prima metà del I secolo, durante l’età flavia rinvenuto durante gli scavi archeologici dell’antica città di Stabiae, l’odierna Castellammare di Stabia e conservato all’Antiquarium stabiano.

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Medioevo, epoca che si estende, per convenzione, dal 476 al 1492

Con il termine cucina afrodisiaca s’intende l’attività di scelta e preparazione di tutti i cibi che sono ritenuti avere proprietà afrodisiache È convinzione antica e radicata che gli alimenti influiscano positivamente o negativamente sugli stimoli e sulle prestazioni sessuali. «Sine Bacco et Cerere frigescit Venus» (Venere si raffredda senza Bacco, dio del vino e Cerere, dea della fertilità), sentenziavano i romani. San Girolamo, seppure per opposte preoccupazioni, era della stessa opinione: «All’avidità di cibo si accompagna sempre la lascivia». Come il satollarsi «scaccia la castità» – aggiungeva sant’Ambrogio – così «la fame è amica delle verginità e nemica della lussuria». Nei monasteri medievali il consumo della carne era severamente interdettoal punto che chi la toccava (di norma i vecchi e i malati) veniva isolato e sottoposto a sanzioninelle abbazie più rigoriste si arrivava a negargli la confessione e la comunioneciò perché si riteneva che la carne, e soprattutto quella di quadrupede, attentasse alla continenza.

Le liste di proscrizione degli ordini monastici, incrociate con le raccolte di rimedi e «segreti» per i debilitati e i frigidi (il ricettario di Caterina Sforza, per esempio), ci consentono di redigere il catalogo degli alimenti considerati afrodisiaci nel Medioevo, come anche in età rinascimentale e barocca. Erano ritenuti risuscitatori della carne tutti i cibi «caldi», «ventosi» e «duri da digerire»: tra i vegetali, i ceci, le fave, le cipolle, i porri, i cavoli, le melanzane, le castagne, i pinoli, le mandorle, i fichi secchi, le spezie in genere e soprattutto i tartufi, che «aumentano lo sperma e l’appetito del coito»; tra i pesci e affini, le ostriche, i granchi di fiume e le uova di tutti i pesci; tra i grassi, il burro. Particolarmente efficace era giudicato il cervello di qualsiasi animale, e la carne dei piccioni e degli sfrenati passeri, capaci – secondo Aristotele – di «coire» ottantatré volte nel giro d’un’ora; erano reputati autentici toccasana, infine (e s’intende perché), i testicoli di toro e d’agnello, da cui in effetti specie se mangiati crudi è possibile assorbire una certa quantità di testosterone, i «granelli» di gallo e il membro del cervo.

Il gusto dell’epoca medievale prediligeva la sovrapposizione dei sapori, tipico il caso dell’agrodolce, e il largo uso dello zucchero e delle spezie. Durante i banchetti poi, venivano messe in tavola diverse portate ognuna composta da numerosi piatti senza distinzione di primi, secondi, ecc. ci poteva essere della carne e poi della frutta candita, poi delle lasagne e così via.
L’acqua non si beveva, soprattutto perchè era difficile trovarla “pura”, non c’era l’inquinamento chimico ma c’era invece quello organico, in assenza di fogne tutti scaricavano tutto nei corsi d’acqua. Quindi per salvaguardare la salute si preferiva bere del vino annacquato, che almeno conteneva qualche elemento “disinfettante”.
Non si sa poi se ci fossero i tovaglioli, ma dato che i manuali di galateo raccomandavano di non pulirsi le mani sulla tovaglia o sui vestiti, si desume che ci fossero o comunque qualcosa che assolvesse alla funzione di pulirsi le mani. In ogni caso spesso c’erano dei bacili contenenti acqua per lavarsi le mani.
Durante i pasti medievali, ogni invitato aveva davanti a se del pane a forma di piatto che aveva proprio la funzione di contenere il cibo e raccogliere eventuali sughi.
Per quel che riguarda l’altro apparecchio da tavola ciascuno aveva il suo coltello, ma doveva condividere tutto il resto, ad esempio il bicchiere, con il suo vicino.
da Ricette medievali

Malìe e incantesimi per conquistare l’amore di una donna
compie molte e diverse malie onde possedere le donne […]
col metodo del pepe e del sale,
cio «ponendo dictum piper et sale in ignem (nel fuoco) et dicendo:
Cos arda il cuore di Monna
cotale come fa questo pepe e questo sale nel mio amore,
e facendo inoltre altre malie e fatture
per procacciarsi l’amore delle femmine scrivendo
il nome di alcuni diavoli su foglie di pervinca
o di lauro, come Belzeb, Babul e Baldasar,
e facendo con esse foglie frittelle da dar da mangiare
alle donne da concupire»

L’eretica frittella 
Ricette magiche e afrodisiache
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Savor Foco de Drago
Prendi garofano, cinnamono, zenzero, nocciole pellate;
susa cenere calda e un pocho de molena
de pan e zucharo: pesta queste cosse insieme un pocho e maxena con aceto.
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Miscuglio di Venere
Toy de pevere onza una e una de cinamo e una de zenzevro
e mezo quarto de garofali e un quarto de zafferano.
 .
Torta de gambari vantaggiata
Toy gambari, alessi e trane la polpa e toy alquante
herbe bone e bati bene e miti brodo de amandole
e specie fine e uva; passa e fay torta sutile entro
do croste e de sovra vuole essere potente de specie dolce e
de uva passa e dentro vole essere ben zalla.
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Torta al salmone

  • Salsa Cameline
    è un condimento della cucina medievale a base di zenzero. Era molto popolare e si diffuse in tutta Europa. Gli ingredienti erano le spezie macinate nel mortaio, come pepe africano o grani del paradiso (Aframomum melegueta), zenzero (Zingiber officinale), cannella (Cinnamomum verum), resina di mastice (Pistachia Lentiscus), pepe lungo (Piper longum). Il pane secco imbevuto d’aceto. C’è chi mette in dubbio l’uso dell’aceto nella ricetta per questa salsa medievale, sostenendo invece il verjuice come contributo acido.

torta al salmone Elaborate_fish_pieSalsa Chasseur, la salsa del cacciatore

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Idromele.  La bevanda degli Dei per la “Luna di miele”
è una bevanda alcolica prodotta dalla fermentazione del miele.
Era tradizione, in molte parti d’Europa, che alle coppie appena sposate fosse regalato idromele sufficiente per la durata di un mese lunare. Tale dono veniva fatto come incentivo alla procreazione dato che si era perfettamente a conoscenza del fatto che la bevanda fosse alcolica e, in quanto tale, erano note le sue caratteristiche di tonico/energetico. In questo modo quindi la giovane coppia avrebbe avuto “energia” sufficiente per affrontare i loro primi rapporti sessuali. Ai tempi della nascita di questa bevanda (considerando che ne è stata provata la presenza nell’antico Egitto si parla di almeno 2000 anni prima di Cristo) lo scandire del tempo non era regolato dai mesi del calendario gregoriano ma dalle fasi lunari. Un mese lunare corrisponde ad un periodo di tempo di quasi un mese del calendario gregoriano. La locuzione “luna di miele”, deriva proprio dal fatto che per la durata di una luna la coppia si godrà il consumo di questa bevanda.

Le bevande nel Medioevo

Le bevande erano, sulla tavola dei ricchi, in bottiglie di vetro o in brocche metalliche e si servivano in metallo prezioso, di vetro o di legno decorato.

Menù medievale ai sapori d’ Oriente con pollo al curry e riso pilaf

Di Mentnafunangann – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7486998
Grandi banchetti al castello

Grandi banchetti al castello

Il banchetto nella pineta. Nastagio degli Onesti III ep.
E’ un dipinto a tempera su tavola (82×142 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1483 e conservato nel Museo del Prado di Madrid. La tavola fa parte di una serie di quattro pannelli, forse commissionati da Lorenzo il Magnifico per farne dono a Giannozzo Pucci in occasione del suo matrimonio con Lucrezia Bini. Raffigura il banchetto nella pineta a cui Nastalgio ha invitato la figlia di messer Paolo Traversari, da lui amata senza essere corrisposto. Alla fanciulla e agli invitati, colmi di terrore, appare il cavaliere che insegue con i cani la fanciulla ignuda che gli si era rifiutata. Nastagio, in piedi, rivolto verso l’amata allargale braccia con gesto dimostrativo.

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XII sec. Ricevimento al castello feudale

  • La grande sala era abbellita con tovaglie e cuscini ricamati e al riverbero delle fiamme del cammino, gli ospiti incoronati di fiori sedevano intorno a lunghi tavoli.
    Dalle cucine, poste in edifici separati dall’aula comitis per evitare gli incendi, arrivavano sulla mensa signorile cinghiali, cervi, pollame, montoni misti a verdure, cotti allo spiedo dopo una rapida bollitura e trionfanti su enormi piatti d’argento che testimoniavano la ricchezza del casato; la vivanda più apprezzata era i piccioni il cui allevamento era appannaggio dei signori. A fine pasto si sgranocchiavano pasticcini al miele e frutta secca importata da paesi lontani che incideva pesantemente sul bilancio. L’altra spesa considerevole della tavola feudale erano le spezie mutuate dalla tradizione romana: zenzero, cannella, zafferano e grandi quantità di pepe che davano ai sapori altrimenti piuttosto monotoni.
    La panetteria del castello cuoceva pane di frumento solo per la tavola del Signore.

Nel giugno del 1469, in occasione del suo matrimonio con Clarice Orsini,

  • Lorenzo il Magnifico fece distribuire ai fiorentini dal palazzo di via Larga i doni alimentari che aveva ricevuto; il giorno della cerimonia non furono elargiti al popolo degli avanzi, ma 1500 taglieri di gelatina e polli, pesci, confetti e altre ghiottonerie appositamente confezionate.
    Ai conviti di famiglia erano di rigore le buone maniere e la più assoluta pulizia; i vasi, i candelieri, l’argenteria erano scelti per il loro valore artistico; in controtendenza rispetto alle altre corti, i cuochi dei Medici diretti dalle padrone di casa non si sbizzarrivano in artifici sgradevoli al palato, ma utilizzavano, rigorosamente, prodotti genuini della regione per piatti della tradizione toscana, spesso di derivazione popolare.

Nel 1505 il cardinale Grimani offerse a Roma, a palazzo Venezia un convito in musica agli ambasciatori di Venezia

  • che furono accolti con pifferi e tamburi. Le trombe introdussero conserve confetture, mentre piatti d’oro e d’argento colmi di biscotti e pinoli apparvero al suono delle arpe. Dopo una zuppa di latte e vassoi di teste di capriolo, le tube annunciarono 64 portate di polli in salsa catalana e i piatti degli arrosti e dei fagiani volteggiarono in sala sulle armonie delle viole. Col dessert di panna montata e marzapane si accompagnarono le danze di una giovane araba e una più ingenua recita di bambini.

Il 13 settembre del 1513 la Roma di Papa Leone X Medici, noto buongustaio, festeggiò la nomina a patrizio del nipote Giuliano

  • con un banchetto solenne in Campidoglio. La tavola che accoglieva 20 sceltissimi convitati, troneggiava su un soppalco al centro della piazza, mentre intorno era stata eretta una gradinata a semicerchio per la folla che assisteva allo spettacolo. Quando, al passaggio dei bacili di acqua odorosa, gli ospiti dispiegarono i tovaglioli bianchissimi per asciugare le mani, si liberò un volo di uccelletti che rimasero a saltellare sulla tavola. L’abbondanza era tale, narrano i cronisti, che convitati presero a gettarsi l’un l’altro le portate e infine si videro capretti, fagiani, porcellini e pernici volare verso le tribune e insozzare la piazza.

Nel 1574 Venezia accolse Enrico III di Francia, figlio di Caterina dei Medici con grandi festeggiamenti

  • che culminarono la domenica in un banchetto offerto nella sala del Maggior Consiglio.
    Enrico III fu accolto dalle 200 più belle patrizie di Venezia vestite di bianco e coperte di gioielli. La tavola si presentava ornata di sculture di zucchero progettate dal Sansavino: c’erano due leoni, una regina a cavallo tra due tigri e Davide e San Marco tra immagini di re e papi, e animali, piante, frutti. Erano di zucchero la tovaglia, i tovaglioli¹, il pane, i piatti e le posate. Quando Enrico III fece per spiegare il tovagliolo¹,
    se lo sentì sbriciolare tra le dita. Dopo questa visita Enrico III impose in Francia l’uso della forchetta individuale.

Nel marzo del 1593, accogliendo i figli del duca Guglielmo di Baviera, Roma rinnovò i fasti trascorsi

  • anzi li superò, perché alle 1.000 persone ammesse in Castel Sant’Angelo la tavola d’onore apparve, tra gli stemmi del pontefice e dei principi tedeschi, letteralmente coperta d’oro. Quattro pavoni bianchi con la coda a ruota e un collare d’oro e perle si alternavano a quattro fagiani dalle penne tempestate di gocce d’oro tremolanti e a tre leoni di pasta reale dorata; dorati erano anche i pasticci freddi a forma di aquile, leoni e tigri. Al termine del pranzo fu portato in sala un modello di pasta di Castel Sant’Angelo, da cui uscirono pernici e uccelletti vivi che reggevano sul capino coroncine d’oro e dietro loro apparve un toro meccanico, ovviamente dorato, che camminava da solo.

 A tavola con la storia di M. L. Minarelli

 ¹Il tovagliolo, che inizialmente si chiamava “truccabocca”, inizia ad essere utilizzato a tavola nel Rinascimento. Questo accessorio nasce come mezzo di purificazione delle dita sporche di cibo e per pulirsi la bocca prima di bere dal bicchiere comune. I galatei dell’epoca raccomandano di non usare il tovagliolo per pulirsi il viso, i denti o per soffiarsi il naso. Quando le posate sono in cumune tra i commensali, viene anche utilizzato per pulirle prima di porgerle agli altri commensali. Il tovagliolo viene portato sulla spalla o sul braccio sinistro perchè si usa mettere nei piatti comuni la mano destra.

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 Grandi banchetti al castello .Di Sandro Botticelli – http://www.museodelprado.es, Pubblico dominio,
Banchetto per le nozze di Ercole d'Este

A.D. 1529 – Banchetto per le nozze di Ercole d’Este

Sandro Botticelli, Il banchetto di Nozze di Nastagio degli Onesti, 1483 – Firenze, Palazzo Pucci

Ferrara 24 gennaio del 1529, Nozze del principe Ercole d’Este con la figlia del re di Francia alla presenza di Isabella d’Este Gonzaga.

Maestro di casa: Cristoforo da Messisbugo.

Descrizione delle tavole e dei luoghi.

C’erano due tavole:
una per il padrone, sua moglie e la marchesa di Mantova; l’altra per gli altri 104 ospiti.

Su queste due tavole furono disposte: 25 saline d’ argento, 104 salviette, altrettanti coltelli, pani al latte, piccole caraffe con latte zuccherato e bacinelle con acqua profumata!

Nel soffitto vennero appesi 48 doppieri di cera bianca.

Per le operazioni di servizio furono apparecchiate 3 tavole per i credenzieri e 2 per i buttiglieri, con ogni vino pregiato, per il piacere dei sommelier.

Vennero poste sulla mensa 25 figure di zucchero, rappresentanti le forze d’Ercole che vinsero il Leone. Erano grandi più di due palmi e mezzo, dorate e dipinte, con le carnagioni che parevano vive, rimasero sulla tavola fino a quando non fu tolta la prima tovaglia. Su di essa furono poste, in 104 piattini e in 25 piatti più grandi: insalata di capperi, tartufi e uva passa; insalata d’indivia, radicchio e cedri; insalata d’acciughe; ravanelli grossi lavorati d’intaglio e ravanelli piccoli interi; sfogliatelle con panna; fette di prosciutto e di lingua di manzo fritte con sopra zucchero e cannella; orate in carpione con foglie di lauro.

Al suono delle trombe gli invitati entrarono nella sala del banchetto e, dopo i lavacri con acqua profumata, presero posto alla mensa.

Ebbe inizio la cena vera e propria, composta da 8 vivande multiple (ndr. per vivanda si intendeva ciò che ai giorni nostri sarebbe considerato un pranzo pantagruelico, cioè ricco).

Per ogni vivanda cambiava il genere d’intrattenimento: musiche con vari strumenti, canti solisti, dialoghi a più voci accompagnati dal flauto, dalla viola e dal trombone.

Lista delle vivande

I vivanda
Involtini di polpa di cappone fritti e ricoperti di zucchero; quaglie, polpette e fegati di cappone arrostiti; fagiani arrostiti con arance spaccate; zuppa di cipolle con sfogliatelle di pinoli; code di trote in carpione con limoni tagliati, barbi fritti; anguille in pasta reale; dentici in brodetto.

II vivanda
Polpettoni ripieni accompagnati da salsicce bianche in padella; animelle di vitelle fritte e spolverate di zucchero e cannella; capponi alla tedesca in vino dolce con macis; pasticci casalinghi di piccioni; carpioni fritti; rombi in pezzi; code e zampe di gamberoni fritte con aceto sopra; pasticci d’uova di trota; pastine di mandorle alla napoletana.

III vivanda
Pernici arrosto con salsa reale; conigli, tortore e capponi ripieni alla lombarda; piccioni casalinghi ripieni con cedri tagliati; le parti migliori di alcuni pesci arrostite, con zucchero e cannella; pesciolini fritti coperti di salsa dolce con pinoli canditi; trota in brodetto alla comacchiese; lamprede arrosto con salsa; tortine di castagne.

IV vivanda
Capretti ripieni arrostiti; capponi in pasta; piccioni ripieni alla lombarda; arrosto con salsa francese; lucci al sale ricoperti di salsa gialla, trote al vino alla ungherese con fette di pane; rombi fritti, coperti di salsa e mostarda; sarde fritte con arance e zucchero; pasticci di pasta reale ripieni di riso alla turca, fritti e ricoperti di zucchero.

V vivanda
Piccioni casalinghi a pezzi; pernici in brodo grasso; lombata di manzo arrosto con salsa alla tedesca; porchette di latte arrosto; barbi alla griglia con salsa; passerotti fritti caldi con arance sopra; aguglie fritte; tortine di frumento all’anice e canditi; pasticcio di vitello giovane.

VI vivanda
Lombate di vitello arrosto con salsa alle amarene; pavoni cucinati in brodo bollente; caprioli con salsa, zuppa nera con mandorle candite; pasticcini di pasta reale ripieni di uova, formaggio e zucchero; salsa di pavone; carponi all’aceto; orate alla griglia con prezzemolo e cipolline, speziate e soffritte nel burro.

VII vivanda
Pasticci di pere; gelatina torbida di polpe di fagiani, pernici e capponi; gelatina bianca di luccio; finocchi in aceto;
olive di Spagna; uova fresche, pere e mele; formaggio parmigiano; cardi con pere e sale.

VIII vivanda
Ostriche, arance e pere; lattemiele; cialdoni; albume d’uovo sbattuto in coppe.

fonte: “A tavola con la storia di M.L.Minarelli e “A tavola con gli amici”
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A.D. 1600 – Banchetto per le nozze di Maria de’ Medici con Enrico IV: Lista delle vivande e cronaca della cena

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minestra di sambuco Lemon_posset-3

Menestra de fior de sambucho e amandole, ricetta del 1460

 Libro de Arte Coquinaria, 1450-60

maestro martino

Capitolo II

Per fare menestra¹ de fior de sambuco

Per farne dudici menestre in tempo quadragesimale prendiraiSciroppo di fiori di sambuco
una libra et meza di amandole monde et pistale bene como è ditto di sopra.  Et prenderai tre once di fiori di sambucho quando è secco.
Et prima tenerailo a moglio in acqua frescha per spatio de una hora strengendo et premendo fore l’acqua. Et de li dicti fiori pistarane la mità con le mandole agiongendovi la mollicha d’un pane biancho, et meza libra di zuccharo, con un pocho de zenzevero.
Et se voi che sia giallo vi mitterai un pocho di zafrano, et tutto il passarai per la stamegna²; et mettiralo accocere como è ditto in l’altro capitolo precedente. Et posto al focho ve mettirai di sopra quell’altra mità di fiori sopra scripti così integri. Et quando sia cotta a sufficientia farai le menestre mectendogli di sopra de bone spetie dolci. Et se a tempo di carne vorrai fare la dicta menestra gli metterai tre rossi d’ova, et distemperarala con brodo di pollo grosso, o altro bon brod passandola per la stamegna, et mettendogli il zuccharo con le altre spetie con i fiori integri como è ditto di sopra. Ma nota quando che sia meza cotta da giongervi doi once de bono strutto, o di butiro frescho.

  • ¹Menestra = pietanza
  • ²La stamigna o stamina è tessuto ad armatura tela con fili radi, di mano molle e medio peso. Trova utilizzo in cucina come filtro o colino, con la sua trama rada riesce a chiarificare un liquido, filtrare i grumi e le impurità, si usa per passare le salse.
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taberna Ostia_antica-13

La Taberna dell’Antica Roma e la Taverna del Medioevo

Una taberna a Ostia Antica, Roma; l’affresco sopra il bancone mostra ciò che veniva offerto nell’osteria: cibo, bevande e musica.
TABERNA

Nell’antica Roma la taberna (al plurale tabernae) era una sorta di ristorante o trattoria, tipicamente dotata di una sola stanza con volta a botte. La taberna nacque inizialmente come deposito ed era, in genere, la bottega degli artigiani, aperta verso la strada; si passò poi alle tabernae vinarie e a quelle che si specializzarono nella consumazione del vino e del pasto.

Le tabernae avevano un bancone di pietra, con cinque o sei contenitori murati, rivolti verso la strada; accanto al banco vi era un fornello con una casseruola piena di acqua calda; nel retro c’erano la cucina e le sale per la consumazione. Avevano una finestra in alto che dava luce al soffitto in legno del deposito ed un grande vano di apertura sulla strada.

Un famoso esempio si trova nei mercati di Traiano, costruiti da Apollodoro di Damasco. Secondo la “Cambridge Ancient History”, la taberna era un’unità per la vendita al dettaglio all’interno dell’ Impero Romano, in più era il luogo dove venivano offerte numerose attività commerciali e terziarie, comprese la vendita di cibi cotti, vino e pane.

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Mercati di Traiano – Roma

Tito Livio descrive l’aspetto delle tabernae (botteghe) nelle strade di Tusculum, in riferimento ad una visita di Marco Furio Camillo:
.
«Camillus castris ante portas positis, eademne forma pacis quae in agris ostentaretur etiam intra moenia esset scire cupiens, ingressus urbem ubi patentes ianuas et tabernis apertis proposita omnia in medio uidit intentosque opifices suo quemque operi et ludos litterarum strepere discentium uocibus ac repletas semitas inter uolgus aliud puerorum et mulierum huc atque illuc euntium qua quemque suorum usuum causae ferrent, nihil usquam non pauidis modo sed ne mirantibus quidem simile, circumspiciebat omnia, inquirens oculis ubinam bellum fuisset; adeo nec amotae rei usquam nec oblatae ad tempus uestigium ullum erat sed ita omnia constanti tranquilla pace ut eo uix fama belli perlata uideri posset.»
.
« Posto il campo di fronte alle porte, Camillo, desiderando sapere se anche all’interno delle mura appariva la stessa aria di pace che si ostentava nelle campagne, entr? in citt?. L? vide le porte delle case spalancate, le botteghe aperte, con tutta la mercanzia bene in vista, gli artigiani impegnati ciascuno nel proprio lavoro, le scuole che risuonavano per le voci degli scolari, le strade piene di gente con donne e bambini mescolati tra la folla e diretti l? dove i rispettivi impegni li chiamavano, il tutto senza avvertire da nessuna parte non solo alcun segno di paura ma nemmeno di stupore. Camillo si guardava intorno con attenzione, cercando di scoprire le tracce tangibili di una guerra imminente. Ma non c’era alcun segno di cose spostate o preparate per l’occasione. Anzi tutto era cos? immerso in una quiete pacifica e costante, che sembrava impossibile vi fosse anche solo arrivata una qualche notizia della guerra.
.….»
.
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, VI, 25)

 

Jan Steen - Revelry at an Inn - WGA21761.jpg

Revelry at an Inn (Baldoria in una locanda) di Jan Steen (1625–1679) museo del Louvre, Parigi

TAVERNA
Il nome “taverna” deriva dal latino tabernae, negozi alimentari che nell’antica Roma offrivano la possibilità di consumare cibi e bevande in loco e, in alcuni casi, perfino di alloggiare.

La taverna nel Medioevo era un luogo di ritrovo per bere, mangiare, incontrarsi, giocare.
La documentazione principale sulla presenza della Taverna nella vita sociale del Tardo Medioevo ci è fornita dagli Statuti delle città.

Le Taverne erano ubicate sia nei centri urbani che nei piccoli borghi nelle campagne, ma soprattutto nei luoghi di mercato, lungo i fiumi in prossimità di ponti e traghetti e le strade, nei porti; tutti posti nei quali vi era molta gente di passaggio o stanziale. Erano sorvegliate dalle autorità.

La Taverna medievale era caratterizzata da un’insegna e da dei lunghi sporgenti pali per la birra che però spesso recavano fastidio alla circolazione, e a Londra nel 1375 vi fu un provvedimento che ne limitava a 7 piedi la misura massima di sporgenza dalla facciata. Lo statuto della città di Verona del 1327 ci trasmette la possibile esistenza di un cortivum o di un porticus: ne è facile dedurre che durante la buona stagione i Vini, la Birra, i Distillati, l’Ippocrasso e l’Idromele venivano consumati all’esterno in quello che è altrove definito “circuito della taverna”.

Fonte: lamescaligere.it
Ricette

Scapece da taberna taverna Zucchine scapece

 

 

 

 

I

I

II

II

III

III

 

 

 

 

 

Bevande

Apicio Ricetta del MULSUMapicio vino antica roma Roemerwein_in_Speyer

vino medioevo Idromele_e_ippocrasso

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Carmina Burana In taberna quando sumus  
sono testi poetici contenuti in un importante manoscritto del XIII secolo, il Codex Latinus Monacensis o Codex Buranus, proveniente dal convento di Benediktbeuern (l’antica Bura Sancti Benedicti fondata attorno al 740 da San Bonifacio nei pressi di Bad Tölz in Baviera) e attualmente custodito nella Biblioteca Nazionale di Monaco di Baviera.
Se vuoi ascoltare:
Carmina Burana: “In taberna quando sumus” 196
Testo ©2001 Saltatio Mortis
Traduzione ©2008 Daniele Benedetti
In taberna     
In taberna quando sumus
Non curamus quid sit humus
Sed ad ludum properamus
Cui semper insudamus
Quid agatur in taberna
Ubi nummus est pincerna
Hoc est opus ut queratur
Si quid loquar, audiatur
Quidam ludunt, quidam bibunt
Quidam indiscrete vivunt
Sed in ludo qui morantur
Ex his quidam denudantur
Quidam ibi vestiuntur
Quidam saccis induuntur
Ibi nullus timet mortem
Sed pro Baccho mittunt sortem:
Hier ein Spiel, ein Trunk daneben
Dort ein wahres Heidenleben
Wo des Spieles wird gepflogen
Sieht sich mancher ausgezogen
Klopft ein anderer stolz die Tasche
Liegt der Dritt in Sack und Asche
Wer wird um den Tod sich scheren?
Losung ist: Zu Bacchus Ehren!
    All’osteria
Quando siamo all’osteria
Non ci curiamo più del mondo
Ma ci affrettiamo al gioco
Al quale sempre ci accaniamo
Che si faccia all’osteria
Dove il soldo fa da coppiere
Questa è cosa da chiedere
Si dia ascolto a ciò che dico
C’è chi gioca, c’è chi beve
C’è chi vive senza decenza
Ma tra coloro che attendono al gioco
C’è chi viene denudato
Chi al contrario si riveste
Chi di sacchi si ricopre
Qui nessuno teme la morte
Ma per Bacco tentano la sorte:
Qui un gioco, insieme a una bevuta
Là una vera vita da miscredente
Dove c’è l’abitudine del gioco
Si vedono alcuni che si spogliano
Un altro batte orgogliosamente la tasca
Il terzo giace tra sacchi e cenere
Chi si curerà della morte?
La parola d’ordine è: onore a Bacco!
 Fonte: metalgermania.it/
Codex Buranus – miniatura nel foglio 89v – Bevitori

Ostia antica-13.jpg [[File:Ostia antica-13.jpg|Ostia_antica-13]]Di NikonZ7II – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=117028491 https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Codex_Buranus-89v-dettaglio.jpg
Scapece da taberna taverna

Scapece da taberna (taverna). «Bon escabeix» di Ruperto de Nola, Libre del coch, anno 1520

Scapece gallipolina 
Scapece: etimologicamente deriva dal latino Escha Apicii, e cioè salsa di APICIO, autore del De coquinaria, il più antico manuale di gastronomia, per fare in modo che pisces fricti diu durent (per conservare pesci fritti) consiglia: eodem momento, quo friguntur et levantur, ab aceto calido, perfunduntur (nello stesso momento in cui escono dall’olio cospargili di aceto caldo).
La scapece e’ una preparazione gastronomica dell’Italia meridionale; in Puglia, ad esempio, sono famose le scapece di Lesina e di Gallipoli. La procedura varia da zona a zona, e, sostanzialmente prevede nella ricetta l’utilizzo di verdure o ortaggi tassativamente fritti (melanzane, pomodori, carote, fagiolini ecc.) e pesce azzurro o anche le une e l’altro, ma fritti separatamente.
Si avvicina grosso modo, anche alla tipica preparazione del nord Italia “carpione” che prende nome da un pesce d’acqua dolce (Salmo tutta carpio) il quale, previa frittura, viene cosparso con cipolle fatte appassire in olio d’oliva con una marinata d’aceto, aglio e altre spezie, e, al veneto “saòr” che deriva dal medievale italiano “savore” dal latino “sapor”, mentre con il termine Scabeccio si fa riferimento ad una identica preparazione in uso in Liguria e in Piemonte.
  • Questa ricetta si trovava quasi sempre nei “menù” delle taverne che erano luoghi in cui si dovevano proporre piatti da realizzarsi velocemente o addirittura già pronti. Ciò vale anche per lo scapece che è, nello stesso momento, un modo per cucinare ma anche un metodo di conservazione del pesce. Questo procedimento constava, in genere, di pesce azzurro, verdure o anche carni fritte cui venivano applicate alcune spezie (in particolare lo zafferano), le cipolle e una salsa o gelatina dal sapore acido. Tale salsa è probabilmente originaria della cucina araba e il suo nome deriva dal termine sikbaj; troviamo attestazioni di questa preparazione già nel “De re coquinaria” di APICIO o in alcuni ricettari della corte di Federico II di Svevia che ne era particolarmente ghiotto. Nell’Italia meridionale e in Spagna si servono ancora oggi gli scapece. Fonte: Il libro della cucina del secolo XIV
Jan_Steen_-_Revelry_at_an_Inn_-_WGA21761
Revelry at an Inn (Baldoria in una locanda)  di Jan Steen (1625/26–1679)

Ruperto de Nola,

conosciuto anche con lo pseudonimo Mestre Robert (Catalogna, XV secolo-Catalogna, XVI secolo), è stato un cuoco spagnolo, autore del primo libro di cucina stampato in lingua catalana, Llibre del Coch. Lavorò per il Re di Napoli Ferdinando I

«Libre de doctrina pera ben seruir, de tallar y del art de coch, ço es de qualseuol manera de potages y salses» anno 1520.

Bon escabeix

«Prendi un pezzo di pane senza crosta bagnato nell’aceto bianco, e prendi delle mandorle pelate, e tostate le nocciole e i pinoli e tritate il tutto finché sarà ben macinato; e quando sarà macinato, uniscilo col brodo di pesce, e poi filtralo con un panno di lana; e poi metti qualche uva passa tolti i semi, e macinala bene con l’altre cose e metterlo a cucinare. E getta nella pentola tutte le spezie fini e lo zafferano, perché la salsa dovrebbe essere di colore molto intenso, di sapore dolce; comunque, la dolcezza dovrebbe provenire dal miele. E quando sarà denso, toglilo dal fuoco; poi prendete il pesce freddo, e mettetelo in un piatto, e mettetevi sopra la scabeche. Questa salsa però va mangiata con il pesce pandora (pagellus erythrinus) o il dentice prima di qualunque altro pesce; e quando sarà freddo, metti sopra un po’ di cannella; e poi metteteci dei pinoli, rivolti verso l’alto, tutto intorno al piatto, e prezzemolo tritato. Questa salsa comunemente si serve fredda, ma [servita] calda non è cattiva.»

File:Llibre del Coch (1520).djvu

Robert de Nola,Llibre del Coch, Barcellona 1520

La ricetta della Scapece gallipolina

Ingredienti: Pesce di varie qualità e ridotte dimensioni (boghe dette “ope”, zerri detti “pupiddhri” o altro), olio per friggere, farina, aceto, zafferano, mollica di pane (pagnotta)

Preparazione: Nella scapece gallipolina il pesce non viene pulito prima di essere fritto a causa della quantità e della dimensione ridotta delle specie di pesci utilizzati. Mantenere la lisca del pesce potrebbe sembrare strano ma questa viene ammorbidita e resa commestibile con la marinatura in aceto. Va precisato che ci sono più tipi di scapece gallipolina, differenti tra loro per il tipo di pesce utilizzato, per questo, prima della frittura, i vari tipi di pesci vengono “scucchiati”, cioè separati, secondo la specie. I pesci fritti vengono disposti, a partire dal fondo della tinozza, a strati alternati con la mollica di pane imbevuta con l’aceto in cui è stato sciolto lo zafferano. La mollica che si utilizza è quella della pagnotta. La forma di pane viene privata della crosta e tagliata a metà, le varie metà vengono poi strofinate su uno strumento detto “crattacasa”, una grande grattugia formata da un semicilindro di acciaio largo mezzo metro sulla cui superficie sono stati praticati dei fori, simili a quelli di una grattugia da formaggio, larghi circa un centimetro. Una volta che la tinozza è stata riempita fino all’orlo viene sigillata con un foglio di plastica e messa a riposare in una cella frigorifera.

 

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Il carpione per marinare carne, pesce e verdure: Filetti di trota in carpione

Alici, acciughe, sardine in Scapece

 “Scapece” di Scapece.bianco – Opera propria. Con licenza CC BY-SA 3.0 tramite Wikimedia Commons
Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Menù medievale – Maestro Martino “Il Libro de Arte Coquinaria”

Fucecchio, Firenze – Palio delle contrade: Ogni anno, in maggio, a Fucecchio, si corre il Palio delle Contrade. Questa importantissima quanto antica manifestazione è nata come rievocazione di una Contesa tenutasi a Fucecchio intorno all’anno 1200.

Medioevo, epoca che si estende, per convenzione, dal 476 al 1492

Lista delle vivande

Ravioli in tempo di carne
Roviglioni (triglie, pesce di pregio variabile)
Uselie (Aguglie, pesce marino dalla carne pregiata)
Tordo marino (pesce marino)
Agoni d’acqua dolce
Sardelle
Li polpi
Granci (granchi, crostacei di diverse dimensioni dalle carni gustose)
Capretto arrosto in sapore
Per fare pavoni vestiti con tutte le sue penne che cocto parà vivo et butte foco pel becco
Per fare pollastri allessi con agresto
Per fare pollastro arrosto
Torta bolognese

maestro martino

Ravioli in tempo di carne
Per farne dece menestre: togli meza libra di caso vecchio, et un
pocho d’altro caso grasso et una libra di ventrescha di porcho¹ grassa
overo una tettha² di vitella, et cocila allesso tanto che sia ben
disfatta. Dapoi battila bene et togli di bone herbe ben battute, et pepe,
garofoli, et zenzevero; et giongendovi il petto d’un cappone
pesto³ serebe bono migliori. Et tutte queste cose distemperale⁴ inseme.
Dapoi fagli la pasta ben sottile, et liga⁵ questa materia ne la pasta
como vole essere. Et questi ravioli non siano maiori⁶ d’una meza
castagna, et ponili accocere in brodo di cappone, o di carne bona, facto
giallo di zafrano quando bolle. Et lassali bollire per spatio de
doi paternostri⁷. Dapoi fanne menestre, et mettili di sopra caso gratto⁸
et spetie dolci mescolate inseme. Et simili raffioli⁹ si posson fare
di petto di fasani et starne et altre volatile.

  • ¹Ventresca di porcho: pancetta di maiale,
  • ²tettha: tetta,
  • ³pesto: tritato,
  • ⁴distemperale: amalgamale,
  • ⁵liga: colloca,
  • ⁶maiori: più grandi,
  • ⁷spatio de doi paternostri: il tempo di dire due paternostri,
  • ⁸gratto: grattugiato,
  • ⁹raffioli: ravioli

Roviglioni.
Frigili simelemente, et dalli quello sapore¹ scripto nel capitolo precedente.

Uselie
II suo naturale è de frigerlo, ma anche allesso è bono et arrosto.

Tordo marino
Fallo allessare si è grosso, et si è piccholo faralo friggere, et per suo sapore gli darali la mostarda.

Agoni d’acqua dolce
Seranno boni allessi col petrosillo, de botiro et de le spetie;
simelmente sonno boni fritti col suco d’aranci di sopra o agresto.

Sardelle
Il suo naturale è de frigerle et ancora le poi arrostire se ti piace,
et mettili suso² del suco de aranci o agresto mescolato con un pocho d’olio.

Li polpi
è pesce vile³ et de non farne stima⁴; cocilo adunque como ti pare

Granci
Falli in quello modo che è ditto de li gamari nel suo capitolo, etcon essi darai per suo sapore l’aceto.

  • ¹Sapore: salsa, condimento,
  • ²Suso: sopra,
  • ³Vile: di poco valore,
  • ⁴Non farne stima: non dargli importanza
Capretto arrosto in sapore
Piglia un quarto di capretto et concialo¹ molto bene como vole
essere arrosto, et inlardalo et ponevi per dentro assai aglio in spichi
mondate a modo se volesci impilottare o inlardare². Dapoi togli de
bono agresto, doi rosci d’ova, doi spichi daglio³ ben piste, un pocho
di zafrano, un pocho di pepe, et un pocho di brodo grasso, et mescola
tutte queste cose inseme et ponile in un baso⁴ sotto il capretto
quando s’arroste⁵, et bagnalo qualche volta con questo tal sapore.
Et quando è cotto poni il quarto del capretto in un piatto et ponivi
di sopra il ditto sapore et un pocho di petrosillo battuto menuto.
Et questo quarto di capretto vole essere ben cotto e magnato⁶ caldo.
  • ¹concialo: preparalo, condiscilo,
  • ²inlardare, impilottare: intodurre pezzetti di lardo e aglio nelle fessure praticate nella carne,
  • ³daglio: d’aglio,
  • ⁴baso: vaso,
  • ⁵sarroste: si arrostisce
  • ⁶magnato: mangiato,

Per fare pavoni vestiti con tutte le sue penne che cocto parà vivo et butte¹ foco pel becco
Per fare pavoni vestiti che pareno vivi: in prima se vole amazare
il pavone con una penna², ficcandoglila sopra al capo, o veramente
cavargli il sangue sotto la gola como ad un capretto. Et dapoi fendilo³
sotto lo corpo, cioè da lo collo per insino⁴ a la coda, tagliando solamente
la pelle et scorticalo gentilmente che non guasti né penne né
pelle. Et quando tu haverai scorticato il corpo inversa⁵ la pelle del
collo per insino a presso al capo. Poi taglia il ditto capo che resti
attaccato a la pelle del collo; et similemente fa’ che la gambe restino
attaccate a la pelle de le cosse⁶. Dapoi acconcialo molto bene arrosto,
et empielo⁷ de bone cose con bone spetie et togli garofoli
integri et piantagli⁸ per lo petto, et ponilo nel speto et fallo cocere
ad ascio; et d’intorno al collo pònevi⁹ una pezza bagnata aciò che
‘l focho non lo secchi troppo; et continuamente bagnia la dicta
pezza. Et quando è cotto cavalo fore e rivestilo con la sua pelle. Et
habi uno ingegno¹⁰ di ferro fitto¹¹ in un taglieri et che passi per i
piedi et per le gambe del pavone aciò¹² che ‘l ferro non se veda; et
quel pavone stia in piedi dritto col capo che para¹³ vivo; et acconcia¹⁴
molto bene la coda che faccie¹⁵ la rota. Se voli che gitti¹⁶ focho per il
beccho, togli una quarta oncia de canfara¹⁷ con un pocha de bombace¹⁸
sì intorno, et mittila nel beccho del pavone, et mettivi etiamdio un
pocha de acqua vite¹⁹ o de bon vino grande²⁰. Et quando il vorrai mandare
ad tavola appiccia²¹ il focho nel dicto bombace, et gietterà focho
per bon spatio di tempo. Et per più magnificenza²², quando il pavone
è cotto, si pò indorare con fogli d’oro battuto et sopra lo ditto oro
porre la sua pelle, la quale vole essere inbrattata²³ dal canto dentro²⁴
con bone spetie. Et simelmente si po fare de fasciani, gruve, oche et
altri ocelli²⁵, o capponi o pollastri.

  • ¹Butte: butti,
  • ² penna: coltello sottile come un bisturi,
  • ³fendilo: aprilo,
  • ⁴per insino: fino,
  • ⁵inversa: rovescia,
  • ⁶cosse: cosce,
  • ⁷empielo: riempilo,
  • ⁸piantagli: piantaglieli,
  • ⁹pònevi: vi poni,
  • ¹⁰ingegno: congegno, attrezzo,
  • ¹¹fitto: conficcato,
  • ¹²aciò: affinchè,
  • ¹³para: sembri,
  • ¹⁴acconcia: aggiusta, disponi,
  • ¹⁵che faccie: in modo che faccia,
  • ¹⁶gitti: getti,
  • ¹⁷canfara: càanfora,
  • ¹⁸bombace, bambace: bambagia, ovatta,
  • ¹⁹acquavite: distillato di vino,
  • ²⁰grande: invecchiato,
  • ²¹appiccia: appicca, accendi,
  • ²²magnificenza: efetto,
  • ²³inbrattata: spolverizzata,
  • ²⁴canto dentro: lato interno,
  • ²⁵et altri ocelli: fagiani, gru, oche e altri uccelli.

Per fare pollastri allessi con agresto
Per fare pollastri allessi con agresto, vogliono essere cotti con
un pocha di carne salata. Et quando sondo¹ mezo cotti, togli agresto
sano², et taglialo per mezo et cacciane fore le grane³ del dicto agresto,
et ponilo a cocere coli dicti pollastri. Et quando sonno cotti
togli un pocho de petrosello et menta tagliata menuta menuta et
un pocho di pepe et di zafrano polverizati; et tutte queste cose poni
inseme coli pollastri et col brodo in un piattello et mandali ad
tavola.

  • ¹Sondo: sono,
  • ²agresto sano: con acini interi di uva acerba,
  • ³grane: vinaccioli

Per fare pollastro arrosto
Per fare pollastro arrosto si vuole cocere arrosto; et quando è
cotto togli sucho di pomaranci¹, overo di bono agresto con acqua
rosata, zuccharo et cannella, et mitti il pollastro in un piattello;
et dapoi gettavi questa tal mescolanza di sopra et mandalo ad
tavola.

  • ¹pomaranci: arance

Torta bolognese
Pigliarai altretanto cascio¹ como è ditto nel capitolo di sopra de
la torta biancha, et grattalo. Et nota che quanto è più grasso il
cascio tanto è meglio; poi habi de le vietole², petrosillo³ et maiorana⁴,
et nettate et lavate che l’avrai, battile molto bene con un coltello,
et mittirale inseme con questo cascio, menandole et mescolandole
con le mani tanto che siano bene incorporate, agiongendovi quattro
ova, et del pepe quanto basti, et un pocho di zafrano, item di bono
strutto overo butiro⁵ frescho, mescolando et incorporando tutte queste
cose molto bene inseme como ho ditto. Et questo pieno⁶ mettirai
in una padella con una crosta⁷ di sotto et una di sopra, daendoli⁸ il
focho temperatamente; et quando ti pare che sia meza cotta, perché
para più bella, con un roscio d’ovo battuto con un pocho di zafrano
la farai gialla. Et acconoscere⁹ quando ella è cotta ponerai¹⁰ mente
quando la crosta di sopra si levarà et alzarà in suso¹¹, che allora starà
bene et poterala levare dal focho.

  • ¹Cascio: formaggio,
  • ²vietole: bietole,
  • ³petrosillo: prezzemolo,
  • ⁴maiorana: maggiorana,
  • ⁵butiro: burro,
  • ⁶pieno: ripieno, farcia,
  • ⁷crosta: strato di sfoglia,
  • ⁸daendoli: dandogli,
  • ⁹acconoscere: capire,
  • ¹⁰ponerai mente, starai attento,
  • ¹¹suso: su..
Medio-evo, Rinascimento, Barocco: ricette con foto
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Festival barocco estivo a Plasy. Distretto di Pilsen-sever, Repubblica Ceca.
Medioevo, epoca che si estende, per convenzione, dal 476 al 1492
Il Libro de Arte Coquinaria» 1450-60

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Frictata
Ova frictellate
Ova sperdute
Ova sperdute in lacte o vino dolce
Ova piene
Ova sopra la graticula
Ova nel speto
Ova in patelletta
Ova in cenere calda
Ova tuffate con la sua cortece

maestro martino

Ova frictellate¹
Metti in la padella un poco d’olio, et fa’ che sia un poco caldo, et
rompegli dentro l’ova fresche facendole cocere bene ad ascio, et
frigendosi butta continuamente con la paletta de quello olio che se
frige sopra le ova; et como sono prese² et fatte bianche di sopra
sonno cotte, che [non] si vogliono cocere troppo.

  • ¹frictellate: in forma di frittella,
  • ²prese: rapprese

Ova sperdute¹
Fa’ che l’acqua bolla et rompegli dentro l’ova freschissime, et prese
chelle² sonno cavale fora dell’acqua che siano tenerelle, mettendoli
sopra del zuccaro, dell’acqua rosata, de le spetie dolci, et un
poco di suco di naranci overo agresto; et si più ti piacesse, lasciando
le cose sopra ditte gli mittirai sopra di bon caso³ grattato et de le
spetie dolci.

  • ¹Sperdute: cotte disperse nell’acqua, lessate,
  • ² chelle: che esse,
  • ³caso: cacio

Ova sperdute in lacte o vino dolce
Farai similmente como è ditto nel capitolo precedente, excepto
che non glisse convien mettere sopra del caso.

Ova piene
Fa’ bollire l’ova fresche in l’acqua sane, che siano ben dure, et
cotte monderale e politamente et tagliate per mità cavarane fora tutti
i soi rosci, guardando di non rompere il biancho, et di quelli rosci
ne pistarai una parte con un poca d’uva passa, un poco di bon caso
vecchio et uno del frescho; item di petrosillo¹, maiorana et menta
tagliate menute, agiognendovi uno o doi bianchi d’ova, o più, secundo
la quantità che voli fare, con le spetie dolci o forti, como ti piace. Et
questa tale compositione, mescolato ogni cosa inseme, farai gialla con
il zafrano. Et impierane² quelli bianchi d’ova sopra ditte, frigendole
in olio molto ad ascio; et per farli di sopra il suo sapore³ conveniente,
prendirai alchuni di quelli rosci d’ova che sonno rimasti con una
pocha d’uva passa. Et pistati inseme molto bene, li destemperarai con
un poco de agresto et un poca di sapa, cioè vin cotto; gli passarai
per la stamegna giognendovi un poco di zenzevero, un pochi di
garofoli, et di canella assai, facendo bollire un pochetto questo tal sapore.
Et quando le ditte ova voli mandare ad tavola buttagli di sopra
questo sapore.

  • ¹Petrosillo: prezzemolo,
  • ² impierane: ne riempirai,
  • ³sapore: salsa.

Ova sopra la graticula¹
Batti doi ova fresche molto bene, et fa’ scaldare una padella vota
tanto che sia ben calda et buttagli dentro queste ova battute, lasciandole
andare per tutta la patella² a modo d’una frittata ben sottile
como una carta. Et quando ti pare ben cotta piecala³ in quattro
quatri⁴ che venga quatra⁵ a modo d’un quatretto⁶. Et quella mettirai
sopra la graticula, rompendoli dentro tante ova fresche quante ti
parerà che possine capere⁷ di sopra, dandoli il foco di sotto et di
sopra temperatamente⁸ a modo d’una torta, sopragiognendovi⁹ del
zuccaro et de la canella; et quando ti pare che le dicte ova siano
prese, le mandarai in tavola levandole de la graticula, così como
stanno in quello suo quatretto.

  • ¹graticula: graticola,
  • ²patella: padella,
  • ³piecala: piegala,
  • ⁴quatri: quarti,
  • ⁵ quatra: quadrata,
  • ⁶quatretto: quadretto,
  • ⁷capere: essere contenuti,
  • ⁸temperatamente: moderatamente,
  • ⁹ sopragiognendovi: aggiungendovi sopra
Ova nel speto¹
Scalda molto bene il speto et ficca l’ova dentro per longo o per
traverso como ti piace, et falle voltare² al foco a modo d’arrosto. Et
quando ti parono cotte, cavale fora, et mandale ad tavola.

  • ¹Spiedo
  • ²Voltare: ruotare

Ova in patelletta¹
Metti di bon botiro nelle patellette o rame² et lascialo scaldare un
poco, et habi apparecchiati³ i rosci dell’ova fresche seperate dal biancho
se più ti piaceno, et mettile a cocere, mettendoli del zuccharo et
de la canella, et dalli focho sotto et sopra temperatamente che non
siano troppo cotte. Poi gli mettirai sopra un poco di suco d’aranci
o d’acqua rosata.

  • ¹Patelletta: padellina, tegamino,
  • ²rame: tegamino di rame,
  • ³apparecchiati: pronti

Ova in cenere calda
Metti le ova fresche ne la cenere calda voltandole spesso con
diligentia, che da ogni parte sentano il caldo del foco equalmente¹. Et
quando sudano² ben forte, cavale che son cotte.

  • ¹Equalmente: uniformemente,
  • ²sudano: trasudano

Ova tuffate con la sua cortece¹
Metti le ova fresche in l’acqua freda, et falle bollire per spatio
d’un paternostro o un poco più, et cavale fore.

  • ¹Cortecce: guscio, corteccia

 

 

Medio-evo, Rinascimento, Barocco: ricette con foto
torte maestro martino medioevoTudor_pies_on_pewter_plates_at_Hampton_Court
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Frictata, Maestro Martino «Il Libro de Arte Coquinaria» 1450-60

 

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mostarda Bottega_di_maestro_domenico,_albarello_per_mostarda,_venezia_1570-75_ca

Maestro Martino da Como: Tre ricette del 1465 per l’antenata della mostarda contemporanea

Bottega di maestro Domenico, albarello per mostarda, Venezia 1570-75

Maestro Martino (1430 – fine del XV secolo) è stato un cuoco e gastronomo italiano. Fu il più importante cuoco europeo del secolo XV a lui si deve Libro de Arte Coquinaria, considerato un caposaldo della letteratura gastronomica italiana che testimonia il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale

LIBRO DE ARTE COQUINARIA COMPOSTO PER LO EGREGIO MAESTRO MARTINO COQUO OLIM DEL REVERENDISSIMO MONSIGNOR CAMORLENGO ET PATRIARCHA DE AQUILEIA
Libri di ricette, testi sopra lo scalco, i trinciante e i vini. Dal XIV al XIX secolo. L’opera risale circa al 1465.

maestro martino

CAPITOLO III: PER FAR OGNI SAPORE
Sapor bianco.

 Mostarda

Piglia la senepa¹ et mettila a moglio per doi dì mutandogli spesso l’acqua perché sia più biancha, et habi delle amandole monde et piste como vogliono essere. Et quando seranno ben piste metterai con esse la ditta senepa, et di novo le pistarai inseme molto bene. Poi habi di bono agresto o vero² aceto pistandogli etiamdio una mollicha di pane biancho; poi distemperala et passala per la stamegnia³. Et fallo voi lo dolce o forte como ti piace.

¹senapa: semi di senape
² o vero: ovvero
³stamegnia: setaccio

.

Mostarda roscia¹ o pavonaza²

Piglia la senapa, et falla pistare molto bene et piglia dell‘uva passa, et pistala etiamdio bene quanto più poi³. Et habi un pocho di pane brusculato⁴ et un pochi di sandali⁵, et di cannella, et con un pocho di agresto, o aceto, et sapa⁶ distemperarai questa compositione; et passarala per la stamegnia.

¹roscia: rossa
²pavonaza: paonazza
³poi: puoi
⁴brusculato: abbrustolito
⁵ˆsandali: aroma di sandalo
⁶sapa: mosto cotto

.

Mostarda da portar in pezi cavalcando.

Habi la senepa¹ et pistala como è ditto di sopra, et habi de l’uva passa molto ben pista; et con le ditte cose mitti de la cannella, un pochi de garofoli² Poi ne poterai fare pallottole tonde a modo di quelle che se tragono³ con l’archo, o pezoli⁴ quadri di quella grandeza che ti pare et ti piace; et li metterai per un pezo ad asciucchare⁵ sopra una tavola, et sciutti⁶ tu li poterai portare de loco ad loco dove tu vorrai. Et quando li vorrai usare li poterai stemperare con un pocho d’agresto, o aceto, o vino cotto, cioè sapa.

¹senapa: senape
²garofoli: chiodi di garofano
³tragono con larcho: tirano con la balestra
⁴pezoli: pezzettini
⁵asciucchare: asciugare
⁶sciutti: asciugati
Medio-evo, Rinascimento, Barocco: ricette con foto
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La ricetta in dialetto romagnolo della Sapa o Saba, sciroppo d’uva

Bottega di maestro domenico, albarello per mostarda, venezia 1570-75 ca.jpg
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