Zitoni alla papalina, la ricetta-sonetto di Aldo Fabrizi

“Alla Papalina”
Agli inizi del ‘900 in un ristorante romano, dove preparavano i pasti per il Vaticano, il cardinale Pacelli (divenuto poi Papa Pio XII) chiese un piatto che rispettasse la tradizione romana ma che fosse leggero. Il cuoco preparò una variante raffinata della carbonara con il prosciutto invece del guanciale o la pancetta, il parmigiano al posto del pecorino e piselli.i

– Zitoni ripieni, uno per uno, con pisellini ed infornati in una teglia a strati con besciamella e parmigiano –

Spezzati in due (1), lessati e sgocciolati. Zitoni alla papalina. Le ricette-poesie di Aldo Fabrizi,
ancora dritti come candelotti (2),
(tenenno conto che rivanno cotti)
per evità l’incollo (3) vanno ojati.

Dopo d’avelli bene impilottati (4)
de pisellini teneri, stracotti,
se sardeno (5), listesso a l’agnolotti,
co’ un po’ de chiara, d’ôvo a li du’ lati (6).

Poi vanno messi dentro a ‘na tiella,
a strati, sia pe’ dritto che a traverso
e sopra ognuno (7) cacio (8) e besciamella.

A galla (9) besciamella (10) e Lodigiano (11),
dorate al forno, e dopo… nun ve scherzo,
si sente papa pure un sagrestano (12).

  1. In due pezzi, cioè a metà, per facilitarne la cottura, considerando che nelle moderne confezioni sono lunghi pressappoco 28 centimetri.
  2. Al dentissimo: perciò sarà bene cuocerli in una grande pentola o meglio in una pesciera, con molta acqua, nella quale avrete stemperato qualche cucchiaio d’olio. Questo eviterà che, sebbene di forma cilindrica, s’incollino l’uno con l’altro.
  3. Cioè un secondo pericolo di appiccicamento. Appena tolti dal fuoco riempire il recipiente di acqua fredda, sia per fermarne la cottura, sia per poterli ungere di olio o burro senza scottarsi le dita e sia per evitare il suddetto inconveniente
  4. Farciti.
  5. Saldano.
  6. Essendo la chiara d’uovo un adesivo, basta premere, tra pollice e indice, le estremità degli Zitoni per evitare che esca fuori il ripieno, cioè i piselli che vanno cotti prima a crudo con un po’ d’acqua, burro, dado, un sapore di cipolla e un tritato di prosciutto.
  7. Strato, non Zitone.
  8. O groviera o fontina e, secondo i gusti, mozzarella, scamorza, provatura, ricotta.
  9. Su tutta la superficie.
  10. E burro disseminato a fiocchi.
  11. Tipo di formaggio simile al parmigiano e al reggiano ma – a mio avviso – (come usano dire nei dibattiti televisivi coloro che non vogliono compromettersi) dicevo a mio avviso, molto superiore a questi per il gusto, per il profumo e soprattutto per il prezzo. Di forma più piccola di quello Emiliano, ha grana a nido d’ape e la cosiddetta “lacrima” è addirittura un pianto. Una trentina d’anni fa, oltre a queste caratteristiche, aveva anche leggère venature verdognole, ormai scomparse, in quanto, purtroppo, i pascoli di quell’epoca non esistono più. Un mio amico che possiede a Milano il più bel negozio d’Europa, anzi del Mondo (sempre a mio avviso), qualche anno fa, mentre mi trovavo a Bologna per le rappresentazioni del Rugantino, in occasione del Natale, me ne mandò mezza forma, una diecina di chili, come omaggio affettuoso. Un’affettuosità che purtroppo aumentò il mio peso in quanto, per la paura che il formaggio andasse a male, lo consumai con più frequenza. Pensate: se per condire mezzo chilo di pasta, ne occorre circa un etto, quel dono Lombardo fu cosparso su quasi cinquanta chili e, dato che da un chilo si ottengono otto scodelle, calcolate voi stessi i giri della mia forchetta… a me nun me va de fa li carcoli, non solo con le “operazioni” ma neanche a mente. A un certo momento mi resi conto che, oltre alla sarta di Compagnia, che doveva continuamente allargare i miei vestiti, avrei avuto bisogno anche di un calzolaio, sempre di Compagnia, perchè mi andavano ormai strette pure le scarpe. Per le scarpe personali risolsi il problema acquistandone un nuovo paio, ma per quelle del mio Personaggio, fatte a Roma dal calzolaio teatrale, il problema era insolvibile. Con quelle scarpe soffrivo mille pene, tuttavia avrei sofferto di più se il formaggio fosse andato a male. Le tagliatelle bolognesi, amalgamate con quel tipo di formaggio, erano una cosa da morire! (come tentò di farmi capire il mio medico). Promuovevo pranzi e cene con compagni e amici finchè una specie di ossessione me le faceva vedere in tutte le ore, perfino nei sogni, tanto è vero che andavo a dormire con la forchetta in mano.
  12. Il sagrestano non c’entra niente, quello che voglio dirvi in questa dodicesima nota è che, se nonostante la descrizione in versi e in prosa, non avete né il tempo né la volontà di realizzare la presente ricetta, è meglio che voltiate pagina o vi facciate una minestrina col dado, che, certe volte (a mio avviso), è molto meglio di tanti piatti complicati e indigesti.

Ricette-sonetto di Aldo FABRIZI

la pastasciutta A Fabrizi 1974 libri

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 Aldo Fabrizi (Roma, 1905 -1990) è stato un attore, sceneggiatore, regista e poeta italiano. Di umile famiglia (la madre gestiva un banco di frutta e verdura a Campo de’ Fiori) a undici anni rimase orfano del padre Giuseppe, morto in un grave incidente. Costretto ad abbandonare gli studi per contribuire al sostentamento della numerosa famiglia, che comprendeva anche cinque sorelle – tra le quali Elena Fabrizi (1915-1993), in seguito soprannominata sora Lella – si adattò a fare i lavori più disparati. Appassionato di gastronomia amava in modo particolare cucinare la pasta e, sulla pasta e le sue tante e diverse ricette, scrisse anche alcune  poesie in dialetto romanesco.

La Gricia, la ricetta-sonetto di Aldo Fabrizi

Pasta all’ acquamarina, la ricetta-sonetto di Aldo Fabrizi

Spaghetti alle telline (arselle), la ricetta-sonetto di Aldo Fabrizi

 

Zitoni alla papalina, la ricetta-sonetto di Aldo Fabriziultima modifica: 2014-04-07T05:46:00+02:00da patiba0
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