Lesso rifatto all'italiana e all'inglese Artusi

Il lesso rifatto all’italiana e all’inglese dell’Artusi

Ricicliamo gli avanzi

Sulla tavola delle Feste presentiamo il lesso e il bollito in modo diverso! Dopo aver riciclato il lesso o il bollito come Polpettone, Pasticcio, Frittata e le classiche Polpette di carne alla romagnola,  questa volta ho fatto…  il «Rifatto».

  • Bollire: mettere in acqua fredda e cuocere finchè arriva a bollore.
  • Lessare: mettere in acqua a ebollizione e cuocere a fuoco lentissimo.

Umidi

357. LESSO RIFATTO ALL’ITALIANA
Se non vi dà noia la cipolla, questo riesce migliore del precedente. Per la stessa quantità di lesso trinciate gr. 150 di cipolline, mettetele in padella con grammi 50 di burro e allorché cominciano a rosolare buttateci il lesso tagliato a fette sottili, uno spicchio d’aglio intero, vestito e leggermente stiacciato, che poi leverete, e conditelo con sale e pepe. Via via che accenna a prosciugare bagnatelo col brodo e dopo sette od otto minuti uniteci un pizzico di prezzemolo tritato e il sugo di mezzo limone, e servitelo.

355. LESSO RIFATTO
Talvolta per mangiare il lesso più volentieri, si usa rifarlo in umido; ma allora aspettate di avere un tocco di carne corto e grosso, del peso non minore di mezzo chilogrammo. Levatelo dal brodo avanti che sia cotto del tutto e mettetelo in casseruola sopra un battuto di carnesecca, cipolla, sedano, carota e un pezzetto di burro, condendolo con sale, pepe e spezie. Quando il battuto sarà strutto, tirate la carne a cottura con sugo di pomodoro o conserva sciolta nel brodo. Passate l’intinto, digrassatelo e rimettetelo al fuoco col pezzo della carne e con un pugnello di funghi secchi rammolliti.

356. LESSO RIFATTO ALL’INGLESE
L’arte culinaria si potrebbe chiamare l’arte dei nomi capricciosi e strani. Toad ín the bole, rospo nella tana; così chiamasi questo lesso rifatto, il quale, come osserverete dalla ricetta, e come sentirete mangiandolo, se non è un piatto squisito sarebbe ingiuria dargli del rospo.A Firenze mezzo chilogrammo di carne da lesso, che può bastare per tre persone, resta, netta dell’osso, gr. 350 circa e, prendendo questa quantità per base, frullate in un pentolo un uovo con grammi 20 di farina e due decilitri di latte. Tagliate il lesso in fette sottili e, preso un vassoio che regga al fuoco, scioglieteci dentro grammi 50 di burro e distendetelo sopra questo, poi conditelo con sale, pepe e spezie. Quando avrà soffritto da una parte e dall’altra spargetegli sopra una cucchiaiata colma di parmigiano e poi versate sul medesimo il contenuto del pentolo. Lasciate che il liquido assodi e mandatelo in tavola.

Artusi: Giugno - Nota pranzo I

Lesso rifatto all’italiana e all’inglese Artusi
Menù per pranzo e cena San Biagio Cappelletti di Romagna Artusi

Cappelletti all’uso di Romagna dell’Artusi

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Sono così chiamati per la loro forma a cappello.
Ecco il modo più semplice di farli onde riescano meno gravi allo stomaco.
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Ricotta, oppure metà ricotta e metà cacio raviggiolo, grammi 180.
Mezzo petto di cappone cotto nel burro, condito con sale e pepe, e tritato fine fine colla lunetta..
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, uno intero e un rosso.
Odore di noce moscata,
poche spezie,
scorza di limone a chi piace.
Un pizzico di sale.

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Assaggiate il composto per poterlo al caso correggere, perché gl’ingredienti non corrispondono sempre a un modo. Mancando il petto di cappone, supplite con grammi 100 di magro di maiale nella lombata, cotto e condizionato nella stessa maniera. Se la ricotta o il raviggiolo fossero troppo morbidi, lasciate addietro la chiara d’uovo oppure aggiungete un altro rosso se il composto riescisse troppo sodo
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Per chiuderlo fate una sfoglia piuttosto tenera di farina spenta con sole uova servendovi anche di qualche chiara rimasta, tagliatela con un disco rotondo della grandezza come quello segnato (N.B. circa 6 cm di diametro).
Ponete il composto in mezzo ai dischi e piegateli in due formando così una mezza luna; poi prendete le due estremità della medesima, riunitele insieme ed avrete il cappelletto compito. Se la sfoglia vi si risecca fra mano, bagnate, con un dito intinto nell’acqua, gli orli dei dischi.

Questa minestra per rendersi più grata al gusto richiede il brodo di cappone; di quel rimminchionito animale che per sua bontà si offre nella solennità di Natale in olocausto agli uomini.

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Cuocete dunque i cappelletti nel suo brodo come si usa in Romagna, ove trovereste nel citato giorno degli eroi che si vantano di averne mangiati cento; ma c’è il caso però di crepare, come avvenne ad un mio conoscente. A un mangiatore discreto bastano due dozzine.
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cappelletti ripienoCappelletti1cappelletti cappelletti (2).
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A proposito di questa minestra vi narrerò un fatterello, se vogliamo di poca importanza, ma che può dare argomento a riflettere. Avete dunque a sapere che di lambiccarsi il cervello su’ libri i signori di Romagna non ne vogliono saper buccicata, forse perché fino dall’infanzia i figli si avvezzano a vedere i genitori a tutt’altro intenti che a sfogliar libri e fors’anche perché, essendo paese ove si può far vita gaudente con poco, non si crede necessaria tanta istruzione; quindi il novanta per cento, a dir poco, dei giovanetti, quando hanno fatto le ginnasiali, si buttano sull’imbraca, e avete un bel tirare per la cavezza ché non si muovono.
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Fino a questo punto arrivarono col figlio Carlino, marito e moglie, in un villaggio della bassa Romagna; ma il padre che la pretendeva a progressista, benché potesse lasciare il figliuolo a sufficienza provvisto avrebbe pur desiderato di farne un avvocato e, chi sa, fors’anche un deputato, perché da quello a questo è breve il passo. Dopo molti discorsi, consigli e contrasti in famiglia fu deciso il gran distacco per mandar Carlino a proseguire gli studi in una grande città, e siccome Ferrara era la più vicina per questo fu preferita. Il padre ve lo condusse, ma col cuore gonfio di duolo avendolo dovuto strappare dal seno della tenera mamma che lo bagnava di pianto.
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Non era anco scorsa intera la settimana quando i genitori si erano messi a tavola sopra una minestra di cappelletti, e dopo un lungo silenzio e qualche sospiro la buona madre proruppe: – Oh se ci fosse stato il nostro Carlino cui i cappelletti piacevano tanto! – Erano appena proferite queste parole che si sente picchiare all’uscio di strada, e dopo un momento, ecco Carlino slanciarsi tutto festevole in mezzo alla sala. – Oh! cavallo di ritorno, esclama il babbo, cos’è stato? – È stato, risponde Carlino, che il marcire sui libri non è affare per me e che mi farò tagliare a pezzipiuttosto che ritornare in quella galera. – La buona mamma gongolante di gioia corse ad abbracciare il figliuolo e rivolta al marito: – Lascialo fare, disse, meglio un asino vivo che un dottore morto; avrà abbastanza di che occuparsi co’ suoi interessi. – Infatti, d’allora in poi gl’interessi di Carlino furono un fucile e un cane da caccia, un focoso cavallo attaccato a un bel baroccino e continui assalti alle giovani contadine.
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Vino
Sangiovese, Pagadebit, Cagnina di Romagna
cappelletti

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Stampa romagnola a ruggine¹ su tela di cotone
  • ¹Nell’opera “la Romagna” di Emilio Rosetti¹ della fine dell’ Ottocento, si trova il primo riferimento alle stamperie romagnole: “… vi sono 21 tintorie nella provincia di Forlì; 15 in quella di Ravenna, 9 nel Montefeltro romagnolo e qualcun’altra nel resto della Romagna, che impiegano iin tutto circa 250 operai. In alcune di esse si opera anche la stampa a mano dei tessuti, ma questa industria va diminuendo rapidamnete per la concorrenza del di fuori”.²
    Anche Aldo Spallicci¹, poeta e cultore di cose romagnole, si curò di queste tele stampate perchè entrassero a far parte degli argomenti di etnografia romagnola. Descrisse minuziosamente la preparazione dell’impasto in una ricetta, compilata come una ricetta di cucina. All’ epoca la destinazione era il ceto modesto, e i motivi impressi sulla canapa ricordavano le decorazioni “dei ricchi”: trine, pizzi, ricami, filet o stampe ben più preziose. [continua…]

 Stampe romagnole ruggine stampi di pero x tele a ruggine romagnole tovaglia stampa ruggine romagnola

Cappelletti di Romagna Artusi
carolina natale 2

Artusi: Nota di Pranzo per la Festa di Natale

“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”

Nota di Pranzo
Minestre in brodo. Cappelletti all’uso di Romagna n. 2
Principii. Crostini di fegatini di pollo n. 110
Lesso. Cappone con Sformato di riso verde n. 245
Rifreddo. Paticcio di lepre n. 372
Arrosto. Gallina di Faraone n. 546, e uccelli
Dolci. Panforte di Siena – Pane certosino di Bologna –
Gelato di mandorle n. 759

Crostini di fegatini di pollo n. 110
Sapete già che ai fegatini va levata la vescichetta del fiele senza romperla, operazione questa che eseguirete meglio operando dentro a una catinella d’acqua. Mettete i fegatini al fuoco insieme con un battutino composto di uno scalogno, e in mancanza di questo di uno spicchio di cipollina bianca, un pezzetto di grasso di prosciutto, alcune foglie di prezzemolo, sedano e carota, un poco d’olio e di burro, sale e pepe; ma ogni cosa in poca quantità per non rendere il composto piccante o nauseante.

A mezza cottura levate i fegatini asciutti e, con due o tre pezzi di funghi secchi rammolliti, tritateli fini colla lunetta. Rimetteteli al fuoco nell’intinto rimasto della mezza cottura e con un poco di brodo finite di cuocerli, ma prima di servirvene legateli con un pizzico di pangrattato fine e uniteci un po’ d’agro di limone.
Vi avverto che questi crostini devono esser teneri e però fate il composto alquanto liquido, oppure intingete prima, appena appena, le fettine di pane nel brodo.

Sformato di riso verde n. 245
Riso per contorno
Quando avrete per lesso una pollastra o un cappone mandateli in tavola con un contorno di riso che vi sta bene. Per non consumar tanto brodo imbiancate il riso nell’acqua e terminate di cuocerlo col brodo dei detti polli. Tiratelo sodo e, quando è quasi cotto, dategli sapore con burro e parmigiano in poca quantità; posto che il riso sia grammi 200, quando lo ritirate dal fuoco legatelo con un uovo o, meglio, con due rossi.

Se il riso, invece che al lesso di pollo dovesse servire di contorno a uno stracotto di vitella di latte o a bracioline, aggiungete agl’ingredienti sopra indicati due o tre cucchiaiate di spinaci lessati e passati per istaccio. Avrete allora un riso verde e più delicato.
Si può dare migliore aspetto a questi contorni restringendo il riso a bagno-maria entro a uno stampo; ma badate non indurisca troppo, che sarebbe un grave difetto.

Pasticcio di lepre n. 372
Chi non ha buone braccia non si provi intorno a questo pasticcio. La natura arida delle carni della bestia di cui si tratta e il molto ossame, richiedono una fatica improba per estrarne tutta la sostanza possibile, senza di che non fareste nulla di veramente buono.
Quello che qui vi descrivo fu fatto alla mia presenza, nelle seguenti dosi e proporzioni sulle quali, regolandovi, ritengo non sia il caso di sciupare i vostri quattrini.

Mezza lepre, senza testa e gli zampucci, un chilogrammo.
Magro di vitella di latte, grammi 230.
Burro, grammi 90.
Lingua salata, grammi 80.
Grasso di prosciutto, grammi 80.
Prosciutto grasso e magro, tagliato grosso mezzo dito, grammi 50.
Detto, tagliato fine, grammi 30.
Tartufi neri, grammi 60.
Farina per la besciamella, grammi 30.
Marsala, decilitri 3.
Uova, n. 2.
Latte, mezzo bicchiere.
Brodo, quanto basta.

Dalla lepre, dopo averla lavata ed asciugata, levate grammi 80 di magro dal filetto o altrove e ponetelo da parte. Poi scarnite tutte le ossa, per separarle dalla carne, rompetele e ponete anche queste da parte. La carne tagliatela a pezzi, e coi suddetti grammi 80 di magro, lasciato intero, mettetela in infusione con due terzi circa della detta marsala e coi seguenti odori tagliati all’ingrosso: un quarto di una grossa cipolla, mezza carota, una costola di sedano lunga un palmo, diversi gambi di prezzemolo e due foglie di alloro. Conditela con sale e pepe, rivoltate bene ogni cosa e lasciatela in riposo diverse ore. Frattanto nettate dalle pelletiche la carne di vitella di latte, sminuzzatela col coltello e pestatela nel mortaio quanto più fine potete.
Scolate dalla marsala la carne messa in infusione e con tutte le ossa, gli odori indicati, il grasso di prosciutto, tagliato a pezzettini e grammi 30 del detto burro, ponetela in una casseruola coperta e, a fuoco vivo, lasciatela rosolar bene, rimuovendola spesso col mestolo e bagnandola, quando sarà asciutta, con marsala, servendovi anche di quella rimasta dell’infusione, e con brodo fino a cottura completa. Allora separate nuovamente la carne dalle ossa e rimettete da parte gli 80 grammi di magro per formare con questo, coi grammi 50 di prosciutto e con la lingua, tanti filetti grossi più di mezzo dito.

Pestate prima tutta la carne della lepre nel mortaio, bagnandola di quando in quando per renderla più pastosa, ma non troppo liquida, col resto della marsala e con brodo e passatela; poi pestate le ossa e procurate che passi di queste tutto quel che più potete, avvertendovi però occorrervi a quest’uopo uno staccio di fil di ferro.
Ora, fate una besciamella con grammi 30 del detto burro, la farina e il latte indicati e, cotta che sia, versate nella stessa casseruola tutta la carne passata, tanto quella della lepre che della vitella di latte cruda, aggiungete le due uova, mescolate bene ed assaggiate il composto se è dosato giusto di condimenti, per aggiungere, se occorre, sale e il resto del burro.

Adesso incassate il pasticcio colla pasta qui sotto descritta e per riempirlo regolatevi come nel n. 370. I tartufi tagliateli a tocchetti grossi come le nocciole e così crudi e con tutti i filetti descritti disponeteli a tre suoli alternati col composto ben pigiato onde vengano sparsi regolarmente, e facciano bella mostra quando il pasticcio si taglia. Per ultimo distendetegli sopra i grammi 30 di prosciutto a fette piuttosto sottili e copritelo.
Potete coprirlo con pasta sfoglia a metà, come quella della ricetta n. 155, oppure con la seguente:

Farina, grammi 250.
Burro, grammi 80.
Spirito di vino, cucchiaini n. 2.
Zucchero, cucchiaini n. 2.
Rossi d’uovo, n. 2.
L’agro di uno spicchio di limone.
Sale, grammi 5.
Acqua fredda, se occorre.

Con la norma di questo, salvo qualche variazione del caso, potete fare diversi altri pasticci di selvaggina, come sarebbe di cignale, daino e capriolo. Questo ritengo possa bastare per un pranzo anche di venti persone.

Gallina di Faraone n. 546
Questo gallinaceo originario della Numidia, quindi erroneamente chiamato gallina d’India, era presso gli antichi il simbolo dell’amor fraterno. Meleagro, re di Calidone, essendo venuto a morte, le sorelle lo piansero tanto che furono da Diana trasformate in galline di Faraone. La Numida meleagris, che è la specie domestica, mezza selvatica ancora, forastica ed irrequieta, partecipa della pernice sia nei costumi che nel gusto della carne saporita e delicata. Povere bestie, tanto belline! Si usa farle morire scannate, o, come alcuni vogliono, annegate nell’acqua tenendovele sommerse a forza; crudeltà questa, come tante altre inventate dalla ghiottoneria dell’uomo. La carne di questo volatile ha bisogno di molta frollatura e, nell’inverno, può conservarsi pieno per cinque o sei giorni almeno.

Il modo migliore di cucinare le galline di Faraone è arrosto allo spiede. Ponete loro nell’interno una pallottola di burro impastata nel sale, steccate il petto con lardone ed involtatele in un foglio spalmato di burro diaccio spolverizzato di sale, che poi leverete a due terzi di cottura per finire di cuocerle e di colorirle al fuoco, ungendole coll’olio e salandole ancora.
Al modo istesso può cucinarsi un tacchinotto.

Gelato di crema con mandorle n. 759
Servitevi della ricetta n. 685, e cioè fate una crema con

Latte, un litro.
Zucchero, grammi 200.
Rossi d’uovo, n. 8.
Odore di vainiglia.
Sentirete un gelato squisito, mantecato e ben sodo, se saprete manipolarlo.
Questa dose potrà bastare per dieci persone.

Invece dell’odore di vainiglia potete dare alla crema quello de’ coriandoli o del caffè bruciato o della mandorla tostata. Pei coriandoli, vedi Latte alla portoghese, n. 693; pel caffè fatene bollire a parte nel latte diversi chicchi contusi, per la mandorla tostata fate un poco di Croccante come quello del n. 617, alquanto più cotto, con grammi 100 di mandorle e grammi 80 di zucchero; pestatelo fine, fatelo bollire a parte in un poco di latte, passatelo ed unitelo alla crema.

 Artusi: Nota di Pranzo Natale

 

Cignale (cinghiale) dolce-forte Artusi

Cignale (cinghiale) in dolce-forte dell’ Artusi

La cottura in dolce-forte è un modo antichissimo di cucinare la carne e, in particolare, tipico della terra Toscana. Così, nel Trecento, venivano trattate le carni di lepre, cervo e cinghiale, lingua di manzo e baccalà servite nelle occasioni speciali. Il gusto di queste pietanze è un po’ lontano da come intendiamo i sapori oggigiorno, ma perchè non provare a rievocare quanto avveniva nei deschi rinascimentali!

Il primo cacao fu importato dalle zone equatorali africane aperte, sin da prima della nacita di Cristo, a fitte vie commerciali! La varietà non era l’odierna, i chicchi erano più piccoli e le piante più basse e rare, infatti al giorno d’oggi è pressochè estinto. Il mondo ha però conosciuto il cacao dopo la scoperta dell’America con cui comunemente gli storici fanno finire il Medioevo. I primi semi di cacao arrivarono in Europa dalle Americhe, solo con i conquistadores di ritorno dalle loro razzie e massacri intorno al 1530, a Medioevo finito.

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dolce forte cinghiale cervo-al-cacao

Questa è una ricetta che ci arriva dal Medioevo, tramandata di madre in figlia e molto conosciuta in Toscana.

La ricetta 285 è tratta da: La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, di P. Artusi, manuale di cucina del 1891

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«A me pare sia bene che il cignale da fare dolce-forte debba avere la sua cotenna con un dito di grasso, perché il grasso di questo porco selvatico, quando è cotto, resta duro, non nausea ed ha un sapore di callo piacevolissimo. Supposto che il pezzo sia di un chilogrammo all’incirca, eccovi le proporzioni del condimento. Fate un battuto con mezza cipolla, la metà di una grossa carota, due costole di sedano bianco lunghe un palmo, un pizzico di prezzemolo e grammi 30 di prosciutto grasso e magro. Tritatelo fine colla lunetta e ponetelo in una casseruola con olio, sale e pepe sotto al cignale per cuocerlo in pari tempo. Quando il pezzo ha preso colore da tutte le parti, scolate buona parte dell’unto, spargetegli sopra un pizzico di farina, e tiratelo a cottura con acqua calda versata di quando in quando. Preparate intanto il dolce-forte in un bicchiere coi seguenti ingredienti e gettatelo nella casserola; ma prima passate il sugo.

Uva passolina, grammi 40. Cioccolata, grammi 30. Pinoli, grammi 30. Candito a pezzetti, grammi 20. Zucchero, grammi 50.

Aceto quanto basta; ma di questo mettetene poco, perché avete tempo di aggiungerlo dopo. Prima di portarlo in tavola fatelo bollire ancora onde il condimento s’incorpori, anzi debbo dirvi che il dolce-forte viene meglio se fatto un giorno per l’altro. Se lo amate più semplice componete il dolce-forte di zucchero e aceto soltanto. Nello stesso modo potete cucinare la lepre.»

(Nella foto il sugo al cacao lepre, cervo e cinghiale, lingua di manzo e baccalà in dolce-forte)

Vino

Brunello di Montalcino e Bolgheri rosso (Toscana)


La rinascimentale Lepre in dolce forte

Lepre in dolce e forte

 

 

 

by Diego y tal from Madrid, España – Gamo a la cazuela. Licensed under CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons
Tartufo... secondo l'Artusi

Sua Maestà il Tartufo… secondo l’Artusi

I tartufi nel fazzoletto del tartufaio

Come si chiamano i cercatori di tartufi?
 La parola “trifolau” viene dal dialetto piemontese e indica colui che gli addetti ai lavori chiamano il “cavatore”, cioè il cercatore di tartufi. (Google)
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Petti di pollo alla sauté
Crostini con tartufi
Tartufi alla bolognese, crudi, ecc..

 269. Petti di pollo alla sauté

Il miglior modo di cucinare i petti di pollo mi pare che sia il seguente, perché riescono delicati al gusto e fanno tale comparita che un petto di cappone può bastare in un pranzo per quattro o cinque persone. Tagliate i petti a fette sottili quasi come la carta, date loro la miglior forma che sarà possibile e dei minuzzoli che ricavate nel ripulir bene lo sterno, formatene un intero pezzo, unendoli insieme e schiacciandoli. Poi conditeli con sale e pepe e metteteli in infusione nelle uova frullate. Dopo qualche ora passateli nel pangrattato fine e cuoceteli col burro nella sauté o in teglia. Se li aggradite naturali basta l’agro di limone; se poi li volete coi tartufi potete trattarli come le cotolette del n. 312, oppure nella maniera che segue:

Prendete un tegamino di metallo, versate nel medesimo tant’olio che appena ne ricuopra il fondo, distendete un suolo di fettine di tartufi, spargendovi sopra pochissimo parmigiano grattato e una presa di pangrattato. Ripetete la stessa operazione per tre o quattro volte, secondo la quantità, e per ultimo condite con olio, sale, pepe e qualche pezzettino di burro, il tutto a piccole dosi perché non nausei. Mettete il tegame al fuoco e quando avrà alzato il bollore annaffiate con un ramaiolino di sugo di carne o di brodo e un po’ d’agro di limone. Ritirate presto dal fuoco questo intingolo e versatelo sopra i petti già rosolati nel modo anzidetto.

Non avendo i tartufi, servitevi di funghi secchi rammolliti tritati all’ingrosso, e se manca l’agro di limone ricorrete al sugo di pomodoro o alla conserva.

109. Crostini con tartufi

Prendete a preferenza i bastoncini di pane e tagliateli a fette diagonali: in mancanza di essi preparate fettine di pane a forma elegante, arrostitele appena e così a bollore ungetele col burro. Sopra di esse distendete i tartufi preparati nel modo descritto al n. 269 (ricetta precedente: Petti di pollo alla sauté) e bagnateli coll’intinto che resta.

 408. Tartufi alla bolognese, crudi, ecc.

La gran questione dei Bianchi e dei Neri che fece seguito a quella dei Guelfi e dei Ghibellini e che desolò per tanto tempo l’Italia, minaccia di riaccendersi a proposito dei tartufi, ma consolatevi, lettori miei, che questa volta non ci sarà spargimento di sangue; i partigiani dei bianchi e dei neri, di cui ora si tratta, sono di natura molto più benevola di quei feroci d’allora. Io mi schiero dalla parte dei bianchi e dico e sostengo che il tartufo nero è il peggiore di tutti; gli altri non sono del mio avviso e sentenziano che il nero è più odoroso e il bianco è di sapore più delicato: ma non riflettono che i neri perdono presto l’odore.

I bianchi di Piemonte sono da tutti riconosciuti pregevoli, e i bianchi di Romagna, che nascono in terreno sabbioso, benché sappiano d’aglio, hanno molto profumo. Comunque sia, lasciamo in sospeso la gran questione per dirvi come si preferisce di cucinarli a Bologna, Bologna la grassa per chi vi sta, ma non per chi vi passa. Dopo averli bagnati e nettati, come si usa generalmente, con uno spazzolino tuffato nell’acqua fresca, li tagliano a fette sottilissime e, alternandoli con altrettante fette sottilissime di parmigiano, li dispongono a suoli in un vassoio di rame stagnato, cominciando dai tartufi. Li condiscono con sale, pepe e molto olio del migliore, e appena hanno alzato il bollore, spremono sui medesimi un limone togliendoli subito dal fuoco. Alcuni aggiungono qualche pezzetto di burro; se mai mettetene ben poco per non renderli troppo gravi.

Si usa pure mangiare i tartufi crudi tagliati a fette sottilissime e conditi con sale, pepe e agro di limone. Legano bene anche con le uova. Queste frullatele e conditele con sale e pepe. Mettete al fuoco burro in proporzione e quando sarà strutto versateci le uova e dopo poco i tartufi a fette sottili, mescolando. A tutti è nota la natura calida di questo cibo, quindi mi astengo dal parlarne perché potrei dirne delle graziose. Pare che i tartufi venissero per la prima volta conosciuti in Francia nel Périgord sotto Carlo V. Io li ho conservati a lungo nel seguente modo, ma non sempre mi è riuscito: tagliati a fette sottili, asciugati al fuoco, conditi con sale e pepe, coperti d’olio e messi al fuoco per far loro alzare il bollore. Da crudi si usa tenerli fra il riso per comunicare a questo il loro profumo.

  • Che esistano ben 3 ricette relative al tartufo conferma quanto segue: Che l’Artusi non riporti una ricetta per i tortelli di zucca può mettere qualcuno in allarme ed indurci a pensare che questo piatto non sia considerato italiano o meritevole. La spiegazione del perchè la ricetta non sia inclusa nella ‘bibbia’ della cucina italiana può essere fatta risalire al fatto che l’Artusi considerasse la zucca cibo per tavole ben più povere di quelle per le quali le ricette raccolte nel suo libro erano destinate, ovvero le mense della nuova emergente classe borghese.

Artusi: Giugno - Nota pranzo I

Artusi: Agosto – Nota di pranzo I

“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”
AGOSTO

Nota di pranzo IMinestre in brodo. Taglierini
Principii. Popone col prosciutto e vino generoso perchè giusta il proverbio: Quando sole est in leone Pone muliem in cantone
Bibe vinum cum sifone
Lesso. Vitella, con fagiuolini dall’occhio all’aretina n. 383, o con Fagoiuolini colla balsamella n. 381
Trasmesso. Vol-au-vent ripieno di rigaglie n. 161
Umido. Cotolette di vitella di latte col prosciutto n. 313
Arrosto. Tacchinotto n. 549, con insalata
Dolci. Pere in composta n. 709 – Crema montata in gelo n. 689 oppure Bavarese lombarda n. 674
Frutta e formaggio. Frutte diverse di stagione

Fagiuolini dall’occhio all’aretina n. 383
Spuntateli alle due estremità e tagliateli in tre parti. Metteteli in una casseruola con due spicchi d’aglio interi, sugo di pomodoro crudo e con tant’acqua diaccia che li ricopra. Conditeli con olio, sale e pepe; poi metteteli al fuoco e fateli bollire adagio fino a cottura completa avvertendo che vi resti alquanto sugo ristretto per renderli più gradevoli. Possono servire come piatto di tramesso o di contorno al lesso.
 
Cotolette di vitella di latte col prosciutto n. 313
Preparate le cotolette come quelle del numero precedente e mettetele nell’uovo con una fetta sottilissima di prosciutto grasso e magro della dimensione della cotoletta stessa. Panatele col prosciutto appiccicato sopra, salatele poco e rosolatele nel burro dalla parte dove non è il prosciutto. Sopra al prosciutto, invece de’ tartufi, distendete fette sottilissime di parmigiano o di gruviera, finite di cuocerle col fuoco sopra e servitele con sugo di carne ed agro di limone, oppure con sugo di pomodoro.
 
Pere in composta n. 709
Pere, grammi 600.
Zucchero fine in polvere, grammi 120.
Acqua, due bicchieri.
Mezzo limone.Se sono perine lasciatele intere col loro gambo; se sono grosse tagliatele a spicchi: sì le une che le altre via via che le sbucciate gettatele nell’acqua suddetta in cui avrete spremuto il mezzo limone. Questo serve per conservare la bianchezza al frutto. Fatele bollire nella stessa acqua passata dal colino, versate lo zucchero quando entra in bollore e pel resto regolatevi come per le albicocche. Servitele diacce.

Artusi: Agosto – Nota di pranzo I
Artusi: Giugno - Nota pranzo I

Artusi: Agosto – Nota di pranzo II

“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”
AGOSTO
Nota di pranzo II
Minestre in brodo. Zuppa regina n. 39
Lesso. Arigusta con salsa maionese n. 476
Umido. Petti di pollo alla sauté n. 269
Erbaggi. Sformato di zucchini n. 451
Arrosto. Anatra domestica, piccioni e insalata
Dolci. Pesche ripiene n. 697- Gelato di lampone n. 756
Frutta e formaggio. Popone, fichi ed altre frutte di stagione

Zuppa regina n. 39
Dal nome si dovrebbe giudicare per la migliore di tutte le zuppe. Certamente si può collocare fra le più signorili, ma c’è esagerazione nel titolo.
Si fa colle carni bianche del pollo arrosto nettate dalla pelle e dai tendini. Tritatele bene colla lunetta, poi pestatele in un mortaio con cinque o sei mandorle dolci sbucciate, e con una midolla di pane inzuppata nel brodo o nel latte, in proporzione di un quinto o di un sesto della quantità della carne. Quando il composto sarà pestato ben bene, passatelo dallo staccio, ponetelo nella zuppiera e scioglietelo con un ramaiolo di brodo caldo.
Tagliate il pane a dadini, friggetelo nel burro e gettate anche questo nella zuppiera. Dopo versateci il brodo bollente, mescolate e mandate la zuppa in tavola col parmigiano a parte.
Questa minestra può venire opportuna quando, dopo un pranzo, rimangono avanzi di pollo arrosto, o lessi, benché sia migliore quando è fatta di tutto arrosto.
Le mandorle servono per dar maggiormente al brodo l’aspetto latteo, ma il liquido non deve riuscir troppo denso. Alcuni aggiungono qualche rosso d’uovo sodo stemperato nel brodo.

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Arigusta con salsa maionese n. 476
L’aragosta o arigusta è un crostaceo dei più fini e delicati, comune sulle coste del Mediterraneo. È indizio della freschezza e della buona qualità delle ariguste, degli astaci e de’ crostacei in genere, il loro peso in proporzione della grossezza; ma sempre è da preferirsi che siano vivi ancora, o almeno che diano qualche segno di vitalità, nel qual caso si usa ripiegare la coda dell’arigusta alla parte sottostante e legarla avanti di gettarla nell’acqua bollente per cuocerla.
A seconda della sua grossezza fatela bollire dai 30 ai 40 minuti; ma prima aromatizzate l’acqua in cui deve bollire con un mazzetto composto di cipolla, carote, prezzemolo e due foglie d’alloro, aggiungendo a questo due cucchiai di aceto e un pizzico di sale. Lasciate che l’arigusta diacci nel suo brodo e quando la levate, sgrondatela dall’acqua strizzandone la coda e dopo averla asciugata strofinatela con qualche goccia d’olio per renderla lucida.
Mandatela in tavola con una incisione dal capo alla coda per poterne estrarre facilmente la polpa e, se non si volesse mangiare condita semplicemente con olio e agro di limone, accompagnatela con la salsa maionese o con altra salsa piccante; ma potete servirla pur anche con una salsa fatta con lo stesso pesce nel seguente modo:
Levate la polpa della testa e questa tritatela ben fine con un rosso d’uovo assodato e alcune foglie di prezzemolo. Ponete il composto in una salsiera, conditelo con pepe, poco o punto sale e diluitelo con olio fine e l’agro di mezzo limone, o aceto.
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Pesche ripiene n. 697
Pesche spicche grosse, poco mature, n. 6.
Savoiardi piccoli, n. 4.
Zucchero in polvere, grammi 80.
Mandorle dolci con tre mandorle di pesca, grammi 50.
Cedro o arancio candito, grammi 10.
Mezzo bicchiere scarso di vino bianco buono.Dividete le pesche in due parti, levate i noccioli ingrandendo alquanto i buchi ove stavano colla punta di un coltello; la polpa che levate unitela alle mandorle, già sbucciate, le quali pesterete finissime in un mortaio con grammi 50 del detto zucchero. A questo composto unite i savoiardi fatti in bricioli, e per ultimo il candito tagliato a piccolissimi dadi. Eccovi il ripieno col quale riempirete e colmerete i buchi delle dodici mezze pesche che poi collocherete pari pari e col ripieno all’insù in una teglia di rame. Versate nella medesima il vino e i rimanenti grammi 30 di zucchero e cuocetele fra due fuochi per servirle calde o diacce a piacere e col loro sugo all’intorno. Se vengono bene devono far bella mostra di sé sul vassoio, e per una crosticina screpolata formatasi alla superficie del ripieno, prenderanno aspetto di pasticcini.
Artusi: Agosto – Nota di pranzo II
Artusi: Giugno - Nota pranzo I

Artusi: Luglio – Nota di pranzo II

“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”

LUGLIO
Nota di pranzo II

Minestre in brodo. Minestra di carne passata n. 19
Principii. Fichi col prosciutto
Umido. Pollo disossato ripieno n. 258
Rifreddo. Vitello tonnato n. 363
Trasmesso. Pan di fegato n. 374
Arrosto. Piccioni e pollastri, con Insalata maionese n. 251
Dolci. Plum-cake n. 673 – Croccante a bagno-maria in gelo n. 690
Frutta e formaggio. Frutte diverse di stagione

Minestra di carne passata n. 19
Vitella di latte magra, grammi 150.
Prosciutto grasso, grammi 25.
Parmigiano grattato, grammi 25.
Pappa fatta con midolla di pane, acqua e un pezzetto di burro due cucchiaiate.
Uova n. 1
Odore di noce moscata
Sale quanto basta.
Tritate prima la carne e il prosciutto con un coltello a colpo, dopo colla lunetta, poi pestateli nel mortaio e passateli per istaccio. Fatene quindi tutto un impasto coll’uovo e gli altri ingredienti: quando bolle il brodo gettatelo a cucchiaini o passatelo da una siringa per dargli forma graziosa, e dopo una bollitura sufficiente a cuocerlo, servite la minestra.
Questa quantità basta per quattro o cinque persone, ma potete farla servire anche per dodici mescolandola in una zuppa. Prendete allora pane finissimo del giorno avanti, tagliatelo a piccoli dadi e rosolatelo in padella alla svelta con molto unto. Quando siete per mandare in tavola ponete il detto pane nella zuppiera e versate sul medesimo la sopra descritta minestra di carne passata.
 
Pan di fegato n. 374
Tra i rifreddi, questo che vi descrivo, è uno dei migliori ed ha il diritto, pel suo delicato sapore, di comparire su qualunque tavola.
Fegato di vitella di latte, grammi 500.
Burro, grammi 70.
Midolla di pane fresco, grammi 50,
Parmigiano grattato, grammi 20.
Fegatini di pollo, n. 4.
Marsala, decilitri 1.
Sugo di carne, oppure brodo, cucchiaiate n. 6.
Uova, uno intero e due rossi.
Una foglia di alloro.
Sale e pepe, quanto basta.
Tagliate il fegato a fette sottili e i fegatini in due parti, e gettate queste due cose in padella con la foglia di alloro e la metà del burro e quando lo avranno assorbito aggiungete l’altra metà e condite con sale e pepe. Poi versate la marsala e dopo 4 o 5 minuti al più di fuoco vivo, dovendo il fegato rimaner tenero, levatelo asciutto e insieme con l’alloro pestatelo nel mortaio. Nell’intinto che resta in padella sminuzzate la midolla del pane e fatene una pappa che getterete anch’essa nel mortaio, poi passate ogni cosa dallo staccio; indi aggiungete il parmigiano e le uova, diluendo il composto col detto sugo o brodo. Per ultimo collocatelo in uno stampo liscio con foglio sotto, unto col burro, ed assodatelo a bagno-maria.
Sformatelo tiepido e quando sarà diaccio copritelo tutto di gelatina del n. 3, entro a uno stampo di circonferenza maggiore del primo. Potrà bastare per dodici persone.

Artusi: Luglio – Nota pranzo II
Artusi: Giugno - Nota pranzo I

Artusi: Luglio – Nota di pranzo I

“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”

LUGLIO
Nota di pranzoI

Minestre in brodo. Bomboline di farina n. 24
Lesso.Pollastra ripiena n. 160
Umido. Sformato di zucchini n. 451, ripieno di rigaglie e di braciolina di vitella di latte.
Trasmesso. Soufflet di Luisetta n. 704
Arrosto. Vitella di latte con Insalata russa n. 454
Dolci. Biscotto alla sultana n. 574 – Gelatina di lampone in gelo n. 718
Frutta e formaggio. pesche, albicocche ed altre di stagione

Minestra di Bomboline fritte in brodo n. 24
 
Sformato di zucchini n. 451
Zucchini, grammi 600.
Parmigiano, grammi 40.
Uova, n. 4.
Fate un battuto con un quarto di cipolla, sedano, carota e prezzemolo. Mettetelo al fuoco con olio e quando avrà preso colore versate gli zucchini tagliati a tocchetti conditi con sale e pepe. Allorché saranno rosolati tirateli a cottura con acqua, passateli asciutti dallo staccio ed aggiungete il parmigiano e le uova.
Fate una besciamella con grammi 60 di burro, due cucchiaiate di farina e 4 decilitri di latte. Mescolate ogni cosa insieme e, servendovi di uno stampo liscio e bucato, cuocetelo a bagno-maria. Sformatelo caldo, riempite il vuoto con un umido delicato e servitelo.
Questa dose potrà bastare per otto o dieci persone

Soufflet di Luisetta n. 704
Provatelo che ne vale la pena, anzi vi dirò che sarà giudicato squisito.
Latte, mezzo litro.
Zucchero, grammi 80.
Farina, grammi 70.
Burro, grammi 50.
Mandorle dolci, grammi 30.
Uova, n. 3.
Odore di zucchero vanigliato.
Sbucciate le mandorle, asciugatele e pestatele fini fini con una cucchiaiata del detto zucchero.
Fate una besciamella col burro, la farina e il latte versato caldo. Prima di levarla dal fuoco aggiungete le mandorle, lo zucchero e l’odore. Diaccia che sia uniteci le uova, prima i rossi e poi le chiare montate. Ungete col burro un vassoio che regga al fuoco, versateci il composto e terminate di cuocerlo al forno da campagna. Potrà bastare per cinque o sei persone.

Biscotto alla sultana n. 574
Il nome è ampolloso, ma non del tutto demeritato.
Zucchero in polvere, grammi 150.
Farina di grano, grammi 100.
Farina di patate, grammi 50.
Uva sultanina, grammi 80.
Candito, grammi 20.
Uova, n. 5.
Odore di scorza di limone.
Rhum o cognac, due cucchiaiate.
Ponete prima al fuoco l’uva e il candito tagliato della grandezza dei semi di cocomero con tanto cognac o rhum quanto basta a coprirli; quando questo bolle, accendetelo e lasciatelo bruciare fuori del fuoco finché il liquore sia consumato; poi levate questa roba e mettetela ad asciugare fra le pieghe di un tovagliolo. Fatta tale operazione, lavorate ben bene con un mestolo per mezz’ora lo zucchero e i rossi d’uovo ove avrete posta la raschiatura di limone. Montate sode le chiare colla frusta, e versatele nel composto; indi aggiungete le due farine facendole cadere da un vagliettino e in pari tempo mescolate adagio adagio perché si amalgami il tutto, senza tormentarlo troppo. Aggiungete per ultimo l’uva, il candito e le due cucchiaiate di rhum o di cognac menzionate e versate il miscuglio in uno stampo liscio o in una casseruola che diano al dolce una forma alta e rotonda. Ungete lo stampo col burro e spolverizzatelo di zucchero a velo e farina, avvertendo di metterlo subito in forno onde evitare che l’uva e il candito precipitino al fondo. Se ciò avviene, un’altra volta lasciate indietro una chiara. Si serve freddo.

 Artusi: Luglio – Nota pranzo II

 

Artusi: Giugno - Nota pranzo I

Artusi: Giugno – Nota di pranzo II

“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”

GIUGNO

Nota di pranzo II
Minestre in brodo.
Zuppa di puré e piselli n. 35
Fritto.
Cotoletta di vitella di latte – Crema n. 214 – Zucchini n. 188
Lesso di vitella rifatto n. 355
Erbaggi.
Sformato di fagiuolini n. 386
Arrosto.
Galletti di primo canto e insalata
Dolci.
Bocca di dama n. 585 – Gelato di visciole n. 762
Frutta e formaggio.
Frutta fresca di stagione
Zuppa di puré e piselli n. 35 Trattandosi qui di piselli da passare non occorre siano de’ più teneri. Grammi 400 di piselli sgranati possono bastare per sei persone che pranzino alla moda, cioè con poca minestra. Cuoceteli nel brodo con un mazzetto, che poi getterete via, composto di prezzemolo, sedano, carota e qualche foglia di basilico. Quando i piselli saranno cotti gettate fra i medesimi, per inzupparle, due fette di pane fritto nel burro e passate per istaccio ogni cosa. Diluite questo composto col brodo occorrente, aggiungete un po’ di sugo di carne se ne avete e bagnate la zuppa, la quale dovrà essere di pane sopraffine raffermo, tagliato a dadini e fritto nel burro.
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Crema fritta n. 214 Amido, grammi 100. Zucchero, grammi 30. Burro,
grammi 20. Latte, decilitri 4. Uova, due intere. Odore di scorza di limone. Sale, una presa.Lavorate le uova collo zucchero, poi aggiungete l’amido ridotto in polvere, la scorza di limone grattata, il latte versato a poco per volta e il burro. Mettete il composto al fuoco rimestando continuamente come fareste per una crema comune e quando sarà condensato da non crescer più, gettate la presa di sale e versatelo in un vassoio o sopra un’asse, distendendolo alla grossezza di un dito. Tagliatelo a mandorle quando sarà ben diaccio, doratelo coll’uovo e pangrattato, friggetelo nel lardo o nell’olio e servitelo caldo per contorno ad altro
Sformato di fagiuolini dell' Artusi
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Zuppa di visciole n. 678 Questa zuppa si può fare con lettine sottili di pane fine arrostito, oppure con pan di Spagna o con savoiardi. Levate il nocciolo a quella quantità di ciliege visciole che credereste sufficienti e mettetele al fuoco con pochissima acqua e un pezzetto di cannella che poi getterete via. Quando cominciano a bollire aggiungete zucchero quanto basta, mescolate adagino per non guastarle e allorché cominciano a sciroppare assaggiatele se hanno zucchero a sufficienza e levatele dal fuoco quando le vedrete aggrinzite ed avranno perduto il crudo. Dopo che avrete leggermente intinto le fette del pane o i savoiardi nel rosolio, collocateli suolo per suolo, insieme con le ciliege, in un piatto o in un vassoio in modo che facciano la colma. Potete anche dare a questa zuppa la forma più regolare in uno stampo liscio, e tenerlo in ghiaccio avanti di sformarla, giacché nella stagione delle ciliege si cominciano a gradire i cibi refrigeranti. Un terzo di zucchero del peso lordo delle ciliege è sufficiente.
Artusi: Giugno – Nota pranzo II 
Artusi: Giugno - Nota pranzo I

Artusi: Giugno – Nota di pranzo I

“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”

GIUGNO Nota di pranzo I

Minestre in brodo.
Strinchetti alla bolognese n. 51 Fritto.
Fegato di vitella di latte, animelle, cervello e funghi Umido.
Piccione coi piselli n. 354 Trasmesso.
Zucchini ripieni n. 377 Arrosto.
Galletti di primo canto e insalata Dolci.
Bocca di dama n. 585 – Gelato di visciole n. 762 Frutta e formaggio.
Frutta di stagione e Pasticcini di pasta beignet n. 631
Strinchetti alla bolognese n. 51
Intridete la farina con due uova, grammi 40 di parmigiano grattato fine e l’odore della noce moscata. Tiratene una sfoglia non tanto sottile e tagliatela con la rotella smerlata in tante strisce larghe un dito e mezzo. Poi, con la stessa rotella, tagliate queste strisce in isbieco e alla medesima distanza di un dito e mezzo per farne tanti pezzetti in forma di mandorla. Prendeteli uno alla volta e stringete colle dita le quattro punte, due al disopra e due al disotto per formarne come due anellini attaccati insieme. Cuoceteli nel brodo con poca cottura. La dose di due uova potrà bastare per cinque persone. Se questa minestra vi piace, siatene grati ad una giovane simpatica bolognese, chiamata la Rondinella, che si compiacque di insegnarmela.
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Piccione coi piselli n. 354
Vogliono dire che la miglior morte dei piccioni sia in umido coi piselli. Fateli dunque in umido con un battutino di cipolla, prosciutto, olio e burro collocandovi i piccioni sopra, bagnandoli con acqua o brodo quando avranno preso colore da tutte le parti per finirli di cuocere. Passatene il sugo, digrassatelo e nel medesimo cuocete i piselli co’ quali contornerete i piccioni nel mandarli in tavola.Verdure ripiene: Zucchine ripiene dell'Artusi .
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Bocca di dama n. 585
Zucchero, grammi 250. Farina finissima, grammi 100. Mandorle dolci con tre amare, grammi 50. Uova, n. 9. Odore di scorza di limone. Sbucciate le mandorle, asciugatele bene al sole o al fuoco, pestatele finissime con una cucchiaiata del detto zucchero e mescolatele alla farina. Il resto dello zucchero e i rossi delle uova uniteli insieme in una bacinella di rame o di ottone, e sopra al fuoco, a poco calore, batteteli colla frusta per più di un quarto d’ora. Versateci poscia, fuori del fuoco, la farina preparata con le mandorle, la scorza di limone grattata e, dopo averla lavorata ancora, aggiungete le chiare ben montate e mescolate adagio. Ponete il composto in una teglia unta col burro e spolverizzata di farina mista con zucchero a velo per mandarla in forno.
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Gelato di visciole n. 762
Ciliege visciole, chilogrammi 1. Zucchero, grammi 250. Acqua, decilitri 2. Odore di cannella. Levate i noccioli a grammi 150 delle dette ciliege senza guastarle troppo e mettetele al fuoco con grammi 50 del detto zucchero e con un pezzetto di cannella intera, che poi getterete via. Quando saranno sciroppate, cioè quando avranno perduto il crudo e le vedrete aggrinzite, mettetele da parte. Guastate colle mani i restanti grammi 850 di ciliege, pestate nel mortaio un pugnello de’ loro noccioli e rimetteteli tramezzo. Passate poche per volta da un canovaccio, strizzando forte, queste ciliege disfatte, per estrarne il sugo, e gli scarti che restano metteteli al fuoco per dissugarli coi suddetti due decilitri d’acqua, fateli bollire 4 o 5 minuti, poi passateli dallo stesso canovaccio ed il liquido estratto unitelo al precedente. Mettete tutto questo sugo al fuoco con due prese di cannella in polvere e quando sarà per alzare il bollore versate i restanti 200 grammi di zucchero, mescolate, fatelo bollire per due minuti e passatelo dallo staccio, Mettete il sugo passato nella sorbettiera e quando sarà ben gelato mescolategli tramezzo le ciliege sciroppate in modo che vengano sparse egualmente, servite il gelato in bicchierini e vedrete che per la sua bontà sarà da tutti gradito. Questa dose basterà per otto persone.
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Pasticcini di pasta beignet n. 631
Acqua, grammi 150. Farina, grammi 100, Burro, grammi 10. Uova, n. 3 e un rosso. Sale, quanto basta. Quando bolle l’acqua versate la farina tutta a un tratto e, rimestando subito, aggiungete il burro e tenetela sul fuoco per 10 minuti, seguitando sempre a rimestaria. Deve riuscire una pasta dura che distenderete alla grossezza di un dito e pesterete nel mortaio insieme con un uovo per rammorbidirla alquanto. Ciò ottenuto, mettetela in una catinella per lavorarla col mestolo, aggiungendo le altre uova uno per volta, montando le chiare. Non vi stancate di lavorarla finché non sia ridotta come un unguento; lasciatela in riposo per qualche ora, e quindi mettetela a cucchiaiate (le quali riusciranno dieci o dodici) in una teglia, unta col burro. Frullate un rosso d’uovo con un po’ di chiara per renderlo più sciolto, dorateli e lisciateli con un pennellino (ma questo supplemento non è necessario), poi metteteli in un forno che sia ben caldo. Quando sono cotti fate loro col temperino un’incisione da una parte, o in forma di mezzo cerchio nella parte di sotto, per riempirli di crema o di conserve di frutta, spolverizzateli di zucchero a velo e serviteli. Vi avverto che quando lavorate paste che devono rigonfiare, il mestolo invece di girarlo in tondo è meglio muoverlo dal sotto in su.
Artusi: Giugno – Nota pranzo I
torta-alla-marengo (2)

Torta alla marengo dell’Artusi

     foto dal web
 n. 581
Fate una pasta frolla metà dose del n. 589, ricetta A¹.
Fate una crema nelle seguenti proporzioni:
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Latte, decilitri 4.
Zucchero, grammi 60.
Farina, grammi 30.
Rossi d’uovo, n. 3.
Odore di vainiglia.
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Prendete grammi 100 di pan di Spagna e tagliatelo a fette della grossezza di mezzo centimetro. Servitevi di una teglia di rame di mezzana grandezza, ungetela col burro e copritene il fondo con una sfoglia della detta pasta; poi sovrapponete giro giro a questa un orlo della stessa pasta largo un dito ed alto due e, per attaccarlo bene, bagnate il giro con un dito intinto nell’acqua. Dopo aver fatto alla teglia questa armatura, coprite la pasta del fondo colla metà delle fette di pan di Spagna intinte leggermente in rosolio di cedro. Sopra le medesime distendete la crema e coprite questa con le rimanenti fette di pan di Spagna egualmente asperse di rosolio. Ora montate colla frusta due delle tre chiare rimaste dalla crema e quando saranno ben sode unitevi a poco per volta grammi 130 di zucchero a velo e mescolate adagio per aver così la marenga colla quale coprirete la superficie del dolce, lasciando scoperto l’orlo della pasta frolla per dorarlo col rosso d’uovo. Cuocetela al forno o al forno da campagna e quando la marenga si sarà assodata copritela con un foglio onde non prenda colore.
La torta sformatela fredda e spolverizzatela leggermente di zucchero a velo. Coloro a cui non istucca il dolciume, giudicheranno questo piatto squisito.
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¹ PASTA FROLLA n. 589
Vi descrivo tre differenti ricette di pasta frolla per lasciare a voi la scelta a seconda dell’uso che ne farete; ma, come più fine, vi raccomando specialmente la terza per le crostate.

RICETTA A
Farina, grammi 500.
Zucchero bianco, grammi 220.
Burro, grammi 180.
Lardo, grammi 70.
Uova intere, n. 2 e un torlo.

RICETTA B
Farina, grammi 250.
Burro, grammi 125.
Zucchero bianco, grammi 110.
Uova intere, n. 1 e un torlo.

RICETTA C
Farina, grammi 270.
Zucchero, grammi 115.
Burro, grammi 90.
Lardo, grammi 45.
Rossi d’uovo, n. 4.
Odore di scorza di arancio.

Se volete tirar la pasta frolla senza impazzamento, lo zucchero pestatelo finissimo (io mi servo dello zucchero a velo) e mescolatelo alla farina; e il burro, se è sodo, rendetelo pastoso lavorandolo prima, con una mano bagnata, sulla spianatoia. Il lardo, ossia strutto, badate che non sappia di rancido. Fate di tutto un pastone maneggiandolo il meno possibile, ché altrimenti vi si brucia, come dicono i cuochi; perciò, per intriderla, meglio è il servirsi da principio della lama di un coltello. Se vi tornasse comodo fate pure un giorno avanti questa pasta, la quale cruda non soffre, e cotta migliora col tempo perché frolla sempre di più.
Nel servirvene per pasticci, crostate, torte, ecc., assottigliatela da prima col matterello liscio e dopo, per più bellezza, lavorate con quello rigato la parte che deve stare di sopra, dorandola col rosso d’uovo. Se vi servite dello zucchero a velo la tirerete meglio. Per lavorarla meno, se in ultimo restano dei pastelli, uniteli insieme con un gocciolo di vino bianco o di marsala, il quale serve anche a rendere la pasta più frolla.