aragosta chaud froid

Come pulire l’ Aragosta e cucinarla secondo Escoffier in Salsa chaud-froid bianca

Aragosta con tartufo nero
 
Francia
“I metodi descritti per la preparazione dell’aragosta alla parigina e alla russa sono spesso contradditori e confusi, nonostante le due ricette siano diverse e quindi sia ben difficile fare confusione. La loro differenza consiste nel trattamento delle fette di aragosta: nel metodo alla parigina, le fette sono semplicemente glassate in gelatina, mentre nel metodo alla russa, un tempo le fette erano velate di salsa maionese legata con gelatina; oggi questo sistema è stato quasi del tutto abbandonato, si preferisce infatti velare le fette di salsa chaud-froid¹ comune.”
A. Escoffier “Il grande libro della cucina francese
 
L’aragosta quando viene servita a medaglioni, si taglia con le posate da pesce.
Quando viene presentata intera nel suo involucro e divisa in due per la lunghezza, bisogna saper individuare subito qual è il punto più adatto in cui praticare il taglio per staccare (con le posate del piatto di portata) la nostra porzione; il tutto senza costringere gli altri commensali ad aspettare più del dovuto.
  • Come servire l’Aragosta: In un pranzo che vuol essere importante, va servita sgusciata. Si mangia con le posate da pesce. Quando è servita con il guscio, è accompagnata dall’apposito schiaccianoci, per rompere le chele, e dalle speciali forchettine a due denti per estrarne la polpa, nel far questo si tiene il guscio fermo con la sinistra e con la destra si usa la forchetta.

Medaglioni di aragosta

Ingredienti per 4 persone
  • 1 aragosta di circa kg. 1,200,
  • 200 gr. di code di gamberetti,
  • 2 uova sode,
  • 4 pomodori maturi,
  • 3 cucchiai di maionese,
  • 1 tartufo nero,
  • 1 scodella di insalata russa,
  • 1 gambo di sedano,
  • 1 carota,
  • 1 cipolla,
  • 3 foglie di alloro,
  • 1/2 lt. di gelatina aromatizzata al vino bianco,
  • qualche grano di pepe nero,
  • sale.
  • Come pulire l’aragosta con foto
Tempo di preparazione: 2 ore e 30 – Tempo di cottura: 15 minuti
Preparazione
  1. Legate l’aragosta ad un’assicella, in modo che durante la cottura non abbia a contrarre la coda.
  2. Ponete nell’acqua di cottura sedano, carota, cipolla, foglie di alloro, sale e pepe nero in grani e portate ad ebollizione. Lasciate cuocere per 10 minuti circa, estraete l’aragosta e sgocciolatela.
  3. Nello stesso liquido scottate per 5 minuti i gamberetti sgusciati. Lasciate raffreddare il tutto e, slegata l’aragosta, incidete la membrana ventrale in modo da estrarre tutta la polpa in un sol pezzo.
  4. Tagliate la polpa dell’aragosta in tante fettine che, stese, su un piatto grande, decorerete con lamelle sottili di tartufo nero (quello bianco non si adatta a questo scopo) e , servendovi di una pennellessa, cospargete di gelatina già parzialmente fredda ma ancora semiliquida, aromatizzata con l’aggiunta di vino bianco.
  5. Conservate queste rondelle di aragosta in frigorifero per una successiva lucidatura con gelatina. Sistemate il guscio del crostaceo su un piatto di servizio, facendo in modo che esso appaia con la testa ben alta e con le antenne tese. Tutt’intorno sistemate i pomodori (tagliati a metà e svuotati a scodella), nei quali metterete un poco di insalata russa.
  6. Sgusciate le uova sode, tagliatele a metà longitudinalmente, ricavatene il rosso che passerete al setaccio, unendolo poi ad un poco di insalata russa, con la quale guarnirete le mezze uova che distribuirete attorno all’aragosta. Disponete i medaglioni di polpa sul dorso del crostaceo, partendo dal più grande, che adagerete sulla testa, e finendo col più piccolo in coda.
  7. Pennellate di altra gelatina i medaglioni e distribuite i gamberetti, conditi con poca maionese, sui mezzi pomodori farciti. Conservate in frigorifero fino al momento di servire in tavola.

Piatto difficile, costoso ma di grande effetto, per una cena “importante”. Va affrontato solo se ci si sente molto sicuri della propria abilità, altrimenti è meglio presentare l’aragosta bollita, fredda, con maionese e insalata russa.

Vino

“La mia cucina pratica” 1988

  • ¹Salsa chaud-froid bianca comuneChaud-froid Jeannette Ready_to_Serve,_with_Extra_Gelee_Chopped_and_Scattered
    Ingredienti per 1 litro:
    tre quarti di litro di vellutata semplice*, 6-7 dl. di gelatina di piede di vitello, 3 dl. di panna.
    Mettete la vellutata in una casseruola dal fondo spesso; cuocere a fuoco vivo per farla ridurre, premendo con una spatola sul fondo della casseruola, affinchè la salsa assorba la gelatina e un terzo della panna. Il tutto si deve ridurre di un buon terzo. Verificare il condimento e la consistenza; passare alla stamigna; aggiungere poco a poco quel che resta della panna e mescolare la salsa fino a quando non raggiunge la temperatura adatta a rivestire i piatti freddi a cui è destinata.
  • ²Vellutata semplice
    In un pentolino fate fondere il burro a fuoco basso, versatevi a pioggia la farina (così non si formano grumi) e mescolate. Appena la crema diventa dorata e liscia, diluitela versando a poco a poco il brodo freddo (può essere vegetale, di carne o di pesce). Mescolando portate lentamente a bollore e cuocete per circa un quarto d’ora. Regolate sale e pepe.

“Per facilitare la depurazione delle salse, le casseruole utilizzate per la preparazione devono essere più alte che larghe. Il fondo della casseruola non deve giacere completamente sulla fiamma; un lato deve essere leggermente sollevato con un pezzetto di ferro o un altro strumento.

A. Escoffier “Il grande libro della cucina francese”

La cucina francese

LIBRI Escoffier-Ma_cuisine Il grande libro della cucina francese 19341 of 4 – 1   2   3    4   

Aragosta all’americana

Homard «Breton», Aragosta alla Bretone

Pasta all’aragosta

Pulire l’ Aragosta e cucinarla secondo EscoffierCocktail de homard aux truffes.jpg [[File:Cocktail de homard aux truffes.jpg|Cocktail_de_homard_aux_truffes]]
Aprire le ostriche e prepararle secondo Escoffier

Come aprire le ostriche e prepararle alla maniera di Escoffier

Le ostriche rappresentano l’antipasto per eccellenza e sono adatte sia nei pranzi che nelle colazioni. Devono essere servite molto fredde e soprattutto correttamente aperte¹. Contemporaneamente ad esse si servono delle fettine molto sottili di pane nero, imburrate, una salsa composta da aceto, pepe pestato al mortaio e scalogno tritato e dei limoni tagliati a metà. Non lavare mai le ostriche dopo averle aperte.

Ostriche cocktail

Preparare un bicchiere da cocktail a persona; in mancanza, usare bicchieri da Madera. Riempire ciascun bicchiere con 6 ostriche appena aperte. Aggiungere 2-3 gocce di Tabasco, un cucchiaio di Tomato Ketchup, qualche goccia di salsa Worcester e un filo di succo di limone. Servire il tutto molto freddo.
N.B. Le salse indicate sopra sono prodotti in bottiglia che si trovano comunemente in commercio. Il Tabasco è il succo di peperoncini rossi molto piccanti, chiamati Tabasco, appunto.

Ostriche marinate

Ostriche appena aperte, cotte per un minuto in un court-buillon² al vino bianco e aromi, raffreddate nel loro brodo e serviti in un vassoio d’antipasto con un po’ di salsa ravigote³ a cui è stato aggiunto qualche cucchiaio di court-bouillon

Sauce aux huîtres 

Salsa di ostriche
Per questa salsa, si calcolano di solito 4-5 ostriche per persona. Le ostriche sono generalmente scaldate nella loro acqua, sgocciolate e sbarbate, poi guarnire con della besciamella alla panna, o con della salsa bionda al fumetto di pesce.

“Angeli a cavallo”

Angels on horseback, spiedini di ostriche avvolte nel bacon. []

Angels on horseback, “Angeli a cavallo“

Ostriche Angels on horseback, “Angeli a cavallo“

  • ¹Le ostriche vengono servite aperte. Si prendono con due dita e si mangiano con la forchettina. Il sugo si può bere dalla conchiglia
  • ²Court-bouillon (pron. cur bulòn): nome dato al liquido in cui si lessa i pesce.
  • ³Salsa ravigote o vinaigrette (pinzimonio). Ingredienti: 2 dl e mezzo di olio, mezzo dl di aceto, un cucchiaio di piccoli capperi; un pizzico di prezzemolo, la stessa quantità di dragoncello, cerfoglio, cipolline tritate; sale, pepe. Mescolare bene il tutto. Facoltativamente, si può aggiungere a questa salsa un cucchiaio di cipolla tritata finemente, un cucchiaio di mostarda, un cucchiaio di salsa inglese e anche un nuovo sodo sminuzzato. (Per testa di vitello, piede di vitello, piede di montone e pesce freddo.)
da Il grande libro della cucina francese – Auguste Escoffier

Le ostriche vengono servite aperte. Si prendono con due dita e si mangiano con la forchettina. Il sugo si può bere dalla conchiglia.

Vino

“Ostriche”
Vive e violate,
Giacevano su letti di ghiaccio:
Bivalve: il bulbo spaccato
E il sospiro amoroso dell’oceano.
A milioni strappate e sbucciate e sparse.
Seamus Heaney, Poesie scelte

File:Oysters (1347521734).jpg

La cucina francese

LIBRI Escoffier-Ma_cuisine Il grande libro della cucina francese 19341 of 4 – 1   2   3    4   

https://commons.wikimedia.org/wiki/File%3AOysters_(1347521734).jpg /Oysters_%281347521734%29.jpg Di Jeremy Keith from Brighton & Hove, United Kingdom (Oysters  Uploaded by Fæ) [CC BY 2.0 Steamed_Oysters.jpg  https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/e/e5/Steamed_Oysters.jpg Di Alpha (Flickr) [CC BY-SA 2.0Aprire le ostriche e prepararle secondo Escoffier
MENù galateo-larte-di-comporre-

Galateo: L’arte di comporre un Menù

Modello menù del ristorante

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Menù, parola straniera, ma entrata definitivamente nell’uso, significa, come sapete, l’insieme dei cibi e dei vini, che compongono un pranzo e menù viene chiamato ugualmente, in senso traslato, quel cartoncino che si mette dinanzi ad ogni commensale e dov’è segnato l’ordine e la specie delle vivande. Tutti menu moderni derivano con maggiori o minori semplificazioni dalla forma tradizionale del menu classico in quanto le vivande seguono tuttora l’ordine… protocollare di precedenze stabilito dall’antico uso, così che per nessuna ragione, per esempio, il pesce può essere servito dopo la carne.

Vediamo, quindi, a titolo informativo, la composizione del menù classico.
Il pranzo può essere aperto da antipasti:. Seguono due minestre, un “chiara” ed un “legata” a scelta, poi i “relevés”, cioè i grandi pezzi: pesci, carne di bue o di vitello, pollame e selvaggina, con l’avvertenza che il relevé di pesce precede quello di carne o selvaggina. Poi vengono servite le “entreès'”, cioè piatti di mezzo, che offrono addirittura una serie di vivande finissime di cui una può essere fredda. A questo punto, i commensali – che non erano morti come qualcuno potrebbe insinuare! – consumavano dei sorbetti leggeri, delle granite delicate servite in coppe di cristallo e si preparavano a mangiare gli arrosti quasi sempre di pollame o selvaggina a piuma, con accompagnamento obbligato di insalatina. Un ortaggio di primizia, un dolce caldo o freddo, un gelato – il cosiddetto “dessert”- chiudono finalmente, il pranzo.
Su questo schema (molto approssimativamente però, inframmezzandolo, cioè, di molte… lacune), si deve comporre il menù moderno, che risulta nel suo insieme così:

  • Antipasti freddi,
  • Consommé, o zuppa legata,
  • Antipasti caldi (se non si sono serviti gli antipasti freddi, ma non mai tutti e due),
  • Pesce, decorato o farcito, caldo o freddo,
  • Piatto forte di carne (vitello, bue, tacchino), eventuale piatto di mezzo, arrosto con insalata,
  • Primizia di stagione,
  • Dolce.

Bisogna badare, nella composizione di un menù, a non ripetersi nella qualità delle vivande e delle salse: non servire, cioè, polli lessati e polli arrostiti, carne di manzo in umido e bistecche. Se dunque il piatto forte è di carne di bue, quello di mezzo deve essere di caccia, e l’arrosto di pollame, oppure viceversa; evitare due vivande eseguite allo stesso modo, ad esempio: polli spezzati col sugo e budino con finanziera e sugo, come pure due contorni degli stessi elementi, sia pure cotti in modo diverso. I soli tartufi fanno eccezione alla regola e possono essere presentati più d’una volta.

Vediamo invece la composizione del menù per colazione, la quale differisce dal pranzo, per quantità e qualità delle vivande:

  • Antipasti freddi,
  • Piatto di uova oppure risotto, maccheroni, gnocchi di semolino,
  • Piatto di pesce (o di carne)
  • Un secondo piatto (generalmente arrosto) con accompagnamento di verdura,
  • Formaggio,
  • Dolce,
  • Frutta.

Si possono anche includere due piatti di carne e uno di pesce, ma è bene mantenere la colazione sullo schema riportato. Alcuni in luogo degli antipasti, servono delle zuppe leggere, come brodo alla tapioca, royale, eccetera, che non va mai servita in scodella, ma in tazza. Segue allora un piatto di uova, un pesce di qualunque specie (ma non farcito) e arrosto con insalata, preferibilmente cotto in graticola. Omettendo il pesce, si può servire un piatto di frittura di grasso.

Fonte: Casa d’oro 1956

Quando capita di dover realizzare un pranzo impegnativo, con ospiti con i quali non si è in grandissima confidenza, i problemi da risolvere sono parecchi, anche perché esistono per tradizione norme che, pur non essendo così ferree come in passato, hanno ancora al giorno d’oggi un loro peso. Ma anche in questo caso tutto sta a organizzarsi bene.
 

Come scegliere il menù

Una delle prime, più sagge confortanti regole per il successo di un pranzo con ospiti di riguardo è:

  • non strafare. Questo significa: non fare cose troppo difficili o che, comunque, non si è certi di saper fare bene; non farne troppe (si può offrire un pranzo elegantissimo di soli tre portate);
  • non invitare più persone di quante se ne possano intrattenere senza uno sforzo eccessivo. (Se però dovete assolutamente invitare troppe persone, vedete se non è possibile ricorrere a un aiuto esterno; potreste, per esempio, comprare qualcosa di fatto, che però, se preferite, possa sembrare preparato in casa.).

Quando si hanno ospiti (e, naturalmente, a meno che chi cucina sia una persona diversa dalla padrona o dal padrone di casa), è anche bene scegliere: piatti che non soffrono di un ritardo, come per esempio piatti freddi, insalate, creme di verdura per minestra e purè di verdura per contorno; piatti che si cucinano quasi da soli, lasciando il tempo per badare ad altre cose (come tutte le preparazioni che si eseguono a fuoco dolce, meglio ancora se in forno); piatti che si possono riscaldare all’ultimo momento senza che perdano di qualità (per esempio, stufati e creme e purè di verdura).
Se chi cucina è la padrona o il padrone di casa, sarebbe bene anche escludere dal menù i piatti che vanno preparati all’ultimo momento e serviti subito, come bistecche o fritti. Possono andar bene, invece, quelle preparazioni che all’ultimo momento hanno bisogno solamente di una rapida rifinitura, come per esempio le verdure gratinate.

Come “organizzarsi”
Se avete il tempo, preparati in anticipo tutto quello che potete, in modo che gli ospiti arrivando trovino persone distese, tranquille, non accaldate o affannate. Per non mettere a disagio gli ospiti, cercate di ridurre al minimo la necessità di alzarvi, una volta iniziato il pasto, e soprattutto di andare e venire di continuo tra sala da pranzo, o zona pranzo, e cucina. Questo naturalmente non è un problema per chi ha una persona che serva in tavola; chi non l’ha – e siamo la stragrande maggioranza – può aiutarsi con uno scaldavivande oppure studiando un menù con molti piatti freddi e mettendo tutto ciò che occorrerà durante il pasto nel luogo più vicino a quello dove siede, su una credenza o un carrello.
 
Le portate ai giorni nostri.
Oggi, in particolare, quasi mai si serve in tavola un antipasto se prima si è offerto qualcosa insieme agli aperitivi (salatini, piccoli canapè, olive, sottaceti, eccetera).
Una minestra asciutta, di solito indicata per un pasto di mezzogiorno, a volte compare in tavola anche la sera.
Dopo un “primo”, forse mai si servono davvero tutte quattro le portate elencate nel menù classico: molto spesso ci si limita soltanto a una. In occasioni anche abbastanza eleganti, a volte non si offre un dolce, ma soltanto frutta, magari preparata e presentata con cura particolare. Oltre a mangiare meno, siamo anche diventati più disinvolti; per esempio i formaggi, che di regola non si dovrebbero servire in un pranzo serale (solo a mezzogiorno, dopo la carne e prima del dolce), possono comparire in tavola anche la sera senza scandalizzare nessuno. Alcune regole, però, valgono sempre. Le portate, per esempio, e con tutte le omissioni che si sono dette, vengono servite ancora nell’ordine tradizionale. Poi, nel preparare un menù vanno tenute presenti alcune norme, che non hanno niente di convenzionale, ma rispondono piuttosto a considerazioni di buon gusto e persino di igiene alimentare.

Come comporre il menù.
  • Per prima cosa, bisogna avere cura che i piatti armonizzino bene tra loro. Per esempio, se c’è una minestra di fagioli, non potrete farla seguire da filetti di sogliola allo champagne: tutto il pasto dovrà essere di tenore un po’ rustico. Oppure, se c’è un piatto molto saporito, non fatelo seguire da uno delicato, di cui il palato stenterebbe ad avvertire il gusto. O ancora, se servite un piatto tipico regionale, non accompagnatelo con altri di provenienza troppo diversa: una pasta con le sarde, per fare un esempio “limite”, non può stare in uno stesso menù con una preparazione cinese.
  • I piatti non devono somigliarsi troppo, né avere in comune ingredienti vistosi: se, cioè, il primo è costituito da tortellini alla panna, non ci potrà essere panna nel sugo del secondo, né panna montata nel dolce; non potete servire avocado come antipasto e poi ancora avocado in un’insalata mista, né due piatti gratinati, né due conditi con besciamella.
  • Quasi tutti oggi preferiamo alzarci da tavola non troppo appesantiti e amiamo avere digestioni facili. Quindi, non preparate pasti che siano grevi e sostanziosi dal principio alla fine; in particolare, se la prima portata e la seconda erano piuttosto robuste, e magari avete servito anche robusti formaggi, offrite alla fine un dessert fresco e leggero, come un sorbetto o una preparazione a base di frutta.
  • A persone di cui non conoscete bene i gusti, non servite cose insolite o che potrebbero non piacere, come carne cruda, piatti con una grande quantità di aglio, preparazioni molto esotiche o molto piccanti.
  • Infine, “studiate” con cura l’accostamento cibo-vino.
Fonte: Il grande libro della cucina d’oggi 1982
Come si mangiano i cibi, Prima parte Galateo 1 of 6    1  2   3 … 6 

 

conserve conservare frutta

Conserviamo la frutta: al naturale, sciroppata, sotto spirito.

Oltre ad essere simpatico elemento decorativo, i vasi di conserva sono meraviglioso aiuto per la padrona di casa: anche se ormai è assai facile rifornire la cucina facendo la spesa al supermarket, è altrettanto vero che le conserve in genere, fatte in casa, acquistano un sapore particolare.

 Conservazione al naturale

Disponete nei vasi le frutta preparate, intere o divise a metà, a seconda delle loro dimensioni. Battete il fondo del vaso su un canovaccio ripiegato, posato sulla tavola, per aiutare le frutta a disporsi l’una accanto all’altra e riempite i vasi fino a circa 2 cm. dall’orlo. Aggiungete, ma è facoltativo, 2 o 3 cucchiai di zucchero per ogni vaso da 1 litro, a seconda dell’acidità delle frutta scelte. Chiudete ermeticamente i vasi e passate subito alla sterilizzazione.

uva passa sotto spirito

 

 

 

 

 

Conservazione nello sciroppo

Per questo tipo di conservazione si usa uno sciroppo di zucchero che si ottiene mescolando acqua e zucchero nelle proporzioni dovute e facendoli bollire. Dal momento in cui lo sciroppo comincia a bollire, calcolate un po’ meno di 1 minuto; utilizzatelo poi a freddo o appena tiepido. Tenete presente che anche la frutta conservata nello sciroppo va poi sterilizzata.

agrumi sciroppati arance mandariniuova_piselli-300x2251 fichi caramellati

 

 

 

 

fichi sciroppati (2)macedonia di frutta zucca cocomerina blanc mangerMarenata (sciroppo di amarene

 

 

 

 

Melone sciroppato uva (2)Ciliegie giubileo Escoffier Cherries-jubilee-

 

 

 

 

Conservazione sotto spirito

È il sistema di conservazione riservato in genere alle ciliegie (ciliegie grosse e a polpa dura), ma si possono conservare allo stesso modo anche grossi grani di uva, uva spina e piccole susine. Le frutta (ben mature e pulite) vanno trapassate più volte con un grosso ago (in tal modo l’acquavite in cui sarà immersa penetrerà meglio) e poi disposte nei vasi, aggiungendo lo zucchero e l’acquavite a 45° oppure alcool a 97°, in questo caso NON punzecchiare le frutta perchè seccherebbero. Chiudete i vasi e durante la prima settimana, rigirateli e scuoteteli un po’ in modo che lo zucchero e l’acquavite si possano mescolare bene. Le frutta sotto spirito non vanno mangiate prima che siano trascorsi almeno 2 mesi dal momento in cui sono state messe sotto spirito, meglio se questo tempo viene prolungato fino a 3 o 4 mesi.

La ricetta della nonna
«1 chilogrammo di pesche, o pere, o albicocche, 2 litri di grappa di vinacce buone, 4 cucchiai di zucchero caramellato.
Versate lo zucchero sul fondo del vaso da conserva, sopra mettete a spicchi la frutta (le albicocche a metà senza il nocciolo). Coprite con la grappa, invasate e lasciate per 60 giorni a maturare. Il frutto si serve sul piattino, il liquore nel bicchierino del rosolio.»

castagne-al-rum-L-W9YJufciliegie amarene sotto spiritochicchi uva gorgonzola pistacchi

 

 

 

 

 Frutta e verdura essiccate
  1.  Essiccamento “al sole”: è adottato in campagna nei paesi in cui il sole ha grande forza e quando si può contare su più giorni di sole consecutivi. Ci si serve di graticci formati da un intreccio di vimini, su cui si dispongono frutta e verdura pulite e, se occorre, tagliate a fette. I graticci vengono poi esposti in pieno sole coperti con una leggera garza per evitare polvere ed insetti. I graticci devono essere ritirati la notte e in genere 4 o 5 giorni bastano per un perfetto essicamento. In alcuni paesi funghi e pomodori vengono infilati in lunghe collane e quindi esposti al sole.
  2. Essicamento “con calore artificiale”: si può usare il forno tiepido a 50-60°. La porta del forno deve essere socchiusa per consentire l’uscita del vapore acqueo e l’operazione va compiuta in 3-4 giorni. Si tiene la frutta nel forno per 7-8 ore e quindi si leva lasciando sempre un intervallo di dodici ore fra un essicamento e l’altro.
  3. Essiccamento “misto”: si può cominciare l’essiccamento al sole e terminare in forno.

Fra le frutta più adatte: albicocche e pesche gialle, tagliate a metà e senza nocciolo. Pere e mele a fette. Prugne intere o anche aperte e snocciolate. Ciliegie intere.
Fra le verdure: funghi, tagliati a fette. Pomodori tagliati a metà e senza semi.

Pomodorini secchi sott'olio e sottacetoUva da conservare per la tavola di NatalePanetti d' uva passa (4)

 

 

 

 

Personalizziamo i barattoli delle marmellatePersonalizziamo i barattoli delle marmellate,

Conserve la frutta: al naturale, sciroppata, sotto spirito.
violette liquore

Liquore, sciroppo e rosolio di violette

Foto e ricetta del liquore è di “Tocco e tacchi”

I liquori casalinghi

L’uso di offrire un liquorino preparato dalle mani della padrona di casa era un tempo una consuetudine normale. Allora le signore qualche volta si passavano l’un l’altra, generosamente, le preziose ricette, mentre, più spesso, ne tenevano nascosta qualcuna che, nella loro famiglia, veniva tramandata di madre in figlia. Un tempo questi liquori si chiamavano rosoli amabili, e si servivano il giorno delle visite, quando gli ospiti venivano ricevuti con tutti gli onori nel “salotto buono”, quello così colmo di “buone cose di pessimo gusto” (cose semplici e povere d’altri tempi) come direbbe Gozzano L’amica di nonna Speranza” . Naturalmente i rosoli casalinghi sono molto diversi dai liquori preparati industrialmente, ma sono ugualmente gradevoli, anche per i gusti un po’ sofisticati e difficili noi uomini e donne del 1964. Stiamo attente però a prepararli seguendo alcune semplici ma importanti regole tanto nella lavorazione quanto nella scelta degli ingredienti.

Enciclopedia della donna 1964

Le violette vengono utilizzate come piante ornamentali nei giardini per aiuole, bordure, o per la coltura in vaso su terrazzi. Ma le viole odorose vengono utilizzate nella produzione di pecorini dolci, nell’industria confettiera per produrre fiori freschi cristallizzati nello zucchero, in profumeria per estrarne l’essenza.

«Gli antichi greci indossavano ghirlande di viole, i romani invece ricavavano da questi fiori profumatissimi un’ottima bevanda. I giardinieri medievali eccellevano nel creare aiuole, punteggiate di viole bianche o lilla, nei giardini delle dimore più nobili. Napoleone fece perfino adornare la tomba di Giuseppina con un tappeto coloratissimo dei suoi fiori preferiti.

Le viole sono state impiegate in passato non solo per le sue qualità decorative. In medicina infatti, si utilizzavano per i loro effetti terapeutici e curativi contro l’insonnia e gli attacchi d’ira; anche in cucina si impiegano praticamente da sempre. Il profumo delle viole, così intenso e gradevolissimo, e il fiore in sé così piccolo e grazioso, sono da secoli impiegati in cucina per decorare cibi, dolci in particolare, e per realizzare liquori, sciroppi, ed estratti dolci da conservare sino all’inverno.»

“Prunella e cera d’api” J. Newdick ed. De Agostini
Ricette con le violette

kir violette

Liquore di violette
  • 150 gr violette, 350 gr zucchero, 500 gr acqua, 250 gr alcool a 90°. Fare uno sciroppo con l’acqua e lo zucchero. Versarlo sulle violette e lasciare in infusione per 24 ore. Unire l’alcool, travasare in bottigliette e lasciare riposare per 1 mese prima di consumarlo.
Tocco e tacchi
Sciroppo alla Violetta
  • Per preparare questo Kir, ho prima preparato un sciroppo di violette raccogliendo quelle del mio giardino. Per fare lo sciroppo di violetta, naturalmente occorrono le violette pulite e senza stelo, si mettono in un barattolo, si coprono di acqua bollente e si lasciano in infusione per 24 ore coperte. Poi si filtra il tutto in un misurino per vedere la quantità. Mettere l’infuso in un pentolino con lo stesso volume di zucchero e far sciogliere senza far bollire. Se lo si vuole conservare, si può mettere in una bottiglietta tipo quelle del succo di frutta con tappo a vite sigillandolo come la marmellata (travasare al primo bollore) Questo sistema è valido anche per fare lo sciroppo con altri fiori profumati.
 Rosolio di violette
  • Acqua: 1 l, Petali di violette: 500 g, Zucchero: 400 g, Acqua: 350 g, Alcol: 300 g, Vaniglia in polvere: 1 cucchiaio
    Mondare delicatamente i petali di violette Versarli in un vaso di vetro con un litro di acqua ed un bicchiere di alcol Mettere a bagnomaria e far bollire per almeno 20 minuti Lasciare raffreddare
    Filtrare, strizzando i petali di violette per recuperarne il colore Portare a leggera ebollizione 350 g di acqua. Versarvi lo zucchero Mescolare fino ad ottenere uno sciroppo trasparente. Lasciarlo raffreddare. Unire l’infuso di viole, l’alcol rimasto e la vaniglia. Mescolare accuratamente. Filtrare ed imbottigliare
 Il calderone di Marinella
violette candite 2

Come fare le violette candite

violette L’Évanescent - Ricetta cocktail

L’Évanescent cocktail alle violette

 

 

 

 

Come fare i fiori canditi per decorare torte, cupcakes, biscotti e dessert.

«Siroppi rinfrescativi di viole» due ricette di La Varenne del 1651

Del modo di formar Giulebbe, ricette del 1778 di Vincenzo Corrado “Il credenziere di buon gusto”

Fiori in cucina. Ricette con i fiori eduli

Violettes de Toulouse.jpg [[File:Violettes de Toulouse.jpg|Violettes_de_Toulouse]]
Colomba pasquale casalinga

Colomba pasquale casalinga

Con colomba pasquale si indicano diversi dolci pasquali tipici dell’Italia. Vi sono due principali dolci cui fa riferimento la dizione “colomba pasquale”:

Colomba pasquale casalinga

Ingredienti e dosi per 4 persone
  • 300 gr. di farina,
  • 100 gr. di burro,
  • 100 gr. di zucchero,
  • 20 gr. di lievito di birra,
  • 2 uova intere,
  • 2 tuorli,
  • 80 gr. di scorza di arancia candita,
  • 80 gr. di uvetta,
  • la raschiatura di un’arancia,
  • una puntina di sale,
  • qualche cucchiaio di latte.
Preparazione

Fate un panetto con 60 gr. di farina e il lievito sciolto con il latte tiepido, e lasciatelo lievitare per circa un’ora. Unite al panetto già lievitato ancora 1 ettogrammo circa di farina e, aggiungendo un po’ di acqua tiepida, formate un secondo impasto, che lascerete lievitare ancora per un’ora. Unirete allora a questo impasto lievitato il resto della farina, i tuorli, le uova intere, il burro morbido a pezzetti e lo zucchero, lavorando molto bene la pasta e sbattendola alla fine con forza sulla spianatoia. Aggiungete anche la scorza di arancia candita tagliata a dadetti, la raschiatura dell’arancia l’uvetta ammollata in acqua calda, scolata e asciugata.

Lavorate ancora la pasta, in modo che gli ultimi ingredienti si amalgamino bene. Riunite la pasta in una palla che metterete in una terrina coperta, lasciandola lievitare almeno per sei o sette ore. È quindi meglio preparare la pasta della colomba la sera, per cuocerla la mattina dopo.

colomba pasquale

Terminata la lievitatura, lavorate ancora un po’ la pasta sulla spianatoia per sgonfiarla e datele, aiutandovi con le mani e con un coltello, la tradizionale forma della colomba stilizzata. Se non vi sentite molto sicure, disegnate la forma della colomba su un foglio di carta, ritagliatela e servitevene come modello. Lasciate lievitare ancora la colomba, nella sua forma definitiva, per qualche ora e infine passatela in forno a calore moderato per tre quarti d’ora circa.

1 Colomba pasquale casalinga

Per guarnire la colomba potrete spennellarla con latte quando comincia a colorirsi e cospargetela di graniglia di zucchero e di mandorle. Oppure rivestitela, a cottura terminata, con una glassa bianca¹ o al cioccolato² e completate la guarnizione con confettini d’argento o ovetti di cioccolato. Se avete usato la glassa di cioccolato, potrete con la siringa da dolci ripiena di glassa bianca, tracciare sul cioccolato filettature e disegni, quindi arricchite la decorazione con confettini d’argento

  Enciclopedia della donna 1965
  • ¹Per la glassa allo zucchero: 100 gr. di zucchero, 2 cucchiai d’acqua, zucchero a velo.
  • ²Per la glassa al cioccolato: 100 gr. di cioccolato fondente, 50 gr. di zucchero, due cucchiai d’acqua.
2 Colomba pasquale casalinga
Colomba cruda
Colomba di Potito (4484667412).jpg [[File:Colomba di Potito (4484667412).jpg|Colomba_di_Potito_(4484667412)]]
Abbacchio_Pasquale

Abbacchio alla romana, ricetta del 1935

Almanacco della cucina 1935

L’ abbacchio è l’agnello di latte.
Prendete sette etti di spalla di agnello. Lavatela con acqua e aceto e tagliate a piccoli pezzi che avrete cura di asciugare. Infarinate i pezzi e fateli rosolare in una casseruola che avrete preparato sul fuoco con mezzo bicchiere di olio bollente. Cospargete con sale e con pepe. In un quarto d’ora circa l’abbacchio avrà acquistato una bella tinta dorata. Togliete la parte di olio superfluo e versate nella casseruola un buon bicchiere di aceto bianco. Aggiungete ancora un ramoscello di rosmarino e uno spicchio d’aglio pestato. Spolverizzate con poca noce moscata e, dopo avere coperto ermeticamente la casseruola, lasciate crogiolare lentamente a fuoco basso fintanto che l’aceto sia stato completamente assorbito. Servite l’abbacchio, così confezionato, con una buona puré di patate.
MESI secondo ALMANACCO DELLA CUCINA anno 1935
Vino
Sangiovese di Aprilia (Lazio), Rosso Conero (Marche), Aglianico dei Colli Lucani (Basilicata) serviti a 19°C. Marino rosso (Lazio), Valpolicella (Veneto), Merlot (Veneto)
Abbacchio a scottadito alla romanaAbbacchio scottadito alla romana
 By masolino / Tommaso Passi  [CC BY 2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by/2.0)], via Wikimedia Commons
schiacciata stiacciata livornese artusi fucecchio

598. Stiacciata livornese, dolce pasquale di Pellegrino Artusi

La Schiacciata di Pasqua è tipica della tradizione gastronomica pasquale della Toscana, ed è un dolce povero della cucina contadina e della provincia di Pisa e in particolare delle zone di Fucecchio e San Miniato. La Schiacciata di Pasqua nasce nella seconda metà dell’Ottocento dall’idea delle famiglie contadine, per usare la gran quantità di uova del periodo pasquale per fare un dolce, che servisse a festeggiare la Pasqua.
Veniva preparata nel periodo della Quaresima e fino alla Pasqua di Rose (Pentecoste), quando non c’era molto altro da mangiare. Un vero e proprio pan dolce preparato con la pasta di pane arricchita di uova, zucchero e aromi. La tipicità é data dal tipo di lavorazione e dalla fermentazione naturale che avveniva grazie al calore che emanavano una volta i grandi bracieri, con cui anche si cucinava.
Il Corollo
Un vecchio documento racconta…
«Ogni famiglia la confezionava nella propria casa. Quando la pasta era pronta veniva sistemata nelle teglie di rame. Con i grumi di pasta rimasti le mamme preparavano il Corollo, una ciambella che veniva posta sopra un pezzo di carta oleata. Le teglie con le Schiacciate e il Corollo venivano messi a lievitare nella madia. La lievitazione però si rivelava sempre molto problematica. E siccome le schiacciate venivano preparate dopo la cena dovevamo vegliarle per vedere se lievitavano. Stabilivamo dei turni. Se a mezzanotte la pasta non si era mossa dovevamo farle fare i fumacchi: mettevamo dentro la madia alcune pentole di acqua bollente e affidavamo al loro vapore acqueo il miracolo della lievitazione. Se il miracolo non avveniva portavamo le schiacciate in “cardana” (un pertugio sopra il fondo) verso le sei di mattina. Al fornaio […] portavamo anche un uovo con il quale doveva spennellare la superficie delle schiacciate prima di metterle in forno. Io non vedevo l’ora di prendere il corollo perché potevamo mangiarlo…»

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Schiacciata dolce toscana di Pasqua

La ricetta di P. Artusi

Le stiacciate alla livornese usansi per Pasqua d’uovo forse perché il tepore della stagione viene in aiuto a farle lievitar bene e le uova in quel tempo abbondano. Richiedono una lavorazione lunga, forse di quattro giorni, perché vanno rimaneggiate parecchie volte. Eccovi la nota degl’ingredienti necessari per farne tre di media grandezza, o quattro più piccole:

Uova, n. 12.
Farina finissima, chilogrammi 1,800.
Zucchero, grammi 600.
Olio sopraffine, grammi 200.
Burro, grammi 70.
Lievito di birra, grammi 30.
Anaci, grammi 20.
Vin santo, decilitri 11/2.
Marsala, 1/2 decilitro.
Acqua di fior d’aranci, decilitri l.

Mescolate le due qualità di vino e in un po’ di questo liquido ponete in fusione gli anaci dopo averli ben lavati. A tarda sera potrete fare questa.

  • 1a Operazione. Intridete il lievito di birra con mezzo bicchiere di acqua tiepida, facendogli prender la farina che occorre per formare un pane di giusta consistenza, che collocherete sopra il monte della farina, entro a una catinella, coprendolo con uno strato della medesima farina. Tenete la catinella riparata dall’aria e in cucina, se non avete luogo più tiepido nella vostra casa.
  • 2a Operazione. La mattina, quando il detto pane sarà ben lievitato, ponetelo sulla spianatoia, allargatelo e rimpastatelo con un uovo, una cucchiaiata d’olio, una di zucchero, una di vino e tanta farina da formare un’altra volta un pane più grosso, mescolando ogni cosa per bene senza troppo lavorarlo.
    Ricollocatelo sopra la farina e copritelo come l’antecedente.
  • 3a Operazione. Dopo sei o sette ore, che tante occorreranno onde il pane torni a lievitare, aggiungete tre uova, tre cucchiaiate d’olio, tre di zucchero, tre di vino, e farina bastante per formare il solito pane e lasciatelo lievitar di nuovo, regolandovi sempre nello stesso modo. Per conoscere il punto della fermentazione calcolate che il pane deve aumentare circa tre volte di volume.
  • 4a Operazione. Cinque uova, cinque cucchiaiate di zucchero, cinque d’olio, cinque di vino e la farina necessaria.
  • 5a ed ultima operazione. Le tre rimanenti uova e tutto il resto, sciogliendo il burro al fuoco, si mescoli ben bene per rendere la pasta omogenea. Se il pastone vi riuscisse alquanto morbido, il che non è probabile, aggiungete altra farina per renderlo di giusta consistenza.
    Dividetelo in tre o quattro parti formandone delle palle e ponete ognuna di esse in una teglia sopra un foglio di carta che ne superi l’orlo, unta col burro, ove stia ben larga; e siccome via via che si aumenta la dose degli ingredienti, la fermentazione è più tardiva, l’ultima volta, se volete sollecitarla, ponete le stiacciate a lievitare in caldana e quando saranno ben gonfie e tremolanti spalmatele con un pennello prima intinto nell’acqua di fior di arancio, poi nel rosso d’uovo.

Cuocetele in forno a temperatura moderatissima, avvertendo che quest’ultima parte è la più importante e difficile perché, essendo grosse di volume, c’è il caso che il forte calore le arrivi subito alla superficie, e nell’interno restino mollicone.

Con questa ricetta, eseguita con accuratezza, le stiacciate alla livornese fatte in casa, se non avranno tutta la leggerezza di quelle del Burchi di Pisa, saranno in compenso più saporite e di ottimo gusto.

Pizza dolce di Pasqua marchigiana

Artusi: Menù per la Pasqua d’Uovo

Artusi: Menù per la Pasqua di Rose (Pentecoste)