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“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”
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MAGGIO
Nota di pranzo II
Minestra in brodo. Zuppa santé n. 36
Fritto. Composto alla bolognese n. 175 – Carciofi n. 186 – Zucchini n. 188
Umido. Timballo di piccioni n. 279
Erbaggi. Sparagi al burro n. 450
Arrosto. Vitella di latte, con contorno di Carciofi ritti n. 418
Dolci. Offelle di marzapane n. 615 – Gelato di fragole n. 755
Frutta e formaggio. Frutta di stagione, e Amaretti n. 626 o n. 627
Zuppa santé n. 36
Questa zuppa si fa con diverse qualità di ortaggio qualunque. Dato che vi serviate, per esempio, di carote, acetosa, sedano e cavolo bianco, tagliate questo a mo’ di taglierini e fategli far l’acqua sopra al fuoco, strizzandolo bene. Le carote e il sedano tagliateli a filetti lunghi tre centimetri circa, e insieme col cavolo e con l’acetosa nettata dai gambi, poneteli al fuoco con poco sale, una presa di pepe e un pezzetto di burro. Quando l’erbaggio avrà tirato l’unto, finite di cuocerlo col brodo. Frattanto preparate il pane, il quale è bene sia di qualità fine e raffermo di un giorno almeno; tagliatelo a piccoli dadi e friggetelo nel burro o anche nell’olio vergine o nel lardo; ma perché assorba poco unto tenete quest’ultimo abbondante e gettateci il pane quando è bene a bollore altrimenti arrostitelo soltanto a fette grosse mezzo dito e tagliatelo dopo a dadi. Ponete il pane nella zuppiera, versategli sopra il brodo a bollore insieme coll’erbaggio, e mandate la zuppa subito in tavola.
Usando i ferri del mestiere si possono dare agli ortaggi forme graziose ed eleganti
Composto alla bolognese n. 175
A questo fritto si potrebbe più propriamente dare il nome di crocchette fini. Prendete un pezzo di magro di vitella di latte stracottata, un piccolo cervello lessato o cotto nel sugo, e una fettina di prosciutto grasso e magro. Tritate ogni cosa colla lunetta e poi pestatela ben fine nel mortaio. Dopo aggiungete un rosso d’uovo o un uovo intero, secondo la quantità, e un poco di besciamella n. 137. Mettete il composto al fuoco e rimestando sempre lasciate che l’uovo si cuocia.
Aggiungete per ultimo parmigiano grattato, l’odore della noce moscata, dei tartufi tritati finissimi e versatelo in un piatto. Quando sarà ben diaccio fatene tante pallottole rotonde della grossezza di una piccola noce e infarinatele. Poi mettetele nell’uovo e dopo nel pangrattato finissimo, ripetendo per due volte l’operazione e friggetele.
Carciofi n. 186
Questo è un fritto molto semplice; ma pure, pare incredibile, non tutti lo sanno. fare. In alcuni paesi lessano i carciofi prima di friggerli, il che non va bene: in altri li avvolgono in una pastella la quale non solo non è necessaria, ma leva al frutto il suo gusto naturale. Eccovi il metodo usato in Toscana che è il migliore. Colà, facendosi grande uso ed abuso di legumi ed erbaggi, si cucinano meglio che altrove.
Prendete, per esempio, due carciofi, nettateli dalle foglie coriacee, spuntateli, mondatene il gambo e tagliateli in due parti; poi questi mezzi carciofi tagliateli a spicchi o per meglio dire a fette da cavarne 8 o 10 per carciofo anche se non è molto grosso. Di mano in mano che li tagliate, gettateli nell’acqua fresca e quando si saranno ben rinfrescati, levateli ed asciugateli così all’ingrosso o spremeteli soltanto, gettandoli subito nella farina perché vi resti bene attaccata.
Montate a mezzo la chiara di un uovo, ché uno solo basta per due carciofi, poi nella chiara mescolate il torlo e salatelo. Mettete i carciofi in un vagliettino per scuoterne la farina superflua e dopo passateli nell’uovo, mescolate e lasciateceli qualche poco onde l’uovo s’incorpori. Gettate i pezzi a uno a uno in padella con l’unto a bollore e quando avranno preso un bel colore dorato levateli e mandateli in tavola con spicchi di limone perché, come ognun sa, l’agro sui fritti che non sono dolci dà sempre grazia ed eccitamento al buon bere.
Se desiderate che i carciofi restino bianchi, è meglio friggerli nell’olio e strizzare mezzo limone nell’acqua quando li mettete in molle.
Timballo di piccioni n. 279
Questa pietanza dicesi timballo, forse dalla forma che si approssima all’istrumento musicale di questo nome.
Fate un battuto con prosciutto, cipolla, sedano e carota, aggiungete un pezzetto di burro e mettetelo al fuoco con un piccione o due, a seconda del numero delle persone che dovranno fargli la festa. Unite ai medesimi le loro rigaglie con altre di pollo, se ne avete. Condite con sale e pepe e, quando i piccioni saranno rosolati, bagnateli con brodo per tirarli a cottura, ma procurate che vi resti del sugo. Passate questo e gettatevi dei maccheroni che avrete già cotti, ma non del tutto, in acqua salata e teneteli presso al fuoco rimovendoli di quando in quando. Fate un poco di balsamella, poi spezzate i piccioni nelle loro giunture, escludendone il collo, la testa, le zampe e le ossa del groppone quando non vi piacesse di disossarli del tutto, il che sarebbe meglio. Le rigaglie tagliatele a pezzi piuttosto grossi e alle cipolle levate il tenerume. Allorché i maccheroni avranno succhiato il sugo, conditeli con parmigiano, pezzettini di burro, dadini o, meglio, fettine di prosciutto grasso e magro, noce moscata, fettine di tartufi o, mancando questi, un pugnello di funghi secchi rammolliti. Unite infine la belsamella e mescolate.
Prendete una cazzaruola di grandezza proporzionata, ungetela tutta con burro diaccio e foderatela di pasta frolla. Versate il composto, copritelo della stessa pasta e cuocetelo al forno; sformatelo caldo e servitelo subito.
Con grammi 300 di maccheroni e due piccioni farete un timballo per dieci o dodici persone se non sono forti mangiatori. Volendo potete anche dargli la forma di pasticcio come quello del n. 349.
Sparagi al burro n. 450
Per dare agli sparagi aspetto più bello, prima di cuocerli, raschiate con un coltello la parte bianca e pareggiate l’estremità del gambo; poi legateli con uno spago in mazzi non troppo grossi, e perché restino verdi, salate l’acqua, immergendoli quando bolle forte e facendo vento onde il bollore riprenda subito. La cottura è giusta allorché gli sparagi cominciano a piegare il capo; ma accertatevi meglio colle dita se cedono a una giusta pressione, essendo bene che sieno piuttosto poco che troppo cotti. Quando li levate, gettateli nell’acqua fresca, ma poi toglieteli subito per servirli caldi come i più li desiderano. Questo erbaggio, prezioso non solo per le sue qualità diuretiche e digestive, ma anche per l’alto prezzo a cui si vende, lessato che sia si può preparare in diverse maniere, ma la più semplice e la migliore è quella comune di condirli con olio finissimo e aceto o agro di limone. Nonostante, per variare, eccovi altri modi di prepararli, dopo averli lessati a metà. Metteteli interi a soffriggere alquanto con la parte verde nel burro e, dopo averli conditi con sale, pepe e un pizzico assai scarso di parmigiano, levateli versandoci sopra il burro quando avrà preso il rosso. Oppure, dividete la parte verde dalla bianca e, prendendo un piatto che regga al fuoco, disponeteli in questa guisa: spolverizzatene il fondo con parmigiano grattato e distendeteci sopra le punte degli sparagi le une accosto alle altre, conditele con sale, pepe, parmigiano e pezzetti di burro; fate un altro suolo di sparagi e conditeli al modo istesso proseguendo finché ne avrete; ma andate scarsi a condimento onde non riescano nauseanti. Gli strati degli sparagi incrociateli come un fitto graticolato, metteteli sotto a un coperchio col fuoco sopra per scioglierne il condimento, e serviteli caldi. Se avete sugo di carne, lessateli a metà e tirateli a cottura con quello, aggiungendo un poco di burro e una leggiera fioritura di parmigiano. In un fritto misto potete anche servirvi delle punte verdi degli sparagi avvolgendole nella pastella del n. 156.
Altri e diversi modi di prepararli vengono indicati nei libri di cucina; ma il più sovente riescono intrugli non graditi dai buongustai. Nonostante v’indico la salsa del n. 124, che può piacere, se è mandata calda in tavola in una salsiera a parte, per condire con essa tanto gli sparagi quanto i carciofi tagliati in quarti e lessati.
Il cattivo odore prodotto dagli sparagi si può convertire in grato olezzo di viola mammola, versando nel vaso da notte alcune gocce di trementina.
Carciofi ritti n. 418
Così chiamassi a Firenze i carciofi cucinati semplicemente nella seguente maniera: levate loro soltanto le piccole e inutili foglie vicine al gambo tagliando quest’ultimo. Svettate col coltello la cima e allargate alquanto le foglie interne. Collocateli ritti in un tegame, insieme coi gambi sbucciati e interi; conditeli con sale, pepe e olio, il tutto a buona misura. Fateli soffriggere tenendoli coperti, e, quando saranno ben rosolati, versate nel tegame un po’ d’acqua e con la medesima finite di cuocerli.
Offelle di marzapane n. 615
Servitevi della pasta frolla n. 589 nel quantitativo della ricetta A, distendetela col matterello alla grossezza di uno scudo e tagliatela collo stampo rotondo e smerlato come quello segnato [figura11]; un disco sotto e un disco sopra, quest’ultimo tirato col matterello rigato, e in mezzo la marmellata, umettando gli orli perché si attacchino. Dorate le offelle col rosso d’uovo e mandatele al forno, spolverizzandole dopo di zucchero a velo.
Gelato di fragole n. 755
Fragole ben mature, grammi 300.
Zucchero bianco fine, grammi 300
Acqua, mezzo litro.
Un grosso limone di giardino.
Un arancio.
Fate bollire lo zucchero nell’acqua per 10 minuti a casseruola scoperta. Passate dallo staccio le fragole e il sugo dell’arancio e del limone, aggiungete lo sciroppo dopo aver passato anche questo, mescolate ogni cosa e versate il composto nella sorbettiera.
Questa dose potrà bastare per otto persone.
Amaretti n. 626
Zucchero bianco in polvere, grammi 250.
Mandorle dolci, grammi 100.
Mandorle amare, grammi 50.
Chiare d’uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco, poi tritatele finissime con la lunetta. Lavorate col mestolo lo zucchero e le chiare per mezz’ora almeno, e aggiungete le mandorle per formarne una pasta soda in modo da farne delle pallottole grosse quanto una piccola noce; se riuscisse troppo morbida aggiungete altro zucchero e se troppo dura un’altra po’ di chiara, questa volta montata. Se vi piacesse dare agli amaretti un colore tendente al bruno, mescolate nel composto un po’ di zucchero bruciato.
Via via che formate le dette pallottole, che stiaccerete alla grossezza di un centimetro, ponetele sopra le ostie, o sopra pezzetti di carta, oppure in una teglia unta col burro e spolverizzata di metà farina e metà zucchero a velo; ma a una discreta distanza l’una dall’altra perché si allargano molto e gonfiano, restando vuote all’interno. Cuocetele in forno a moderato calore.
Amaretti n. 627
Eccovi un’altra ricetta di amaretti che giudico migliori dei precedenti e di più facile esecuzione.
Zucchero bianco a velo, grammi 300.
Mandorle dolci, grammi 180.
Mandorle amare, grammi 20.
Chiare d’uovo, n. 2.
Le mandorle spellatele e seccatele al sole o al fuoco; poi pestatele fini nel mortaio con una chiara versata in più volte. Fatto questo mescolateci la metà dello zucchero, mantrugiando il composto con una mano. Dopo versatelo in un vaso e, mantrugiando sempre perché s’incorpori, aggiungete una mezza chiara, poi l’altra metà dello zucchero e appresso l’ultima mezza chiara.
Otterrete, così lavorato, un impasto omogeneo e di giusta consistenza che potrete foggiare a bastone per tagliarlo a pezzetti tutti eguali. Prendeteli su a uno a uno con le mani bagnate alquanto per formarne delle pallottole grosse come le noci. Stiacciatele alla grossezza di un centimetro e pel resto regolatevi come per i precedenti, ma spolverizzateli leggermente di zucchero a velo prima di metterli in forno a calore ardente, e dico forno perché il forno da campagna non sarebbe al caso per questa pasta. Con questa dose otterrete una trentina di amaretti.
ARTUSI: Maggio – Nota pranzo II