Menù per pranzo e cena San Biagio Cappelletti di Romagna Artusi

3 Febbraio, SAN BIAGIO. Menù per pranzo e cena

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 Menù delle famiglie nobiliari ravennati di inizio ‘900 (Romagna)

3 Febbraio, San Biagio

Menù

PRANZO
Minestre
Cappelletti romagnoli o Tortellini bolognesi o Cappelletti di zucca, tutti in brodo
Pietanze
Anguille in graticola
Anguilla contornata da polenta e da patate al forno
Bistecche nel tegame
Verze lessate
Patate cotte nel loro sugo
Formaggi
Ricotta, di vacca, di pecora
Frutta
fresca e secca
Dolci
Latte brulé
Budino di mandorle

Anguille contornate da polenta
Soffriggere in un pignatto, ciopolle, aglio e prezzemolo tritati , olio, burro, sale, pepe e alcune foglie di alloro. Aggiungere poi nel pignatto conserva di pomodoro in abbondanza, un bicchiere di vino nero di bosco e i pezzetti di anguilla. Cuocere per 15 minuti circa e servire in tavola con polenta.

Bistecche al tegame
Mettere le bistecche in un tegame con burro e olio e odore di rosmarino. Aggiungere un goccio di acqua e brodo, oppure conserva di pomodoro e servire in tavola con patate o versa lessate cotte nel loro sugo e se questo non basta aggiungre del brodo

Menù

CENA
Minestre
Tagliatelline fini o Strinchetti in brodo
Pietanze
Carni lessate di manzo, vitello, ova, anatra, tacchino,
gallina faraona, cappone, pollastra.
Spinaci, cavoli, patate tutti cotti col burro
Formaggi
Di vacca, Squaquarone
Frutta
fresca e secca
Dolci
Torta di riso
Biscotti viennesi
Liquore di Curaçao

Biscotti viennesi
Farina grammi 400, burro grammi 250, latte grammi 200, un pizzico di sale.
Lavorare il tutto qui sopra detto e tirare poi col mattarello la pasta ricavata. Tagliare la pasta in tante ruote della grandezza di uno scudo (moneta diffusa in passato in molti stati) e cuocerle su lastra unta e infarinata in forno ben caldo.

Alla fine della cena
Servire agli invitati il Curaçao (liquore dolce dal sapore di arancia pronto per l’uso che veniva acquistato in bottiglioni nelle botteghe o rivendite di alcoolici).

Menù per pranzo e cena San Biagio

da “Cucinario di una vecchia famiglia nobiliare”: Menù per festività e ricorrenze con oltre 350 ricette raccolti in un cucinario di una vecchia famiglia nobiliare romagnola che il rampollo Giovanni Manzoni ha svelato in questo libro ricco di suggerimenti e leccornie. Tra le ricette più selezionate ben otto modi di fare i cappelletti romagnoli ed altrettanti per i tortellini bolognesi con tanto di brodo doc per palati fini. Da citare la polenta alla Manzoni che riporta gli antichi sapori nostrani, poi per sbizzarrirsi si può provare a cucinare altre ricette che si adattano a qualsiasi piatto ed accostamento di cibi. Lugo di Romagna 1985.

Menù di Escoffier:aprile Menù Escoffier: GIUGNO

Menù di Escoffier: MAGGIO

Bottles of Champagne Bread Biscuits and Cakes on a Draped-Table. Jules Larcher (1849-1920)

Menù
Pranzo
Melone cantalupo. Uova Grand-Duc*
Rumpsteak *Mirabeau. Patate al prezzemolo*
Terrina di pollo in gelatina
Insalata primavera
Ananas alla creola
Crocchette di Bordeaux

Cena
Potage Saint-Germain*
Piccolo rombo Dugléré
Epigrammi di agnello alla giardiniera
Anatroccolo di Rouen al sangue
Insalata di lattuga romana
Asparagi alla polacca
Fragole Sarah Bernhardt

Dopo teatro
Melone cocktail
Vellutata leggera di pollo in tazza
Filetti di sogliola glassata su mousse di gamberetti
Costolette di pollame Pojarski
Piselli alla francese
Terrina di anatra al Porto
Insalata Saint-Jean
Mousse di fragole profumata al curacao
Lingue di gatto

Uova affogate Grand-Duc
Mettere le uova su dei crostini di pane fritti nel burro, disporli in cerchio in un piatto di portata. Mettere una bella lamella di tartufo su ogni uovo e una o due code di gamberi tra un uovo e l’altro. Velare le uova di salsa besciamella alla panna, spolverare con formaggio grattugiato, cospargere di burro fuso e fare leggermente gratinare nella salamandra¹. Guarnire il centro del piatto con punte di asparagi molto verdi, legate al burro.
 
Rumpsteak (Punta di lombata)
In inghilterra, paese d’origine del rumpsteack, lo si serve soprattutto cotto alla griglia: Quando il rumpsteack è pronto, disporlo in un vassoio caldo e mettervi sopra una fetta spessa di rognone cotto alla griglia, per ogni persona. Servire a parte del rafano a pezzetti.
Patate al prezzemolo
Cuocere le patate all’inglese², scolarle bene e voltolarle in un amalgama di burro fuso e prezzemolo tritato. Alle patate al prezzemolo si può aggiungere, come variante, mollica di pane fritta nel burro.

²Patate all’inglese
Sagomare le patate a forma di uova di piccione o di grosso spicchio d’aglio; cuocere nell’acqua salata o a vapore. Queste patate accompagnano di solito il pesce bollito. Le patate all’inglese devono essere mangiate appena cotte e ben calde.
Potage Saint-Germain
Questo potage non altro che il purè di piselli freschi.

Menù Escoffier: MAGGIO Menù di Escoffier: MAGGIO

 

APICIO antica roma libri

APICIO – De re coquinaria: raccolta di ricette dell’antica Roma

Frontespice d’une édition de 1709

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MARCO GAVIUS APICIUS
(Marco Gavio Apicio)

Nacque intorno al 25 A.C. e morì suicida verso la fine del regno di Tiberio. Fu considerato il più grande gastronomo della Roma del basso Impero. Era in grado di preparare sontuosi banchetti e, quando rimase con gli ultimi 10 milioni di sesterzi, si uccise per il timore di non poterne allestire più. Passò alla storia per li suoi piatti fantasiosi: manicaretti a base di talloni di cammello, intingoli di creste tagliate a volatili vivi, triglie fatte morire nel garum della migliore qualità, oche ingrassate nei fichi secchi e ingozzate con mulsum, lingue di usignoli, di pavoni e di fenicotteri.
Intorno al 230 D.C. un cuoco di nome Celio compilò una raccolta di ricette in dieci libri, il De re coquinaria (L’ arte culinaria), attribuendola ad Apicio.

Si tratta di appunti frettolosi e disordinati, tuttavia è il più importante libro di cucina scritto in latino. I piatti, qui descritti, furono creati per i nobili ed i ricchi dell’epoca, ma, le ricette e gli accorgimenti per le preparazioni, risultano attuali.

Apicio ritratto da Alexis Soyer
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Leggi anche
INDEX

DE RE COQUINARIA  – Marco Gavio Apicio

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Liber primus (Libro primo)

EPIMELES (l’esperto in cucina

I. CONDITIUM PARADOXUM
(Composizione di vino aromatico speciale)
CONDITIUM MELIZOMUN
(Sciroppo di miele per chi viaggia)

II. APSINTHIUM ROMANUM
(Vino d’assenzio Romano)

III. ROSATUM ET VIOLATIUM
(Vino rosato e violato)

IV. OLEUM LIBURNICUM SIC FACIES
(Olio liburnico o croato)

……….
XXI. MORETARIA
(Piccatiglio o condimento piccante)

Il primo libro contiene suggerimenti vari: come preparare un vino speciale, come rendere chiaro il vino nero, come conservare a lungo la frutta aromatica e alcune verdure, come conservare a lungo la carne, come riconoscere il miele cattivo, come conservare le olive verdi in modo da poterne sempre ricavare l’ olio e come preparare le salse adatte a tartufi, ostriche, ecc…

Liber secundos (Libro secondo)

SARCOPTES (Le carni tritate)

I. ISCIA
(Polpette)
II. HYDROGARATUM ET APOTHERMUM ET AMULATUM
(Altre polpette somiglianti a salsicce)
III. VULVULAE BOTELLI
(Vulvette (o Ammorsellati) e salsicciotti)
IV. LUCANICAE
(Lucaniche, salsicce)
V. FARMICINA
(Ripieni)

Il secondo libro è dedicato all’ impiego di carni tritate, l’ uso di alimenti poveri ed erbe aromatiche.

Liber tertius (Libro terzo)

CEPUROS (Gli ortaggi)

I. DE HOLERIBUS
(per rendere ogni ortaggio smeraldino cuocilo con sale ammonio)
II. PULMENTARIUM AD VENTREM
(Poltiglia per combattere la stipsi)

III. ASPARAGOS
(Asparagi)

IV. CUCURBITAS
(Zucca antipasto)
………..
XXI. CAROETAE SEU PASTINACAE
(Carote o Pastinasche)

Il libro terzo è dedicato a verdure, frutta, formaggio, legumi e farinacei che erano la base dell’ alimentazione dei romani.
Apicio spiega come conservarli e li considera quasi una ghiottoneria e un cibo sano, buono, quasi benefico . Lo ritiene un saporito medicinale e non solo un contorno.

Liber quartus (Libro quarto)

PANDCTER (Pandette)

I. SALA CATTABIA
(Salsa per vasi (di vetro)
II. PATINA PISCIUM HOLERUM POMORUM
(Piatti di pesci, verdura e frutta)

III. MINUTAL DE PISCIBUS VEL ISIICIS
(Trito (ammorsellato) di pesci o di polpette)
IV. TISANAM VEL SUCUM
(Tisana e orzata)
V. GUSTUM
(Antipati)

Apicio contraddistingue il quarto libro con il nome di Pandette (nome di origine greca) che significa “contenitore di ogni cosa“, infatti sono molti gli alimenti trattati: Ricette per salse, torte, piatti di verdure, antipasti, piatti con frutta cotta e formaggi.

Liber quintus (Libro quinto)

OSPREON (Dei legumi)

I. PULTES
(Farinate)
II. LENTICULA
(Lenticchie)
……….
VIII. FASEOLI ET CICER
(Fagioli e ceci)

Il Libro quinto tratta dei legumi e delle varie farine che se ne ricavano. Piselli e lenticchie spesso servono per fare una farcia da inserire in una sorta di pasta dura che viene chiamata “conchiglia”.

 Liber sextus (Libro sesto)

AEROPETES (I volatili)

I. IN STRUTHIONE
(Modo di condire lo struzzo)
II. IN GRUE VEL ANATE PERDICE TURTURE
PALUMBO COLUMBO ET DIVERSIS AVIBUS

(Gru, anitra, pernice, tortora, palombo, colombo e uccelli diversi)
……….
IX. IN PULLO
(per polli)

Il libro sesto tratta di come cucinare cacciagione da piuma (fenicotteri, pappagalli ecc.) e animali da cortile, con le indicazioni per preparare salse da condirli.

Liber septimus (Libro settimo)

POLYTELES (Vivande prelibate)

I. VULVAE STERILES, CALLUM, LIBELLI, COTICULAE ET UNGELLAE
(Vagine sterili, callo (di dromedario), lombo, cotenna e peducci)
II. SUMEN
(Poppa di scrofa)
III. FICATUM
(Fegato)
IV. OFELLAE
(Braciuole)
V. ASSATURAE
(Arrosti)
VI. ELIXAM ET COPADIA
(Salse per lessi e carni tagliuzzate)
……….
XIX. OVA: OVA FRIXA, OVA ELIXA
(Uova: uova fritte, uova lesse)

Il libro settimo tratta di pietanze assai ghiotte a quei tempi.

Liber octavus (Libro ottavo)

TETRAPUS (I quadrupedi)

I. IN APRO
(Cinghiale)
II. IN CERVO. IUS IN CERVUM
(Cervo. Salsa per cervo)
III. IN CAPREA
(Camoscio)
IV. IN OVIFERO
(Pecora selvatica)
………..
IX. GLIRES
(Ghiri – Sciurus Glisi)

Il libro ottavo è dedicato alle carni che venivano mangiate normalmente: cinghiale, cervo, camoscio, capretto, pecora selvatica, ghiro (i romani ne erano ghiotti), agnello, lattonzolo, maiale, lepre.

Liber nonus (Libro nono)

THALASSA (Il mare)

I. IUS IN LUCUSTA ET CAPPARI
(Salsa per aragosta)
II. IN TORPEDINE
(Per la torpedine)
III. IN LOLLIGINE
(Calamari)
IV. IN SEPIIS
(Seppie)
V. IN POLYPO
(Polpo)
……….
XIV. EMBRACTUM BAIANUM
(Intingolo baiano (con ostriche)

Liber decimus (Libro decimo)

HALIEUS (Il pescatore)

I. IN PISCIBUS
(I pesci)
II. IN MURENAM
(Murena)
III. IN LACERTOS
(Sgombri)
IV. IN ANGUILLAM
(Anguilla)

Il libro nono e il libro decimo:
Sono dedicati alla preparazione dl pesce, molluschi e crostacei. Apicio, consiglia anche le salse più adatte.

La giornata degli antichi romani iniziava presto la mattina e le ore erano regolate dall’orologio solare. La prima colazione era a base di pane, carne e formaggio. A mezzogiorno erano preferiti pasti leggeri. Alle 16 circa, dopo una eventuale sosta alle terme pubbliche, veniva consumata la cena, che era il pasto principale. Era composta da piatti sostanziosi: olive, nocciole, noci, datteri e altra frutta, lenticchie, piselli, orzo e grano, zuppe, piatti di pesce o carne cotti alla griglia o al forno. Il vino era molto apprezzato: veniva diluito in acqua fredda o calda, o bevuto puro (merum), oppure arricchito con miele o altro.

Lessico
  • cena, –ae pranzo, cena (pasto principale della giornata; iniziava nel pomeriggio)
  • ……………..cenam facere dare un pranzo
  • ……………..inter cenam durante il pranzo
  • ……………..ad cenam invitare invitare a pranzo
  • convivium, –i convivio, banchetto
  • coquus, –i cuoco
  • gustatio, –onis antipasto
  • ientaculum, –i prima colazione
  • mensa, –aetavola, portata, piatto
  • instruere mensas apparecchiare
  • mensam removere (o tollere) sparecchiare
  • secundae mensae dessert, dolce
  • prandium, –i pranzo, pasto (consumato intorno a mezzogiorno)
  • symposium, –i banchetto

Stoviglie e utensili

  • amphora, –ae anfora, vaso (a due manici, per olio, vino ecc.)
  • calix, –icis calice, bicchiere
  • cantharus, –i cantaro, coppa a due anse
  • catinus, –i piatto fondo, scodella
  • cochlear, –aris cucchiaio
  • crater, –eris cratere, brocca (dove si mescolavano vino e acqua)
  • culter, –cultri coltello
  • linteum, –i tovagliolo (di lino)
  • mantile, -is tovagliolo
  • patella, –ae piatto (per cuocere o servire le vivande)
  • patina, –ae piatto; padella
  • pocùlum, –i bicchiere; bevanda
  • scyphus, –i coppa, tazza
  • trulla, –ae mestolo

Cibi e condimenti

  • agnus, –i agnello
  • anser, anseris oca
  • aper, apri cinghiale
  • apium, –i sedano
  • asparagi, –orum asparagi
  • brassica, –ae cavolo
  • caseus -um, –i formaggio
  • cepa, –ae cipolla
  • cepula, –ae cipollina
  • ciceres, –um ceci
  • farina, –ae farina
  • fabae, –arum fave
  • far, farris farro
  • ficus, –i fico
  • garum, –i salsa di interiora di pesce azzurro
  • holus, –eris ortaggi, verdura
  • lac, lactis latte
  • lactuca, –ae lattuga; insalata
  • lepus, –oris lepre
  • mel, mellis miele
  • oleum, –i olio
  • olivae, –arum olive
  • ostrea, –arum ostriche
  • ovum, –i uovo
  • panis, –is pane
  • …………….panis ater pane nero
  • …………….panis candidus pane bianco
  • …………….cibarius panis pane comune
  • …………….panis nauticus galletta dei marinai
  • perna, –ae prosciutto
  • piscis, –is pesce
  • placenta, –ae focaccia, torta
  • poma, –orum frutta
  • porcus, –i maiale
  • puls, pultis polenta; farinata
  • sal, salis sale
  • sus, suris (m. e f.) maiale; scrofa

Apicius 1541.jpg   Apicius, De re coquinaria, 1498 Wellcome L0014639.jpg   Apicius1709 bis.jpg

Di Apicius, Coelius – Disponibile nella biblioteca digitale BEIC e caricato in collaborazione con Fondazione BEIC., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=50356952

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Menù medievale – Maestro Martino “Il Libro de Arte Coquinaria”

Fucecchio, Firenze – Palio delle contrade: Ogni anno, in maggio, a Fucecchio, si corre il Palio delle Contrade. Questa importantissima quanto antica manifestazione è nata come rievocazione di una Contesa tenutasi a Fucecchio intorno all’anno 1200.

Menù

Ravioli in tempo di carne
Roviglioni (triglie, pesce di pregio variabile)
Uselie (Aguglie, pesce marino dalla carne pregiata)
Tordo marino (pesce marino)
Agoni d’acqua dolce
Sardelle
Li polpi
Granci (granchi, crostacei di diverse dimensioni dalle carni gustose)
Capretto arrosto in sapore
Per fare pavoni vestiti con tutte le sue penne che cocto parà vivo et butte foco pel becco
Per fare pollastri allessi con agresto
Per fare pollastro arrosto
Torta bolognese

Ravioli in tempo di carne
Per farne dece menestre: togli meza libra di caso vecchio, et un
pocho d’altro caso grasso et una libra di ventrescha di porcho* grassa
overo una tettha* di vitella, et cocila allesso tanto che sia ben
disfatta. Dapoi battila bene et togli di bone herbe ben battute, et pepe,
garofoli, et zenzevero; et giongendovi il petto d’un cappone
pesto* serebe bono migliori. Et tutte queste cose distemperale inseme.
Dapoi fagli la pasta ben sottile, et liga* questa materia ne la pasta
como vole essere. Et questi ravioli non siano maiori* d’una meza
castagna, et ponili accocere in brodo di cappone, o di carne bona, facto
giallo di zafrano quando bolle. Et lassali bollire per spatio de
doi paternostri*. Dapoi fanne menestre, et mettili di sopra caso gratto*
et spetie dolci mescolate inseme. Et simili raffioli* si posson fare
di petto di fasani et starne et altre volatile.

  • *Ventresca di porcho: pancetta di maiale,
  • *tettha: tetta,
  • *pesto: tritato,
  • *distemperale: amalgamale,
  • *liga: colloca,
  • *maiori: più grandi,
  • *spatio de doi paternostri: il tempo di dire due paternostri,
  • *gratto: grattugiato,
  • *raffioli: ravioli

Roviglioni.
Frigili simelemente, et dalli quello sapore* scripto nel capitolo precedente.

Uselie
II suo naturale è de frigerlo, ma anche allesso è bono et arrosto.

Tordo marino
Fallo allessare si è grosso, et si è piccholo faralo friggere, et per suo sapore gli darali la mostarda.

Agoni d’acqua dolce
Seranno boni allessi col petrosillo, de botiro et de le spetie;
simelmente sonno boni fritti col suco d’aranci di sopra o agresto.

Sardelle
Il suo naturale è de frigerle et ancora le poi arrostire se ti piace,
et mettili suso* del suco de aranci o agresto mescolato con un pocho d’olio.

Li polpi
è pesce vile* et de non farne stima*; cocilo adunque como ti pare

Granci
Falli in quello modo che è ditto de li gamari nel suo capitolo, etcon essi darai per suo sapore l’aceto.

  • *Sapore: salsa, condimento,
  • *Suso: sopra,
  • *Vile: di poco valore,
  • *Non farne stima: non dargli importanza
 *Clicca sulle imfucecchiomagini per vederle ingrandite*
Capretto arrosto in sapore
Piglia un quarto di capretto et concialo* molto bene como vole
essere arrosto, et inlardalo et ponevi per dentro assai aglio in spichi
mondate a modo se volesci impilottare o inlardare*. Dapoi togli de
bono agresto, doi rosci d’ova, doi spichi daglio* ben piste, un pocho
di zafrano, un pocho di pepe, et un pocho di brodo grasso, et mescola
tutte queste cose inseme et ponile in un baso* sotto il capretto
quando s’arroste*, et bagnalo qualche volta con questo tal sapore.
Et quando è cotto poni il quarto del capretto in un piatto et ponivi
di sopra il ditto sapore et un pocho di petrosillo battuto menuto.
Et questo quarto di capretto vole essere ben cotto e magnato* caldo.
  • *concialo: preparalo, condiscilo,
  • *inlardare, impilottare: intodurre pezzetti di lardo e aglio nelle fessure praticate nella carne,
  • *daglio: d’aglio,
  • *baso: vaso,
  • *magnato: mangiato,
  • *sarroste: si arrostisce

Per fare pavoni vestiti con tutte le sue penne che cocto parà vivo et butte* foco pel becco
Per fare pavoni vestiti che pareno vivi: in prima se vole amazare
il pavone con una penna*, ficcandoglila sopra al capo, o veramente
cavargli il sangue sotto la gola como ad un capretto. Et dapoi fendilo*
sotto lo corpo, cioè da lo collo per insino* a la coda, tagliando solamente
la pelle et scorticalo gentilmente che non guasti né penne né
pelle. Et quando tu haverai scorticato il corpo inversa* la pelle del
collo per insino a presso al capo. Poi taglia il ditto capo che resti
attaccato a la pelle del collo; et similemente fa’ che la gambe restino
attaccate a la pelle de le cosse*. Dapoi acconcialo molto bene arrosto,
et empielo* de bone cose con bone spetie et togli garofoli
integri et piantagli* per lo petto, et ponilo nel speto et fallo cocere
ad ascio; et d’intorno al collo pònevi* una pezza bagnata aciò che
‘l focho non lo secchi troppo; et continuamente bagnia la dicta
pezza. Et quando è cotto cavalo fore e rivestilo con la sua pelle. Et
habi uno ingegno* di ferro fitto* in un taglieri et che passi per i
piedi et per le gambe del pavone aciò* che ‘l ferro non se veda; et
quel pavone stia in piedi dritto col capo che para* vivo; et acconcia
molto bene la coda che faccie* la rota. Se voli che gitti* focho per il
beccho, togli una quarta oncia de canfara* con un pocha de bombace*
sì intorno, et mittila nel beccho del pavone, et mettivi etiamdio un
pocha de acqua vite o de bon vino grande*. Et quando il vorrai mandare
ad tavola appiccia* il focho nel dicto bombace, et gietterà focho
per bon spatio di tempo. Et per più magnificenza*, quando il pavone
è cotto, si pò indorare con fogli d’oro battuto et sopra lo ditto oro
porre la sua pelle, la quale vole essere inbrattata* dal canto dentro*
con bone spetie. Et simelmente si po fare de fasciani, gruve, oche et
altri ocelli*, o capponi o pollastri.

  • *Butte: butti,
  • * penna: coltello sottile come un bisturi,
  • *fendilo: aprilo,
  • *per insino: fino,
  • *inversa: rovescia,
  • *cosse: cosce,
  • * impielo: riempilo,
  • *piantagli: piantaglieli,
  • * pònevi: vi poni,
  • *ingegno: congegno, attrezzo,
  • *fitto: conficcato,
  • *aciò: affinchè,
  • *para: sembri,
  • *acconcia: aggiusta, disponi,
  • *che faccie: in modo che faccia,
  • *gitti: getti,
  • *canfara: càanfora,
  • *bombace, bambace: bambagia, ovatta,
  • *acquavite: distillato di vino,
  • *grande: invecchiato,
  • *appiccia: appicca, accendi,
  • *magnificenza: efetto,
  • * inbrattata: spolverizzata,
  • *canto dentro: lato interno,
  • *& altri ocelli: fagiani, gru, oche e altri uccelli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Per fare pollastri allessi con agresto
Per fare pollastri allessi con agresto, vogliono essere cotti con
un pocha di carne salata. Et quando sondo* mezo cotti, togli agresto
sano*, et taglialo per mezo et cacciane fore le grane* del dicto agresto,
et ponilo a cocere coli dicti pollastri. Et quando sonno cotti
togli un pocho de petrosello et menta tagliata menuta menuta et
un pocho di pepe et di zafrano polverizati; et tutte queste cose poni
inseme coli pollastri et col brodo in un piattello et mandali ad
tavola.
 
Per fare pollastro arrosto
Per fare pollastro arrosto si vuole cocere arrosto; et quando è
cotto togli sucho di pomaranci*, overo di bono agresto con acqua
rosata, zuccharo et cannella, et mitti il pollastro in un piattello;
et dapoi gettavi questa tal mescolanza di sopra et mandalo ad
tavola.

  • *Sondo: sono,
  • * agresto sano: con acini interi di uva acerba,
  • *grane: vinaccioli,
  • * pomaranci: arance

Torta bolognese
Pigliarai altretanto cascio* como è ditto nel capitolo di sopra de
la torta biancha, et grattalo. Et nota che quanto è più grasso il
cascio tanto è meglio; poi habi de le vietole*, petrosillo* et maiorana*,
et nettate et lavate che l’avrai, battile molto bene con un coltello,
et mittirale inseme con questo cascio, menandole et mescolandole
con le mani tanto che siano bene incorporate, agiongendovi quattro
ova, et del pepe quanto basti, et un pocho di zafrano, item di bono
strutto overo butiro* frescho, mescolando et incorporando tutte queste
cose molto bene inseme como ho ditto. Et questo pieno* mettirai
in una padella con una crosta* di sotto et una di sopra, daendoli* il
focho temperatamente; et quando ti pare che sia meza cotta, perché
para più bella, con un roscio d’ovo battuto con un pocho di zafrano
la farai gialla. Et acconoscere* quando ella è cotta ponerai* mente
quando la crosta di sopra si levarà et alzarà in suso*, che allora starà
bene et poterala levare dal focho.

  • *Cascio: formaggio,
  • *vietole: bietole,
  • *petrosillo: prezzemolo,
  • *maiorana: maggiorana,maestro martino libri
  • *butiro: burro,
  • *pieno: ripieno, farcia,
  • *crosta: strato di sfoglia,
  • *daendoli: dandogli,
  • *acconoscere: capire,
  • * ponerai mente, starai attento,
  • *suso: su.
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carnevale carolina (7)

ARTUSI: Aprile – Nota di pranzo I

 
“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”


APRILE
Nota di pranzo I
Minestra in brodo. Mattoncini di ricotta n. 25
Lesso. Vitella con sparagi in Salsa bianca n. 124
Trasmesso. Pagnottelle n. 239
Erbaggi. Sformato di carciofi n. 391
Arrosto. Vitella da latte con insalata
Dolci. Panettone Marietta n. 604 – Latte brûlé n. 692, con Cialdoni n. 621
Frutta e formaggio. Baccelli, càtere, ossia mandorle tenere con guscio, e Pasta Maddalena n. 608 .

Minestra di mattoncini di ricotta n. 25
Ricotta, grammi 200.
Parmigiano grattato, grammi 30.
Uova, n. 2.
Sale, quanto basta.
Odori di scorza di limone e di noce moscata,
Disfate la ricotta passandola per istaccio, aggiungere il resto e le uova uno alla volta. Mescolate bene e versate il composto in uno stampo liscio per cuocerlo a bagnomaria. Sformatelo diaccio, levategli la carta colla quale avrete coperto il fondo dello stampo e tagliatelo a dadini della dimensione di un centimetro circa. Collocateli poi nella zuppiera, versate sui medesimi il brodo bollente e mandateli in tavola.
Questa dose basterà per cinque o sei persone.
Salsa bianca n. 124
È una salsa da servire cogli sparagi lessati, o col cavolfiore.
Burro, grammi 100.
Farina, una cucchiaiata.
Aceto, una cucchiaiata.
Un rosso d’uovo.
Sale e pepe.
Brodo o acqua, quanto basta
Mettete prima al fuoco la farina colla metà del burro e quando avrà preso il color nocciola versate il brodo o l’acqua a poco per volta girando il mestolo e, senza farla troppo bollire, aggiungete il resto del burro e l’aceto. Tolta dal fuoco, scioglieteci il rosso d’uovo e servitela. La sua consistenza dev’essere eguale a quella della crema fatta senza farina. Per un mazzo comune di sparagi possono bastare grammi 70 di burro colla farina e l’aceto in proporzione.
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Pagnottelle n. 239
Nelle grandi città un bravo cuoco è, a male agguagliare, come un generale d’armata in un vasto campo ben trincerato con numerose ed agguerrite legioni ove può far valere tutte le sue prodezze. Le grandi città oltre all’esser sempre ben provvedute d’ogni grazia di Dio, hanno chi pensa a fornirvi anche le più piccole cose, le quali, benché di poca importanza, contribuiscono alla varietà, all’eleganza e alla precisione de’ vostri lavori. Così, come vi si trovano bastoncini di pane che, tagliati a fette, s’infilano nello spiedo cogli uccelli, vi si fabbricano pagnottelle della grandezza di una mela comune per farle ripiene.
Raspatene leggermente la corteccia colla grattugia e fate in mezzo ad ognuna un tassello rotondo della dimensione di una moneta da 10 centesimi. Vuotatele del midollo lasciando le pareti all’intorno alquanto grossette. Bagnatele dentro e fuori con latte bollente e quando saranno discretamente inzuppate chiudetele col loro tassello, inzuppato anch’esso, immergetele nell’uovo per dorarle e friggetele nel lardo o nell’olio, ma buttatele in padella dalla parte del coperchio perché vi resti aderente. Distaccate dopo, colla punta di un temperino, il tassello, riempitele di un battuto di carne delicato e ben caldo, richiudetele e mandatele in tavola. Se le fate accuratamente possono benissimo figurare in qualunque pranzo.
Il battuto di carne, a pezzetti grossi quanto i ceci, sarà bene farlo con fegatini, petti di pollo, animelle e cose simili tirate col sugo di carne e legate con una presa di farina; ma ciò che sarebbe indispensabile, per rendere il composto più grato, sono i tartufi.
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Sformato di carciofi n. 391
Questo è uno sformato da farsi quando i carciofi costano poco e ve lo do per uno de’ più delicati.
Levate ai carciofi le foglie più dure, spuntateli e sbucciatene i gambi, lasciandoli tutti, anche se sono lunghi. Tagliateli in quattro spicchi e fateli bollire nell’acqua salata per soli cinque minuti. Se li lasciate di più sopra al fuoco, oltre ad inzupparsi troppo di acqua, perdono molto del loro aroma. Levateli asciutti, pestateli nel mortaio e passateli per istaccio. Dosate la polpa così ottenuta con tutti quegli ingredienti soliti negli altri sformati di erbaggio, e cioè: uova, non facendo avarizia d’uno di più, onde restringa, due o tre cucchiaiate di besciamella ove non iscarseggi il burro; parmigiano, sale e odore di noce moscata, ma assaggiate il composto più volte per ridurlo a giusto sapore.
Se avete sugo di carne o di stracotto non è male l’unirci un poco anche di questo e, se i carciofi sono teneri, anziché passarli potete lasciarli a piccoli spicchi.
Cuocetelo a bagno-maria in uno stampo bucato, se avete un intingolo di carne per riempirlo; se no, mettetelo in uno stampo liscio e servitelo per tramesso.
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Panettone Marietta n. 604
La Marietta è una brava cuoca e tanto buona ed onesta da meritare che io intitoli questo dolce col nome suo, avendolo imparato da lei.
Farina finissima, grammi 300.
Burro, grammi 100.
Zucchero, grammi 80.
Uva sultanina, grammi 80.
Uova, uno intero e due rossi.
Sale, una presa.
Cremor di tartaro, grammi 10.
Bicarbonato di soda, un cucchiaino, ossia grammi 5 scarsi.
Candito a pezzettini, grammi 20.
Odore di scorza di limone.
Latte, decilitri 2 circa.
D’inverno rammorbidite il burro a bagno-maria e lavoratelo colle uova; aggiungete la farina e il latte a poco per volta, poi il resto meno l’uva e le polveri che serberete per ultimo; ma, prima di versar queste, lavorate il composto per mezz’ora almeno e riducetelo col latte a giusta consistenza, cioè, né troppo liquido, né troppo sodo. Versatelo in uno stampo liscio più alto che largo e di doppia tenuta onde nel gonfiare non trabocchi e possa prendere la forma di un pane rotondo. Ungetene le pareti col burro, spolverizzatelo con zucchero a velo misto a farina e cuocetelo in forno. Se vi vien bene vedrete che cresce molto formando in cima un rigonfio screpolato. È un dolce che merita di essere raccomandato perché migliore assai del panettone di Milano che si trova in commercio, e richiede poco impazzamento.
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Latte brûlé n. 692
Latte, un litro.
Zucchero, grammi 180.
Rossi d’uovo, n. 8 e due chiare.
Mettete al fuoco il latte con 100 grammi del detto zucchero e fatelo bollire per un’ora intera, poi ritiratelo dal fuoco perché diacci. Sciogliete in una casseruola a parte gli 80 grammi di zucchero che resta e quando sarà ben liquefatto versatene in uno stampo liscio tanto che ne ricuopra il fondo come di un velo; quello che rimane nella casseruola continuate a tenerlo al fuoco finché sia diventato nero. Allora fermatelo con un ramaiolino d’acqua e lo sentirete stridere aggrumandosi; ma continuate a tenerlo al fuoco girando il mestolo per ottenere un liquido denso e scuro. Mettetelo da parte e frullate in un pentolo le dette uova, poi mescolate ogni cosa insieme, cioè: il latte, le uova e lo zucchero bruciato. Assaggiatelo se è dolce a sufficienza, passatelo da un colatoio di latta non tanto fitto e versatelo nello stampo già preparato. Cuocetelo a bagno-maria con fuoco sopra e quando la superficie comincia a colorarsi ponete sotto al coperchio un foglio unto col burro. Per accertarsi della cottura, immergete uno steccolino di granata e se questo esce pulito ed asciutto sarà segno che va tolto dal fuoco. Lasciatelo diacciar bene e prima di versarlo nel vassoio, con tovagliolo o senza, distaccatelo giro giro con un coltello sottile. In estate, prima di sformarlo, potete gelarlo col ghiaccio. Lo stampo da preferirsi è di forma ovale e sarebbe bene che avesse un orlo all’ingiro largo un dito, onde non vi schizzasse l’acqua dentro quando bolle,
Questa dose potrà bastare per dieci persone
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Cialdoni n. 621
Ponete in un pentolo:
Farina, grammi 80.
Zucchero biondo, grammi 30.
Lardo vergine e appena tiepido, grammi 20.
Acqua diaccia, sette cucchiaiate.
Sciogliete prima, coll’acqua, la farina e lo zucchero, poi aggiungete il lardo.
Ponete sopra un fornello ardente il ferro da cialde e quando è ben caldo apritelo e versatevi sopra ogni volta mezza cucchiaiata della detta pastella; stringete le due parti del ferro insieme, passatelo sul fuoco da una parte e dall’altra, levate le sbavature con un coltello ed apritelo quando conoscerete che la cialda ha preso il color nocciola. Allora distaccatela alquanto da una parte col coltello e subito così calda sopra il ferro medesimo o sopra a un canovaccio disteso sul focolare arrotolatela con un bocciolo di canna o semplicemente colle mani. Quest’ultima operazione bisogna farla molto svelti perché se la cialda si diaccia non potrete più avvolgerla su sé stessa. Se le cialde restassero attaccate al ferro ungetelo a quando a quando col lardo, e se non venissero tutte unite, aggiungete un po’ di farina.
Sapete già che i cialdoni si possono servir soli; ma è meglio accompagnarli con la panna o con la crema montata ed anche col latte brûlé o col latte alla portoghese.
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Pasta Maddalena n. 608
Zucchero, grammi 130.
Farina fine, grammi 80.
Burro, grammi 30.
Rossi d’uovo, n. 4.
Chiare, n. 3.
Una presa di bicarbonato di soda.
Odore di scorza di limone.
Lavorate prima i rossi d’uovo collo zucchero, e quando saranno diventati biancastri, aggiungete la farina e lavorate ancora per più di un quarto d’ora. Unite al composto il burro liquefatto se è d’inverno, e per ultimo le chiare montate.
La farina asciugatela al fuoco, o al sole, se d’estate.
A questa pasta potete dare forme diverse, ma tenetela sempre sottile e di poco volume. Si usa metterla in degli stampini lavorati, unti col burro e infarinati, oppure in teglia alla grossezza di un dito scarso, tagliandola dopo in forma di mandorle che spolverizzerete di zucchero a velo. Potete anche farla della grossezza di mezzo dito e appiccicare insieme le mandorle a due per due con conserve di frutta.
ARTUSI: Aprile – Nota pranzo
Artusi: Giugno - Nota pranzo I

ARTUSI: Aprile – Nota di pranzo II

 
“Poichè spesso avviene che dovendo dare un pranzo ci si trovi imbarazzati sulla elezione delle vivande, ho creduto bene di descrivervi in quest’appendice tante distinte di pranzi che corrispondano a due per ogni mese dell’anno, ed altre dieci da potersi imbandire nelle principali solennità, tralasciando in queste il dessert poichè, meglio che io non farei, ve lo suggerisce la stagione con le sue tante varietà di frutta. Così, se non potrete stare con esse alla lettera, vi gioveranno almeno come una scorta per rendervi più facile il compito della scelta”

APRILE
Nota di pranzo II

Minestra in brodo.
Panata n. 11
Fritto. Krapfen n. 182
Umido. Pollo ripieno n. 258 con piselli
Trasmesso. Gnocchi alla romana n. 231
Arrosto. Agnello pasquale con insalata e uova sode
Dolci. Dolce alla napoletana n. 586 – Gelato di cioccolata n. 761,
Frutta e formaggio. Frutta fresca di stagione e Stiacciata alla Livornese n.598

 Panata n. 11
Questa minestra, con cui si solennizza in Romagna la Pasqua d’uovo, è colà chiamata tridura, parola della quale si è perduto in Toscana il significato, ma che era in uso al principio del secolo XIV, come apparisce da un’antica pergamena in cui si accenna a una funzione di riconoscimento di patronato, che consisteva nell’inviare ogni anno alla casa de’ frati di Settimo posta in Cafaggiolo (Firenze) un catino nuovo di legno pieno di tridura e sopra al medesimo alcune verghe di legno per sostenere dieci libbre di carne di porco guarnita d’alloro. Tutto s’invecchia e si trasforma nel mondo, anche le lingue e le parole; non però gli elementi di cui le cose si compongono, i quali, per questa minestra sono:
Pane del giorno avanti, grattato, non pestato, gr. 130.
Uova, n. 4.
Cacio parmigiano, grammi 50.
Odore di noce moscata.
Sale, un pizzico.
Prendete una casseruola larga e formate in essa un composto non tanto sodo con gl’ingredienti suddetti, aggiungendo del pangrattato se occorre. Stemperatelo con brodo caldo, ma non bollente, e lasciatene addietro alquanto per aggiungerlo dopo.
Cuocetelo con brace all’ingiro, poco o punto fuoco sotto e con un mestolo, mentre entra in bollore, cercate di radunarlo nel mezzo scostandolo dalle pareti del vaso senza scomporlo. Quando lo vedrete assodato, versatelo nella zuppiera e servitelo.
Questa dose può bastare per sei persone.
Se la panata è venuta bene la vedrete tutta in grappoli col suo brodo chiaro all’intorno. Piacendovi mista con erbe o con piselli cuocerete queste cose a parte, e le mescolerete nel composto prima di scioglierlo col brodo.

Krapfen n. 182
Proviamoci di descrivere il piatto che porta questo nome di tedescheria ed andiamo pure in cerca del buono e del bello in qualunque luogo si trovino; ma per decoro di noi stessi e della patria nostra non imitiamo mai ciecamente le altre nazioni per solo spirito di stranieromania.
Farina d’Ungheria, grammi 150.
Burro, grammi 40.
Lievito di birra, quanto una grossa noce.
Uova, uno intero e un rosso.
Zucchero, un cucchiaino.
Sale, una buona presa.
Prendete un pugno della detta farina, ponetela sulla spianatoia e, fattale una buca in mezzo, stemperateci dentro il lievito di birra con latte tiepido e formatene un pane di giusta sodezza, sul quale inciderete un taglio in croce per poi conoscer meglio se ha rigonfiato. Ponete questo pane in un tegamino o in una cazzarolina nel cui fondo sia un sottilissimo strato di latte, copritela e lasciatela vicino al fuoco onde il pane lieviti a moderatissimo calore: vedrete che basterà una ventina di minuti. Lievitato che sia mettetelo in mezzo alla farina rimasta ed intridetela colle uova, col burro liquefatto, collo zucchero e col sale. Se questo pastone riesce troppo morbido, aggiungete tanta farina da ridurlo in modo che si possa distendere col matterello alla grossezza di mezzo dito. Così avrete una stiacciata dalla quale con un cerchio di latta taglierete tanti dischi della grandezza di quello soprassegnato [figura05].
Ammesso che ne facciate 24, prendete un uovo o altro arnese di forma consimile e colla punta del medesimo pigiate nel mezzo di ognuno dei dischi per imprimergli una buca [figura06]. In 12 di detti dischi ponete un cucchiaino di un battutino tirato col sugo e la besciamella, composto di fegatini, animelle, prosciutto, lingua salata, odore di tartufi o di funghi, il tutto tagliato a piccoli dadi.
Bagnate i dischi all’intorno con un dito intinto nell’acqua e sopra ciascuno sovrapponete un altro disco dei 12 rimasti vuoti; quando saranno tutti coperti premete sopra ai medesimi un altro cerchio di latta di dimensione eguale a quello qui delineato, onde si formi un’incisione tutto all’ingiro.
Ora che avete questi 12 pasticcini ripieni bisogna lievitarli, ma a lieve calore, e ciò otterrete facilmente ponendoli vicino al fuoco, o dentro a una stufa. Quando saranno rigonfiati bene friggeteli nel lardo o nell’olio in modo che siano ricoperti dall’unto e serviteli caldi come fritto o piatto di tramesso, il quale, per la sua apparenza e bontà sarà giudicato piatto di cucina fine.
Se volete che servano per dolce non avrete altro a fare che riempirli di una crema alquanto soda o di conserva di frutta, spolverizzandoli, dopo cotti, di zucchero a velo.

Pollo ripieno n. 258
Per disossare un pollo il modo più semplice è il seguente:
Tagliategli il collo a metà, la punta delle ali e le zampe alla giuntura della coscia; poi, senza vuotarlo, apritelo lungo il dorso superficialmente, dalle ali al codrione, e con un coltellino ben tagliente cominciate a levar dall’interno le ossa delle ali scarnendole bene. Dopo, sempre dall’interno, levate quelle delle anche e delle cosce, quindi, radendo via via col coltello le ossa esterne della carcassa, vi riescirà di levarla tutta intera, comprese le interiora. I piccoli ossicini della stizza lasciateli, oppure levatela tutta e levate la forcella del petto.
Fatto questo, rovesciate le cosce e le ali, già spoglie d’ossa, ritirandole all’interno e portate via tutti i tendini che trovate framezzo alla carne.
Ora che il pollo è disossato, se fosse alquanto grosso, formate il composto per riempirlo, con grammi 300 circa di magro di vitella di latte; se piccolo, regolatevi in proporzione. Tritatelo prima, poi pestatelo nel mortaio per ridurlo ben fine, e a questa carne aggiungete una grossa midolla di pane inzuppata nel brodo, un pugno di parmigiano grattato, tre rossi d’uovo, sale, pepe e, se vi piace, odore di noce moscata. Per ultimo mescolate nel composto, grammi 20 di prosciutto grasso e magro, e grammi 20 di lingua salata, tagliati l’uno e l’altra a piccoli dadi; riempito che abbiate il pollo cucitelo, involtatelo stretto in un pannolino e legatelo. Mettetelo a cuocere nell’acqua per un paio d’ore a fuoco lento, poi toglietegli l’involucro e fatelo prender colore prima col burro poi in un sugo tirato nella seguente maniera:
Spezzate tutte le ossa levate dal pollo, il collo e la testa compresi, e con carnesecca a pezzetti, burro, cipolla, sedano e carota mettetele al fuoco in una casseruola, condite con sale e pepe, tiratene il sugo con l’acqua in cui ha bollito il pollo, la quale è già divenuta un buon brodo. Prima di mandarlo in tavola, da solo o con un contorno, levategli il filo con cui fu cucito.

Gnocchi alla romana n. 231
Questi gnocchi, che io ho modificato e dosati nella seguente maniera, spero vi piaceranno come sono piaciuti a quelli cui li ho imbanditi. Se ciò avviene fate un brindisi alla mia salute se sarò vivo, o mandatemi un requiescat se sarò andato a rincalzare i cavoli.
Farina, grammi 150.
Burro, grammi 50.
Cacio gruviera, grammi 40.
Parmigiano, grammi 20.
Latte, mezzo litro.
Uova, n. 2.
Si dice che a tavola non si dovrebbe essere in meno del numero delle Grazie, né in più del numero delle Muse. Se vi aggirate intorno al numero delle Muse, raddoppiate la dose.
Intridete la farina colle uova e col latte versato a poco per volta entro una casseruola, aggiungete il cacio gruviera a pezzettini e mettete l’intriso al fuoco mescolando continuamente. Quando sarà assodato per la cottura della farina, salatelo e aggiungete la metà del detto burro. Lasciate che il composto diacci e poi, nella stessa guisa degli gnocchi di farina gialla, mettetelo a tocchetti in un vassoio che regga al fuoco e conditeli via via col resto del burro a pezzetti e col parmigiano suddetto grattato; ma non alla superficie, perché il parmigiano col fuoco sopra prende l’amaro. Rosolateli sotto a un coperchio di ferro o nel forno da campagna e serviteli caldi.

Dolce alla napoletana n. 586
Questo è un dolce di bell’apparenza e molto gentile.
Zucchero, grammi 120.
Farina d’Ungheria, grammi 120.
Mandorle dolci, grammi 100.
Uova, n. 4.
Le mandorle sbucciatele, asciugatele al sole o al fuoco e, scegliendone un terzo delle più grosse, dividete queste in due parti nei due lobi naturali; le altre tagliatele in filetti sottili. Montate le uova e lo zucchero in una bacinella di rame o di ottone, sul fuoco, alla temperatura di 20 gradi, battendole con la frusta più di un quarto d’ora. Ritirato il composto dal fuoco uniteci la farina mescolando leggermente e versatelo in uno stampo liscio, tondo od ovale poco importa, che avrete prima imburrato e spolverizzato con un cucchiaino di zucchero a velo ed uno di farina uniti insieme; ma sarebbe bene che lo stampo fosse di grandezza tale che il dolce, quando è cotto, riuscisse alto quattro dita circa. Cuocetelo al forno o al forno da campagna a moderato calore e dopo corto e ben diaccio tagliatelo all’ingiro a fette sottili un centimetro. Fate una crema con:
Rossi d’uovo, n. 2.
Latte, decilitri 3.
Zucchero, grammi 60.
Farina, grammi 15.
Burro, grammi 10.
Odore di vainiglia,
e con questa a bollore spalmate da una sola parte le fette del dolce e ricomponetelo, cioè collocatele insieme una sopra l’altra.
Verrà meglio la crema se metterete al fuoco prima il burro con la farina per cuocerla senza farle prender colore; poi, resa tiepida, vi aggiungerete i rossi, il latte e lo zucchero rimettendola al fuoco.
Ora bisogna intonacare tutta la parte esterna del dolce con una glassa, ossia crosta, e a questo effetto mettete a bollire in una piccola casseruola grammi 230 di zucchero in un decilitro di acqua fino al punto che, preso il liquido fra le dita, appiccichi un poco, ma senza filo, ed avrete un altro indizio della sua giusta cottura quando avrà cessato di fumare e produrrà larghe gallozzole. Allora ritiratelo dal fuoco e quando comincia a diacciare spremetegli un quarto di limone e lavoratelo molto col mestolo per ridurlo bianco come la neve; ma se v’indurisse fra mano versateci un poco d’acqua per ridurlo scorrevole come una crema alquanto densa. Preparata così la glassa, buttateci dentro le mandorle a filetti, mescolate e intonacate il dolce, e colle altre divise in due parti rifioritelo al disopra infilandole ritte.
Invece della crema potete usare una conserva di frutta, ma con la crema riesce un dolce squisito e perciò vi consiglio a provarlo.

Gelato di cioccolata n. 761
Latte, un litro.
Cioccolata fine, grammi 200.
Zucchero, grammi 100.
Grattate la cioccolata e mettetela al fuoco collo zucchero e con quattro decilitri del detto latte in una casseruola ove stia ristretta. Fatela bollire per qualche minuto, frullandola sempre onde si affini. Ritiratela dal fuoco, aggiungete il resto del latte e versate il composto nella sorbettiera quando sarà ghiaccio.
Anche questa dose potrà bastare per dieci persone. Se volete questo gelato più sostanzioso portate la dose dello zucchero a 120 grammi ed uniteci due rossi d’uovo quando ritirate la cioccolata dal fuoco e non è più a bollore. Mescolate, e rimettetela sul fornello per qualche minuto e poi, come si è detto, aggiungete il resto del latte.
 
Stiacciata alla Livornese n.598
Le stiacciate alla livornese usansi per Pasqua d’uovo forse perché il tepore della stagione viene in aiuto a farle lievitar bene e le uova in quel tempo abbondano. Richiedono una lavorazione lunga, forse di quattro giorni, perché vanno rimaneggiate parecchie volte. Eccovi la nota degl’ingredienti necessari per farne tre di media grandezza, o quattro più piccole:
Uova, n. 12.
Farina finissima, chilogrammi 1,800.
Zucchero, grammi 600.
Olio sopraffine, grammi 200.
Burro, grammi 70.
Lievito di birra, grammi 30.
Anaci, grammi 20.
Vin santo, decilitri 11/2.
Marsala, 1/2 decilitro.
Acqua di fior d’aranci, decilitri l.
Mescolate le due qualità di vino e in un po’ di questo liquido ponete in fusione gli anaci dopo averli ben lavati. A tarda sera potrete fare questa.
1a Operazione. Intridete il lievito di birra con mezzo bicchiere di acqua tiepida, facendogli prender la farina che occorre per formare un pane di giusta consistenza, che collocherete sopra il monte della farina, entro a una catinella, coprendolo con uno strato della medesima farina. Tenete la catinella riparata dall’aria e in cucina, se non avete luogo più tiepido nella vostra casa.
2a Operazione. La mattina, quando il detto pane sarà ben lievitato, ponetelo sulla spianatoia, allargatelo e rimpastatelo con un uovo, una cucchiaiata d’olio, una di zucchero, una di vino e tanta farina da formare un’altra volta un pane più grosso, mescolando ogni cosa per bene senza troppo lavorarlo.
Ricollocatelo sopra la farina e copritelo come l’antecedente.
3a Operazione. Dopo sei o sette ore, che tante occorreranno onde il pane torni a lievitare, aggiungete tre uova, tre cucchiaiate d’olio, tre di zucchero, tre di vino, e farina bastante per formare il solito pane e lasciatelo lievitar di nuovo, regolandovi sempre nello stesso modo. Per conoscere il punto della fermentazione calcolate che il pane deve aumentare circa tre volte di volume.
4a Operazione. Cinque uova, cinque cucchiaiate di zucchero, cinque d’olio, cinque di vino e la farina necessaria.
5a ed ultima operazione. Le tre rimanenti uova e tutto il resto, sciogliendo il burro al fuoco, si mescoli ben bene per rendere la pasta omogenea. Se il pastone vi riuscisse alquanto morbido, il che non è probabile, aggiungete altra farina per renderlo di giusta consistenza.
Dividetelo in tre o quattro parti formandone delle palle e ponete ognuna di esse in una teglia sopra un foglio di carta che ne superi l’orlo, unta col burro, ove stia ben larga; e siccome via via che si aumenta la dose degli ingredienti, la fermentazione è più tardiva, l’ultima volta, se volete sollecitarla, ponete le stiacciate a lievitare in caldana e quando saranno ben gonfie e tremolanti spalmatele con un pennello prima intinto nell’acqua di fior di arancio, poi nel rosso d’uovo. Cuocetele in forno a temperatura moderatissima, avvertendo che quest’ultima parte è la più importante e difficile perché, essendo grosse di volume, c’è il caso che il forte calore le arrivi subito alla superficie, e nell’interno restino mollicone. Con questa ricetta, eseguita con accuratezza, le stiacciate alla livornese fatte in casa, se non avranno tutta la leggerezza di quelle del Burchi di Pisa, saranno in compenso più saporite e di ottimo gusto.

ARTUSI: Aprile – Nota pranzo II