Grandi banchetti: Servire a tavola nel Rinascimento

Il banchetto rinascimentale e barocco era una complessa macchina conviviale e teatrale, oltre che gastronomica. Dietro le quinte, per così dire, si svolgeva il lavoro di preparazione e presentazione delle numerose portate, che implicava il concorso di specifiche professionalità. Per descrivere la “squadra”, anzi il piccolo esercito necessario per la messa in opera di cotanto evento ci serviremo di un celebre dipinto, le Nozze di Cana, dipinto da Paolo Veronese tra il 1562 e il 1563, esposto a Parigi nel museo del Louvre. In esso sono raffigurati infatti tutti personaggi che concorrevano alla realizzazione di un banchetto principesco come quello in cui il Veronese ambienta l’episodio evangelico.

I cibi venivano serviti simultaneamente e spettava a ciascun convitato sceglierli e ordinarli secondo il proprio gusto. La cucina contemporanea tende a rispettare i sapori naturali e a riservare a ciascuno di essi uno spazio distinto, nei singoli piatti come nell’ordine del menù. La cucina medievale preferiva mescolare i sapori ed esaltava l’idea dell’artificio, che modifica la natura. Sia la preparazione delle singole vivande, sia la loro dislocazione all’interno del pasto .

In cucina: lo scalco, lo speditore, il dispensiere o credenziere. Il primo determina le derrate da acquistare e ne incarica lo speditore, che a sua volta si serve del dispensiere il quale rifornisce la dispensa e istruisce i cuochi.

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 lo scalco, lo speditore, il dispensiere o credenziere

Il credenziere, oltre a provvedere al rifornimento delle derrate, deve pensare all’allestimento della credenza, dove vengono predisposte le stoviglie, cambiate a ogni servizio, e accomodati i cibi da portare in tavola, talchè la credenza diviene spesso uno spettacolo nello spettacolo per la ricchezza e la raffinatezza dei suoi arredi.

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Il servizio: il trinciante da tinello – da non confondere con il trinciante, di rango superiore – provvede alla preparazione delle carni, tagliandole abilmente prima che vengano messe al fuoco. Il trinciante è un artista sui generis: non solo fa le porzioni e le offre ai commensali, ma fa in modo che ogni boccone, ogni vivanda, ogni piatto sia un piccolo capolavoro di grazia, di inventiva e di buon gusto, perché a godere non sia soltanto il palato.

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Il compito dello scalco o maestro di cucina, in particolare, è assai delicato: dovrà predisporre la lista delle vivande e la loro successione, tenendo conto dell’offerta stagionale, scegliere gli arredi della tavola e delle credenze, finissimi e preziosi, assecondando i gusti della committenza, predisporre le “sorprese” che dovranno allietare i banchettanti e gli intrattenimenti che consentiranno ai commensali di fare qualche salutare pausa nel succedersi delle vivande.
Lo scalco non va confuso né con il capocuoco, come molti credono, né con il trinciante, cioè con colui che disossava e affettava le carni cucinate. In età rinascimentale e barocca lo scalco era, più propriamente, il soprintendente alle cucine principesche e aristocratiche: spettava a lui selezionare e dirigere i cuochi e la servitù, provvedere alla mensa quotidiana del suo signore, con cui teneva personalmente i rapporti, rifornirne la dispensa, organizzare i banchetti nei minimi dettagli e organizzare per conto suo i famosi simposi.
Non era quindi un semplice servitore, anche se di rango elevato, ma un cortigiano: un gentiluomo per nascita o, più raramente, per meriti culinari. Perciò, a differenza dei cuochi, a cui era vietato, poteva vestire in modo ricercato, e portare barba, baffi e parrucca.

I più noti rappresentanti della categoria degli scalchi furono:
  • Bartolomeo Sacchi (1421 – 1481), detto “il Platina”, al servizio dei Gonzaga, del papa Sisto IV e autore del De honesta voluptate et valetudine;
  • Cristoforo di Messisbugo (? – 1548), alla corte Estense a Ferrara;
  • Giovan Battista Rossetti (?-?), alla corte Estense a Ferrara, autore del trattato “Lo scalco”, pubblicato nel 1584;
  • Antonio Latini di Castello di Collamato di Fabriano, alla corte del Re di Napoli;
  • Maestro Martino da Como, al servizio esclusivo del cardinale Trevisan (Diocesi di Vittorio Veneto);
  • Bartolomeo Scappi, alla corte papalina di Pio V, che introdusse l’impanatura prima della frittura;
  • François Vatel (1631-1671), maestro di cerimonia del Principe di Condé. Si suicidò per il ritardo della consegna del pesce che metteva in pericolo la cena nel Castello di Chantilly, alla quale assisteva Luigi XIV;
  • Marie-Antoine Carême (1784 – 1833), genio dei fornelli per il Direttorio e specialista in salse della cucina francese;
  • Carlo Antonio Corradi (1620 – 1676), da Cagli, maestro di cerimonia del cardinale Cesare Rasponi.
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A mescere il vino e l’acqua provvede il bottigliere subordinato al coppiere, predisponendo le coppe che saranno recate in tavola dei valletti. Ecco nelle Nozze del Veronese il bottiglierie che riempie una caraffa versando il vino da un’anfora.

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Il coppiere ha un’enorme responsabilità, cui deve far fronte con palato sensibilissimo, naso fino e occhio attento: scegliere i vini che allieteranno il banchetto, assaggiarli, abbinarli alle varie portate, ordinare ai valletti, giunto il momento, di servirli. Inoltre deve provvedere agli acquamanili in cui i banchettanti si rinfrescheranno le mani.

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Le coppe con acqua e vino sono recate ai commensali dai valletti: questi devono svolgere il loro compito con precisione, agli ordini del coppiere, e con grazia.

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Il banchetto è anche spettacolo: ad allietare i commensali, tra un servizio e l’altro, mentre gli inservienti cambiano tovaglie, arredi e stoviglie, i musici intonano pezzi appositamente creati. La tradizione vuole che il Veronese, nel gruppo dei musici delle Nozze di Cana, abbia raffigurato se stesso alla viola da gamba e i colleghi pittori Tiziano al violone, Tintoretto al violino e Jacopo Bassano al cornetto.

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Ad allietare i banchettanti non mancano lazzi e frizzi del buffone e del nano.

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In cucina, tra vampe e vapori, vi erano anche donne incaricate di svolgere i compiti più umili, come spennare e sventrare i volatili o a lardellare gli arrosti. A illustrarne la condizione abbiamo scelto un dipinto di Pieter Aertsen, La cuoca (1550), conservato in Palazzo Bianco a Genova.

Fonte: A tavola con la regina – C. Nobbio
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Grandi banchetti: Servire a tavola nel Rinascimento

   
Servire a tavola nel Rinascimento
Grandi banchetti: Servire a tavola nel Rinascimentoultima modifica: 2013-07-18T00:06:28+02:00da patiba0
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