sartù di riso

Sartù (o Sortù) di riso: le ricette del Corrado 1793 e del Cavalcanti 1837

Nella cucina napoletana il riso è raro ma non sconosciuto. Con il riso si prepara un piatto addirittura storico. Con il riso si fa il Sartù, che è un timballo elaboratissimo, dalla forma cilindrica.

Il sartù è uno dei piatti più ricchi della cucina napoletana. Oggi il nome si applica solo alla preparazione a base di riso, mentre nel Settecento indicava genericamente i vari timballi. Fino a Cavalcanti queste preparazioni erano chiamate sortù e la parola originaria era probabilmente il francese surtout (soprattutto). In Francia non esiste un equivalente gastronomico, ma del resto la parola surtout indica anche un indumento che si indossa sopra tutti gli altri, come pure lo stampo esterno usato per la fusione delle campane.t
Ecco dunque spiegato il significato del sartù: riso o maccheroni stanno sopra tutto il resto, ossia contengono il ripieno.

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Sortù di riso, ricette di Vincenzo Corrado, Il Cuoco galante, Napoli 1793, Cap. II

Sartù di riso all’Animelle

«Cotto il Riso con brodo, e poi freddato, si legherà con parmegiano grattugiato, gialli di uova, e qualche chiara, e se ne formerà una pasta, la quale tirata come una grossa sfoglia, entro una casseruola unta di strutto, e polverata di pan grattato, per ripieno di essa vi si metterà un ragù di animelle, condito con tartufi, prugnoli, ed erbe aromatiche; si coprirà con la sudetta pasta di Riso, e si farà cuocere al forno. Cotto si servirà caldo il Sortù.»

Seguono altre 10 ricette che potete leggere qui sotto nell’immagine.↓

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 Sartù di riso, ricette di Ippolito Cavalcanti, Cucina teorico-pratica, Napoli 1837, Cap. V.

«Prendi un rotolo e mezzo di riso, ma che sia di quello forte, lo lesserai nel brodo chiaro, ed in mancanza anche nell’acqua, sia pure per economia, perchè vale lo stesso. Quando il riso sarà cotto, ma non scotto, ci porrai un terzo, ossia once undici di permeggiano o caciocavallo, ed un pane di butiro (purchè non l’avrai cotto nel brodo), ci farai un battuto di dodici ovi, e mescolerai tutto ben bene: indi farai raffreddare questa composizione, e poscia prenderai la casseruola proporzionata per formare il sartù, facendoci una inverniciata di strutto con una uguale impellicciata di pan gratto, poscia ci porrai la metà del riso già intiepidito, e con una mescola leggermente lo adatterai facendoci un concavo nel mezzo, ove porrai il solito raguncino che più volte ti ho detto per i timpani: Al di sopra ci porrai l’altra metà del riso, e con le mani l’accomoderai in modo che vada tutto bene incassato, facendoci al di sopra una ingranita di pan gratto con de’ pezzettini di strutto. Gli darai la cottura come al timpano con la pasta, versandoci uno o due coppini di sugo.

Sartù cavalcanti

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Il “sublime” Sartù (o Sortù) di riso

La ricetta edita nel 1839 delle Zeppole fritte, scritta da Ippolito Cavalcanti