castagne Cucurucho_de_castanhas_Galicia

Le castagne in cucina, nell’arte e nella cultura

Chestnuts for the Catalan festival of Castanyada

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La forma dei frutti dipende, oltre che dalla varietà delle castagne, anche dal numero e dalla posizione che essi occupano all’interno del riccio: emisferica per i frutti laterali e schiacciata per quello centrale; i frutti vuoti, abortiti, di forma appiattita sono detti guscioni.La castagna è il frutto del castagno a differenza della castagna dell’ippocastano che invece è un seme. Le castagne derivano infatti dai fiori femminili (solitamente 2 o 3) racchiusi da una cupola che poi si trasforma in riccio. La castagna è un achenio, ha pericarpo liscio e coriaceo bruno scuro, all’apice è presente la cosiddetta torcia cioè i resti degli stili mentre alla base è presente una cicatrice più chiara denominata ilo.
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Castagna e Marrone
I termini castagna e Marrone vengono spesso confusi, ma rimandano a due specie ben differenti di achenii. La differenza base è che nella castagna la percentuale di frutti settati è maggiore del 12%, mentre nei Marroni è minore del 12%. Spesso questa definizione non accontenta i castanicoltori e i commercianti che differenziano le due specie tramite differenze varietali. In Italia con Marroni si intendono particolari cultivar di ottima qualità, con frutti adatti alla canditura, che presentano una superficie ilare di forma quasi rettangolare, una buccia chiara, brillante, con striature avvicinate spesso al rilievo e con una polpa senza cavità e facilmente separabile dall’episperma, che non si introduce all’interno del cotiledone (frutti non settati); inoltre, le piante di questi frutti sono più esigenti e meno produttive rispetto ai castagni ordinari, ed i ricci presentano solitamente 1 o 2 semi, mai settati e dal sapore dolce.

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Ricette

Busecchina lombarda con castagne secche

Crespelle con castagne e radicchio rosso trevigiano su fonduta di MontasioCuciarul romagnoli con castagne secchePasta corta al sugo di porcini e castagne

 

 

 

 

Secondi

Stufato al vino bianco in salsa di prugne ed albicoccheSella di capriolo alla cremaTacchino ripieno di castagne e prugneTacchino ripieno arrosto Petronilla

 
 
 
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Bodino di castagne alla maniera di PetronillaCastagne al rumCastagne ricoperte di cioccolatoDolcetti di castagne -Truffles_with_nuts_and_chocolate_dusting_on_plate

 

 

 

 

 Il castagno nell’arte e nella cultura
Letteratura italiana
Come dettaglio ricorrente nel paesaggio rurale e strettamente correlato alla civiltà contadina, il castagno è frequentemente citato nella letteratura, in genere come elemento di sfondo del contesto specifico o, talvolta, come oggetto specifico dell’opera. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi tratti dalla letteratura italiana.
Il Boccaccio (1313-1375) cita il castagno nel Decameron come elemento del paesaggio rurale affiancandolo all’olivo e al nocciolo.
« Ivi forse una balestra rimosso dall’altre abitazioni della terra, tra ulivi e nocciuoli e castagni, de’ quali la contrada è abondevole, comperò una possessione »
(Giovanni Boccaccio, Decameron.)
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In Proserpina, quinto idillio dell’opera La sampogna, Giovan Battista Marino (1569-1625) descrive Vertunno, dio dei giardini e della frutta nella mitologia romana, con due ricci di castagno al posto delle tempie:
« Ne l’una e l’altra tempia
tien duo non anco aperti
di pungente castagno ispidi ricci »
(Giovan Battista Marino, La sampogna. Proserpina Idillio 5)
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Nel 1771, Giuseppe Parini (1729-1799), su incarico della Casa d’Asburgo, descrisse i festeggiamenti in onore delle nozze fra Ferdinando d’Asburgo-Este e Maria Beatrice d’Este in Descrizione delle feste celebrate in Milano per le nozze delle LL. AA. RR l’Arciduca Ferdinando d’Austria e l’Arciduchessa Maria Beatrice d’Este fatta per ordine della Real Corte l’anno delle medesime nozze. In un passo di quest’opera descrive uno dei carri allegorici del corteo, che rappresentava un castagno, sotto la cui chioma pascolava un gregge di pecore.
«Il primo di questi, che nella sua perfetta semplicità venne giudicato bellissimo, era un carro rappresentante un piccolo spazio di terreno, sopra di cui elevavasi un alto castagno. All’ombra di questo forse dodici pecore stavano pascendo l’erbe; e un biondo e rubicondo pastore, appoggiandosi al tronco … »
(Giuseppe Parini, Descrizione delle feste …)
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Ippolito Nievo (1831-1861), nel secondo capitolo del romanzo Le confessioni d’un italiano, ricorre alla metafora del pollone emesso dalla vecchia ceppaia di castagno, per descrivere il rapporto che legava la giovane Clara, fin dalla sua infanzia, alla nonna inferma.
« Sembrava fin d’allora il rampollo giovinetto di castagno che sorge dal vecchio ceppo rigoglioso di vita. »
(Ippolito Nievo, Le confessioni d’un italiano)
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Nell’ode Piemonte, Giosuè Carducci (1835-1907) cita il castagno nel riferimento storico all’esilio portoghese di Carlo Alberto di Savoia, a seguito della sconfitta di Novara e l’abdicazione in favore di Vittorio Emanuele II. Carlo Alberto si ritirò ad Oporto, in una villa presso la foce del Douro, in vicinanza della quale sorgeva un bosco di castagni.
« E lo aspettava la brumal Novara
e a’ tristi errori mèta ultima Oporto.
Oh sola e cheta in mezzo de’ castagni
villa del Douro,
che in faccia il grande Atlantico sonante
a i lati ha il fiume fresco di camelie,
e albergò ne la indifferente calma
tanto dolore! »
(Giosuè Carducci, Rime e Ritmi: Piemonte)
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Il castagno diventa addirittura un protagonista nelle opere di Giovanni Pascoli (1855-1912), che dedicò all’albero interi componimenti. Il castagno, nella sezione Alberi e fiori della raccolta Myricae enfatizza il ruolo della pianta nella civiltà contadina di un tempo: esso accompagna, con la sua costante presenza, la scansione delle stagioni, e nelle freddi sere dell’autunno e dell’inverno diventa un protagonista nella vita della famiglia contadina, con lo scoppiettìo della sua corteccia che brucia nel focolare e le castagne che cuociono nella pentola.
« Per te i tuguri sentono il tumulto
or del paiolo che inquïeto oscilla;
per te la fiamma sotto quel singulto
crepita e brilla:
tu, pio castagno, solo tu, l’assai
doni al villano che non ha che il sole;
tu solo il chicco, il buon di più, tu dai
alla sua prole; »
(Giovanni Pascoli, Il castagno)
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Non meno suggestiva è Il vecchio castagno, nei Primi poemetti, dove il Pascoli raffigura un vecchio albero come essere animato che parla alla pastorella Viola esortandola a prendere l’accetta.
« …Viola!… Violetta!…
Non la vedi costì? C’è da stamani.
Ce l’ha lasciata il caro zio. L’accétta!
La piglia su, domani, oggi, a due mani,
e picchia giù. Dove ella picchia, guai
a quei frassini! tristi quelli ontani!
e quei castagni! Non credevi mai,
Violetta? Lo credo! Ero il più grande!
Sono il più vecchio. Ella è per me: vedrai. »
(Giovanni Pascoli, Primi poemetti: Il vecchio castagno)
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Oltre alle due citate liriche, non mancano comunque altri riferimenti più o meno espliciti nella poesia del Pascoli (per esempio nel componimento in latino Castanea) e in alcuni suoi saggi, al castagno come pianta e alla cultura contadina del castagno.
Il castagno e i suoi frutti appaiono anche nel ritratto che Grazia Deledda (1871-1936) fa della famiglia di zia Grathia, nel romanzo Cenere. La Deledda presenta la castagna sia come bene economico sia come componente integrante della quotidianità nella famiglia rurale della montagna barbaricina.
« Le castagne del piccolo Zuanne scoppiavano fra la cenere che si spargeva sul focolare.

Eravamo sposi da pochi mesi; eravamo benestanti, sorella cara: avevamo frumento, patate, castagne, uva secca, terre, case, cavallo e cane.

Si alzò, accese una primitiva candela di ferro nero, e preparò la cena: patate e sempre patate: da due giorni Olì non mangiava altro che patate e qualche castagna. »
(Grazia Deledda, Cenere)
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Il poeta ottocentesco sardo Peppino Mereu (1872-1901) cita il pane di castagne, come alimento rifugio dei poveri in tempi di carestia, nella sua più celebre poesia, Nanneddu meu. La poesia, che ha subito diversi arrangiamenti musicali nei canti popolari della Sardegna e in una più nota versione interpretata dal gruppo dei Tazenda, è un canto di protesta che, in forma di lettera ad un amico, descrive lo stato di miseria e oppressione in cui versavano gli strati sociali più bassi nella metà dell’Ottocento.
« Famidos nois semos pappande
pane e castanza, terra cun lande
terra ch’a fangu, torrat su poveru
senz’alimentu, senza ricoveru. » 
« Affamati noi stiamo mangiando
pane di castagne e terra con ghiande
terra come il fango, ridiventa il povero
senza cibo, senza ricovero. »
(Peppino Mereu, Nanneddu meu)
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Il Castagno dei Cento Cavalli. è citato in alcune poesie in siciliano o in italiano. Il poeta ottocentesco siciliano Giuseppe Borrello (1820-1894) citò in una sua poesia la leggenda da cui deriverebbe il nome dell’albero. La leggenda narra di una “regina Giovanna”, la cui identità non è storicamente accertata, che in occasione di un suo viaggio in Sicilia si riparò con il suo seguito sotto il castagno durante un temporale.
« Un pedi di castagna tantu grossu
ca ccu li rami so’ forma un paracqua
sutta di cui si riparò di l’acqua, di fùrmini, e saitti
la riggina Giuvanna ccu centu cavaleri,
quannu ppi visitari Mungibeddu vinni surprisa di lu timpurali.
D’allura si chiamò st’àrvulu situatu ‘ntra ‘na valli
lu gran castagnu d’i centu cavalli. » 
« Un piede di castagna tanto grosso
che con i rami forma un ombrello
sotto il quale si riparò dalla pioggia, dai fulmini e dalle saette
la regina Giovanna con cento cavalieri
quando per visitare Mongibello venne sorpresa dal temporale.
Da allora si chiamò quest’albero situato entro una valle
il gran Castagno dei Cento Cavalli.. »
(Giuseppe Borrello)
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Un’altra citazione dello stesso albero si ritrova in un sonetto del poeta siciliano Giuseppe Villaroel (1889-1965), in italiano, nel quale è descritta la maestosità dell’albero con suggestive metafore.
« Dal tronco, enorme torre millenaria,
i verdi rami in folli ondeggiamenti,
sotto l’amplesso querulo dei venti,
svettano ne l’ampiezza alta de l’aria. »
(Giuseppe Villaroel)
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Ancora come elemento figurativo rappresentativo del paesaggio boschivo, il castagno è riproposto da Italo Calvino (1923-1985) in un racconto di Ultimo viene il corvo. Un castagno dal tronco cavo si presenta agli occhi del partigiano Binda, mentre attraversa i boschi per portare gli ordini alle postazioni.
« Un castagno dal tronco cavo, un lichene celeste su una pietra, lo spiazzo nudo d’una carbonaia, quinte di uno scenario spaesato e uniforme, s’animavano in lui radicate ai ricordi più remoti … »
(Italo Calvino, Ultimo viene il corvo: Paura sul sentiero)
Letteratura straniera
Herman Hesse (1877-1962) dedicò al castagno l’apertura del suo Narciso e Boccadoro descrivendo il maestoso albero ubicato presso l’ingresso del seminario di Maulbronn, nella Germania meridionale, dove studiò da giovane. Nella descrizione, Hesse cita alcuni aspetti che evidenziano la natura esotica del castagno (solitario figlio del Sud) e la sua posizione al limite settentrionale dell’areale: l’entrata tardiva in vegetazione e la difficoltà di maturazione a causa della brevità della stagione vegetativa sono infatti condizioni sfavorevoli alla diffusione di questa specie nell’Europa centrale, determinandone la sporadicità. Ancora una volta viene l’arte mette sottolinea l’immagine suggestiva dei frutti rilasciati in autunno e arrostiti nel fuoco del camino.
« Davanti all’arco d’ingresso, retto da colonnette gemelle, del convento di Mariabronn, sul margine della strada c’era un castagno, un solitario figlio del Sud, che un pellegrino aveva riportato da Roma in tempi lontani, un nobile castagno dal tronco vigoroso; la cerchia de’ suoi rami si chinava dolcemente sopra la strada, respirava libera ed ampia nel vento; in primavera, quando intorno tutto era già verde ed anche i noci del monastero mettevano già le loro foglioline rossicce, esso faceva attendere ancora a lungo le sue fronde, poi quando le notti eran più brevi, irradiava di tra il fogliame la sua fioritura esotica, d’un verde bianchiccio e languido, dal profumo aspro e intenso, pieno di richiami, quasi opprimente; e in ottobre, quando l’altra frutta era già raccolta ed il vino nei tini, lasciava cadere al vento d’autunno i frutti spinosi dalla corona ingiallita: non tutti gli anni maturavano; per essi s’azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodí, li arrostiva in camera sua sul fuoco del camino. »
(Herman Hesse, Narciso e Boccadoro)
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Il castagno figura, sia pure come elemento secondario di sfondo, anche nello scenario che accompagna le riflessioni esistenziali di Antoine Roquentin ne La nausea di Jean-Paul Sartre (1905-1980):
« Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s’isolava, traboccava. »
(Jean-Paul Sartre, La nausea)
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In “1984” di George Orwell sono presenti alcuni riferimenti al castagno: il bar frequentato dal protagonista Winston Smith si chiama “Bar del Castagno”, e lungo l’intero romanzo viene citata la “Canzone del Castagno”
« Sotto il castagno, chissà perché.
Io ti ho venduto, e tu hai venduto me:
sotto i suoi rami alti e fortiessi sono defunti e noi siam morti. »
(George Orwell, 1984)
Pittura
Il carattere di rappresentatività del castagno come elemento paesaggistico o della civiltà rurale lo ha portato anche ad essere raffigurato come soggetto nella pittura.
   
Fonte Wikipedia
Di zentolos – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5409449
Castagne in cucina, nell’arte e nella cultura
alimenti,_umido,Taccuino_Sanitatis,_Casanatense_4182.

Ricette per Quadragesima (Quaresima), Maestro Martino da Como 1450-60

Cucinare, Tacuinum sanitatis casanatensis (XIV secolo)

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Libro de Arte Coquinaria, 1450-60

Capitolo II

Per far ogni manera de vivande Verzuso in Quadragesima
Bianco mangiare in Quadragesima
Piselli in Quadragesima
Frictelle de fior de sambuco

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Maestro Martino da Como: Verzuso di Quaresima

Verzuso* in Quadragesima.
Per farne dece menestre: piglia una libra
et meza d’amandole mondate in acqua te-
pida, et pistale molto bene como è dicto
di sopra, mittendogli un pocha dacqua frescha
perché non facciano olio. Et piglia una mol-
licha di pane biancho et mittila a moglio
in bono agresto. Et poi piglia le sopra ditte
amandole, et la mollicha, et del sucho¹ da-
ranci, et dellacqua rosa, et distempera
in seme tutte queste cose, agiungendovi
una oncia de cinamomo², et una libra
di zuccharo fino. Et passa ogni cosa inseme
pe la stamegnia³ facendo questa compositione
gialla con un pocho di safrano. Poi la mit-
tirai a bollire in una pignatta discosta
dal focho. Et guarda non piglie fume voltando-
la spesso col cocchiaro. Et vole bollire una
octava dora vel circha.

  • *Verzuso: specie di agresto alla francese
  • ¹Sucho: succo
  • ²cinamomo: cannella
  • ³stamegnia: setaccio

Maestro Martino: Biancomangiare e Piselli di quadrigesima

Bianco mangiare in Quadragesima.
Per farne dece¹ menestre: pigliarai una libra
et meza d’amandole mondate et pista molto
bene como è ditto di sopra, et habi una mol-
licha di pane biancho mollata in brodo bian-
cho di peselli. Et non havendo piselli poi sop-
plire con altro brodo, facendo bollire in l’acqua
un pane bianchissimo per spatio di meza
hora, mettendo a moglio la ditta mollicha
in questo brodo. Poi habi qualche bon pesce
di mare, o bon luccio d’acqua dolce cotto al-
lesso. Et de la polpa loro più soda et più bian-
cha ne prenderai meza libra, et pistala molto
bene con le amandole et mollicha, et con
un pocho di brodo, et del sucho d’aranci, et
non havendoni sopplirai con un pocho d’agresto
agiungendovi dell’acqua rosata, et meza
libra di zenzevero mondo, con octo oncie
di zuccharo. Et queste cose tutte stemperate
inseme, passate per la stamegnia, le mettirai
accocere in una pignatta per una octava
d’ora discosta dal focho che non piglie fume
et di continuo le menerai col cocchiaro.

  • ¹Dece: dieci

Piselli in Quadragesima.
Poterai simelemente fare li peselli con lacte de
amandole in tempo quatragesimale como se dicto
di sopra in questo capitolo del bian-
cho magnare.

Capitolo V

Per fare frictelle quadragesimale.

Per fare frictelle de fior de sambuco.
Piglia dell’amandole et pistale bene, overo di pignoli se più ti piacene,
et passa le ditte amandole o pignoli per la stamegna con un poca
de acqua rosata o con brodo di piselli; et poi habi un poco di bon
lievito ben biancho et di fiori di sambuco como ti pare, et con
un poco di fiore di farina mescolarai tutte queste cose inseme.
Et nota che tal compositione vole essere apparecchiata la sera
per la matina perché vengano le frittelle più spognose;
et la matina gli agiognerai¹ un poco di zuccaro,
facendole in qualunqua forma ti piace, o tonde o altramente;
et frigile in bono olio

  • ¹agiognerai = aggiungerai
Frictelle di sambuco-maestro martino
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Festa a tema in stile Medievale con menù

Festa della Stagion Bona, Panzano in Chianti FI

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Palio delle Contrade, Fucecchio FI

 

 

 

 

 

 

Aspetti di vita quotidiana,Taccuino Sanitatis

42-aspetti di vita quotidiana, medicine,Taccuino Sanitatis,.jpg  43-aspetti di vita quotidiana, illuminazione,Taccuino Sanita.jpg  44-aspetti di vita quotidiana, stagione calda,Taccuino Sanit.jpg  45-aspetti di vita quotidiana, stagione fredda,Taccuino Sani.jpg  46-aspetti di vita quotidiana discrezione Taccuino Sanitatis detail..jpg  46-aspetti di vita quotidiana discrezione Taccuino Sanitatis detail2..jpg

42- medicine
43- illuminazione,
44- stagione calda
45- stagione fredda
46- discrezione
46- discrezione
46- discrezione
47- ira
48- ubriachezza
48- ubriachezza,
5-impiego prodotti vegetali
50- veglia
51- sonno
53- insonnia
54- canto in chiesa
55- gioia
56-abbigliamento in seta
57- abbigliamento lana
58- abbigliamento lino
alimenti, pasta
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Di unknown master – book scan, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1638818
Fave, Herbe e Fonghi alla maniera di Maestro Martino OSPREON Dei Legumi, Baccelli verdi di fave comuni e baiane, Apicio

Fave, Herbe e Fonghi alla maniera di Maestro Martino da Como

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Fave piene
Fave fresche con brodo di carne
Herbe con lacte d’amandole
Herbe senza lacte
Fonghi
Altro modo di acconciare gli detti fonghi
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 Le fave e la festa del 2 novembre:

Il 2 novembre, in tutto il mondo cristiano, è il giorno della commemorazzione dei morti. oggi, da noi, è consuetudine visitare i cimiteri, ripulire le tombe, illuminarle con ceri, deporre crisantemi e pregare. Tipica di un tempo era invece l’usanza delle fave. Infatti, sia i Greci che i Romani vedevano nel bianco e nero dei suoi fiori una sigla mortuaria, e perciò le consideravano emblema della morte. Esse, pertanto, venivano sparse sulle tombe per implorare pace e placare gli spiriti maligni.

Clicca sulle immagini per vederle ingranditeite
Fave piene
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Fave piene
Poni le fave a moglio. Et quando sonno bene a moglio fendile un
pocho da quello canto¹ che non sono negre; et caccia fore pian piano le
fave dentro che non se rompa la scorza. Et dapoi togli de le amandole
bianche et nette, et pistale molto bene con un pocha d’acqua rosata
accioché non facciano olio. Et ponivi assai zuccharo. Et di questa
materia impie le ditte scorze di fave, et poi restringile inseme che
parano fave meze cotte, et ponile a scaldare in una pignatta, o padella,
o altro vaso dove non sia né acqua né altra cosa, guardandole che non
ardesseno. Et mitti le ditte fave in scudelle agiongendovi di sopra
un pocho di brodo di carne caldo, con un pocho di petrosillo tagliato
menuto con un poche de cipolle fritte et tagliate menute, et dapoi
un poche di spetie dulci. Et a chi non piaceno le cipolle non le
porre.¹canto: lato
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Fave fresche con brodo di carne
Piglia le fave et mondale con l’acqua calda como se fanno le amandole,
et poi le mitti a bollire in bon brodo. Et quando ti pareno cotte
mette con esse un pocho di petrosillo¹ et menta battuta facendogli
bollire etiamdio² de bona carne salata. Et questa menestra vole essere
un pocho verde che pare più bella. Et simelmente poi fare i peselli,
et ogni altro leghume frescho, ma nota che non voleno essere mondati
coll’acqua calda como le fave, ma lasciali pur così con quella
sua scorza sottile.
  • ¹petrosillo: prezzemolo,
  • ²etiamdio: anche.
Herbe con lacte d'amandole
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 Herbe

Herbe con lacte d’amandole
Habi le herbe et falle bollire in prima un pocho in l’acqua, la qual
deve bollire quando glille¹ mitti. Et poi la cava fore, et ponile sopra
una tavola, o un taglieri², et battile menute con un coltello, et nel
mortale le macinarai³ molto bene; et poi le farai bollire ne lo lacte
d’amandole mettendovi del zuccharo a sufficientia.

  • ¹glille mitti: le metti.
  • ²taglieri: tagliere o ripiano di legno per battere,
  • ³macinari: macinerai
Herbe senza lacte
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Herbe senza lacte
Habi le herbe; et prima le fa’ bollire como è ditto di sopra.
Et diquelle farai menestre¹ grasse, o magre secundo il tempo²,
compartendole como ti pare et piace.
Piglia la sementa di canipa³, e lassala stare a moglio per un dì
e una nocte buttando via quelli granelli¹ che stanno sopra
lacqua perchè sono tristi². Et poi habi dellamandole ben mondate,
e pistale inseme con la ditta sementa.
Et pista che seranno bene le distemperarai con lacqua fresca
e con bono brodo di peselli³, mettendovi etiamdio¹
del zuccharo fino, e una pocha dacqua rosa.
Et poi farai cocere tutte queste cose per spatio duna octava²
dora vel circha³ menandola de continuo col cocchiaro.
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  • ¹menestre: piatti, razioni,
  • ²tempo: tempo di magro o di grasso,
  • ³canipa: canapa,
  • ¹granelli: semi,
  • ²tristi: avariati,
  • ³peselli: piselli,
  • ¹etiamdio:anche,
  • ²octava: ottavo,
  • ³vel circha: circa.

Fonghi

Fonghi

Netta li fonghi¹ molto bene, et falli bollire in acqua con doi o tre
capi daglio, et con mollicha di pane. Et questo si fa perché da natura²
sonno venenosi. Dapoi cavagli fora et lassa ben colare quella acqua
in modo che restino sciutti*, et dapoi frigili in bono olio, o in lardo.
Et quando son cotti mettevi sopra de le spetie.

  • ¹fonghi:funghi, da natura: per loro natura,
  • ²sciutti: asciutti.

Altro modo di acconciare gli detti fonghi
In altro modo poterai acconciare¹ gli ditti fonghi, cioè nettandoli prima
molto bene, et poi nettargli sopra la bragia, et ponvi sopra del
lardo et de laglio battuti inseme et del pepe. Et similemente gli
poterai aconciare con olio. Et etiamdio² gli poterai cocere così acconci
in una padella como se fosse una torta.

  • ¹acconciare: preparare, cucinare,
  • ²etiamdio: anche.

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Festa a tema in stile Medievale con menù

Festa della Stagion Bona, Panzano in Chianti FI

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Palio delle Contrade, Fucecchio FI

 

 

 

 

 

 

Aspetti di vita quotidiana,Taccuino Sanitatis

42-aspetti di vita quotidiana, medicine,Taccuino Sanitatis,.jpg  43-aspetti di vita quotidiana, illuminazione,Taccuino Sanita.jpg  44-aspetti di vita quotidiana, stagione calda,Taccuino Sanit.jpg  45-aspetti di vita quotidiana, stagione fredda,Taccuino Sani.jpg  46-aspetti di vita quotidiana discrezione Taccuino Sanitatis detail..jpg  46-aspetti di vita quotidiana discrezione Taccuino Sanitatis detail2..jpg

42- medicine
43- illuminazione,
44- stagione calda
45- stagione fredda
46- discrezione
46- discrezione
46- discrezione
47- ira
48- ubriachezza
48- ubriachezza,
5-impiego prodotti vegetali
50- veglia
51- sonno
53- insonnia
54- canto in chiesa
55- gioia
56-abbigliamento in seta
57- abbigliamento lana
58- abbigliamento lino
alimenti, pasta
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  Fave, Herbe e Fonghi alla maniera di Maestro Martino

 

 

Festa a tema in stile Medievale con menù

Leggiadre Madonne et baldi Messeri, udite! Festa a tema in stile Medievale con menù

 Festa della Stagion Bona – Panzano in Chianti
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Se per Carnevale, o in altre occasioni, volete organizzare una festa a tema, ecco alcuni suggerimenti che spero possano esservi utili:

Abbigliamento e accessori.

Abbigliamento 1100-1200
Abbigliamento 1300-1400

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

Trucco e parrucco

Ambientazione

Musica

  • Carmina Burana – Carl Orff – (video): Zubin Mehta dirige per il Maggio Musicale Fiorentino l’opera di Carl Orff mentre nella evocativa abbazia rinascimentale di San Galgano illuminata da falò e torce vengono messe in scena azioni di teatro profano da artisti di strada: una evocazione immaginifica delle atmosfere medievali che accompagna la magistrale esecuzione musicale di Piazza della Signoria. (dramatic rendition)
  • Medievale
  • Rinascimentale

http://blog.cookaround.com/queidelicatimotivisparsi/wp-content/uploads/2015/02/640px-Clothes1.jpg

  Il Banchetto

Alimentazione medievale

RICETTE
Medioevo, Rinascimento

PRIMI

Polpette di broccolo romanescoZuppa di cavolfiore e patatefrittelle cavolfioreriso cavolfiore

 

 

 

 

SECONDI

VERDURE

DOLCI

VARIE

Aspetti di vita quotidiana,Taccuino Sanitatis

42-aspetti di vita quotidiana, medicine,Taccuino Sanitatis,.jpg  43-aspetti di vita quotidiana, illuminazione,Taccuino Sanita.jpg  44-aspetti di vita quotidiana, stagione calda,Taccuino Sanit.jpg  45-aspetti di vita quotidiana, stagione fredda,Taccuino Sani.jpg  46-aspetti di vita quotidiana discrezione Taccuino Sanitatis detail..jpg  46-aspetti di vita quotidiana discrezione Taccuino Sanitatis detail2..jpg

42- medicine
43- illuminazione,
44- stagione calda
45- stagione fredda
46- discrezione
46- discrezione
46- discrezione
47- ira
48- ubriachezza
48- ubriachezza,
5-impiego prodotti vegetali
50- veglia
51- sonno
53- insonnia
54- canto in chiesa
55- gioia
56-abbigliamento in seta
57- abbigliamento lana
58- abbigliamento lino
alimenti, pasta

Il banchetto rinascimentale e barocco era una complessa macchina conviviale e teatrale, oltre che gastronomica. Dietro le quinte, per così dire, si svolgeva il lavoro di preparazione e presentazione delle numerose portate, che implicava il concorso di specifiche professionalità. Per descrivere la “squadra”, anzi il piccolo esercito necessario per la messa in opera di cotanto evento ci serviremo di un celebre dipinto, le Nozze di Cana, dipinto da Paolo Veronese tra il 1562 e il 1563, esposto a Parigi nel museo del Louvre. In esso sono raffigurati infatti tutti personaggi che concorrevano alla realizzazione di un banchetto principesco come quello in cui il Veronese ambienta l’episodio evangelico.

 

Le Nozze di Cana, dipinto da Paolo Veronese tra il 1562 e il 1563, esposto a Parigi nel museo del Louvre.Veronese_ le nozze di cana _1563
Festa a tema in stile Medievale con menù
Di Larry Ferrante – Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1666133
Cristoforo da Messisbugo: Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale

Cristoforo da Messisbugo: “Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale”

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Cristoforo da Messisbugo (..-1548)
Maestro di casa

Ricette tratte dal volume di Cristoforo da Messisbugo:

“Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale”.

Questo libro, comparso per la prima volta a Ferrara nel 1549 postumo, è il più fantasioso e completo tra i manuali gastronomici del Cinquecento. Le ricette in questo testo, rivelano un uso indiscriminato dello zucchero della cannella, di pinoli e dell’uva passa sparsi praticamente in ogni vivanda: dalla pasta, agli arrosti, ai pasticci e perfino nelle torte di anguilla. secondo il gusto per l’agrodolce del Rinascimento, quando lo zucchero era privilegio dei ricchi;veniva proposta la cucina romana d’Apico con la tendenza esasperata alle mescolanze e all’abbondanza delle spezie. La cucina Rinascimentale rivedeva la gastronomia classica e liberamente la reinterpretava.
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Il Messisburgo non va confuso con un capocuoco e nemmeno con gli artisti di gastronomia dell’epoca: era un gentiluomo, un dotto, un umanista che nella prima metà del 500 entrò nel favore della Corte degli Estensi. Intorno al cibo, la Corte ferrarese organizzava per gli ospiti spettacoli di livello eccelso e il tutto era orchestrato proprio dal Messisburgo. Viene ricordato il banchetto del 24 gennaio del 1529, in occasione delle nozze del principe Ercole con la figlia del re di Francia alla presenza di Isabella d’Este Gonzaga.

La lista delle vivande del famoso convittore e di pesce, fritti e carpioni, cotture in graticola e stufatti; uso disinvolto della pastasciutta, specialmente di tortelli diversamente ripieni.

Il tutto accompagnato da vini eccellenti.

Torta di bieta
“Prendi una buona manciata di bieta e ben lavata la triterai minuta e la porrai in un tegame con due libbre di buon formaggio duro ben grattato, una libbra e mezza di burro fresco, sei uova, pepe pestato, un pizzico di zenzero e cannella, se qualcuno vuole anche mezza libbra di zucchero, ma solitamente non si mette. Poi farai le due sfoglie di pasta, ben impastato il tuo battuto e unta la teglia con due once di burro fresco vi metterai una strato di pasta ed il battuto sopra. Poi gli porrai sopra l’altro strato di pasta, facendo il suo rotello intorno, sopra porrai quattro once di burro fuso. Poi cuocerai nel forno o sotto il testo. Quando sarà quasi cotta porrai sopra da tre a quattro once di zucchero”.

Per fare pollame con savore francese
Pulite un pollo e tagliatelo a pezzi piuttosto grossi. In una ciotola mescolate della farina con sale e pepe. Con questo composto infarinate bene il pollo. In una padella, scaldate abbondante olio e rosolatevi il pollo da ambo le parti per venti minuti e poi ancora per dieci minuti a recipiente scoperto. Togliete il pollo e lasciatelo riposare in un foglio di carta da macellaio. Dalla padella di cottura eliminate una parte dell’olio, aggiungete un po’ di farina, una buona presa di sale, pepate abbondantemente, fate vellutare ed infine unite del succo d’arancia e portate a bollore. Servite il pollo in tavola cosparso della salsa così ottenuta.

Mariconda alla ragonese
Pane raffermo,latte, burro, uova, grana,noce moscata, brodo di carne,sale,pepe
Preparazione
In un recipiente sbriciolate della mollica di pane raffermo e ricopritela di latte, lasciandola riposare. Sciogliete del burro in un tegame, aggiungete il pane ben strizzato dal latte, ponete sul fuoco, e fate asciugare avendo cura di mescolare il tutto. In una terrina mettete il pane, delle uova, grana grattugiato, noce moscata, sale e pepe, amalgamate bene il composto e lasciate riposare coprendo con un canovaccio. Scaldate del brodo di carne, quando alzerà il bollore prendete il composto a mezzo cucchiaio alla volta, e gettatelo nel liquido fino ad esaurimento. Cuocete per pochi minuti, travasate la minestra in una zuppiera, e servitela immediatamente con a parte del formaggio grattugiato. (In origine questo era un piatto dolce, nell’impasto del quale entravano zucchero, uvetta e cannella.)

fonte: taccuini storici.it

Interno di una cucina italiana, dal libro di cucina di Cristoforo da Messisbugo: Banchetti composizioni di vivande e apparecchio generale, 1549

Cristoforo da Messisbugo: Banchetti, compositioni di vivande et apparecchio generale
Sua maestà... la ZUCCA! Per fare zucche - Maestro Martino

Per fare zucche – Maestro Martino “Il Libro de Arte Coquinaria” sec. XV: Cap. II

 Maestro Martino: Capretto arrosto sapore XV sec. Ricette per Quadragesima (Quaresima) - Maestro Martino da Como 1450-60

 

Maestro Martino “Il Libro de Arte Coquinaria”

CAPITOLO II – PER FAR OGNI MANERA DE VIVANDE

Per fare zucche fritte.

Togli de le zucche et nettale bene. Et dapoi tagliale per traverso in fette sottili como la costa d’un coltello. Et dapoi gli fa’ trare solamente un boglio in acqua, et cacciale fore; et dapoi le poni a sciuttare. Et poneli de sopra un pocho pocho di sale et involtale in farina bella, et frigile in olio. Dapoi cacciale fore et togli un pocho di fiore de finocchio, un pocho d’aglio et di mollicha di pane; et pistali bene et distempera con agresto in modo che resti ben raro, et passa per la stamegnia, et getta questo tal sapore sopra le ditte zucche. Le quali etiamdio son bone ponendogli solamente di sopra agresto, et fior di finocchio. Et se voi che ‘l ditto sapore sia giallo mettevi un pocho di zafrano.

Per fare menestra de pome cotogne.

Coci le poma cotogne in brodo di carne magra. Dapoi pistale e stemperale con latte de amandole facto con brodo di carne o di bon pollo grosso, se ‘l tempo il richiede; et passale per la stamegnia, et ponila in una pignatta con zuccharo, zenzevero, et cannella, et un pocho di zafrano; et ponila a bollire longi dal focho sopra la bragia che non pigile fume, et voltela spesso col cocchiaro. Et ponendogli un pocho de butiro o strutto frescho sarebbe migliore. Dapoi quando ti pare cotta fa’ le menestre, et punvi di sopra de le spetie dulci e del zuccharo.



Per cocer zucche.

Mondale como vogliono essere, et poi cecile con brodo di carne, overo con acqua et mettevi un pocha de cipolla secundo la quantità che tu vorrai fare. Et quando parerà cotta cacciala fore, et passa ogni cosa per la cocchiara straforata, overo pistale molto bene, et metteli accocere in una pignatta con brodo grasso, et con un pocho d’agresto.

Et siano un pocho gialle di zafrano; et quando sono cotte toglile dal focho et lasciale un pocho refredare. Dapoi togli di rossi d’ova secundo la quantità et sbattili con un pocho di caso vecchio et gittagli in le ditte zucche menando continuamente col cocchiaro acciò che non si prendano : et fa’ le menestre et mectevi sopra spetie dolci.


Per fare zucche con lacte d’amandole.

Fa’ cocere le zucche con acqua et poi caccia fore l’acqua quanto più poterai, et passale per la stamegnia, o per la cocchiara forata et mittile a bollire con lo ditto lacte et con zuccharo, et con un pocho d’agresto secundo il gusto del patrone.

Per fare carabaze a la catalana. zucche2.JPG

Piglia le carabazze cioè le zucche, et nettale molto bene, et mittivi dentro in una pignatta che sia asciutta con bon lardo battuto, et mitti la ditta pignatta sopra la brascia remota dal focho et falla bollire menando continuamente col cocchiaro. Et vogliono bollire in questa forma per spatio de quattro hore. Et poi habi de bon brodo grasso facto giallo con un pocho di zafrano, et mittilo dentro giongendovi del zuccharo et de le spetie dolci con un pocho d’agresto secundo il gusto del tuo Signore, o d’altri. Et como dicemo di sopra nel primo capitolo de le zucche, gli poi mettere qualche rosso d’ovo battuto con un pocho di bon caso vecchio.

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Per fare zucche – Maestro Martino 

 

Libro per cuoco" Anonimo VENEZIANO: RICETTE

“Libro per cuoco” Anonimo VENEZIANO, sec.XIV – XV: RICETTE

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Testo a cura di Giuliana Lomazzi – Giornalista specializzata in alimentazione e gastronomia.
“Cosa si cucinava nel ‘300? Ce lo racconta questo libro, che con l’Anonimo Toscano vanta il primato di essere tra i primi testi gastronomici in volgare. Con il tono dolce e altalenante del dialetto veneto, l’autore offre al nostro sguardo grandi tavolate dove le portate si susseguono profumatissime: pollastri stufati in latte di mandorle, agresto, datteri e zafferano; brodo di pollo aromatizzato con acqua di rose, mandorle, “zenzevro, garofali (chiodi di garofano), canella”, da zuccherare e servire in ciotole; triglie e lamprede, salse rigurgitanti di spezie o “herbe bone”, “rafioli, capreto, porcho”.
Ci sono anche torte salate “de late, de zuche secche, da faxolli freschi, d’agli, de gambari, de fongi, de herbe, de pesse”. Il nostro anonimo prepara pure frittelle di mele, di fiori di sambuco, di latte di mandorle e, soprattutto, le Fritelle da Imperadore magnifici, forse dedicate all’imperatore Federico II, detto Stupor mundi: contengono “chiara de l’ova e fete de formazo frescho, un pocho de farina e pignoli mondi”. Per realizzare la sua opera, l’Anonimo Veneziano sembrerebbe si sia ispirato a fonti prestigiose. Tra i suoi modelli il Liber de Coquina, o Libro di cucina (XIII-XIV secolo), considerato il più antico ricettario del Medioevo italiano e forse redatto alla corte angioina di Napoli. Altre ricette sono probabilmente ispirate alla cucina di corte di Federico II, che regnò a Palermo tra il 1220 e il 1250.”
RICETTE
Libro di cucina o Libro per cuoco, Anonimo Veneziano, sec. XIV – XV

Testo completo in lingua medievale

I. Amidono d’ amido.
II. Ambroyno.
III. Agliata.
IV. Ambrosino bono e perfecto et cetera.
V. Bramagere.
VI. Brodo de polastri.
VII. Bon savore da polastri.
VIII. Brodeto de starne bon.
IX. Brodeto camelino a caponi
X. Butiro de chaxi freschi, etc.
XI. Butiro de grasso de mandole.
XII. Brodeto de ovi schieto, bon e perfetto.
XIII. Brodeto de pessi.
XIV. Ciuiro overo sauore negro a cengiaro.
XV. Ciuiro over sauore a ceruo, etc.
XVI. Ciuiro a carne de cavriolo o de livore
alesso o rosto per lo megliore che tu voy, etc.
XVII. Caponi ouer polastri impliti.
XVIII. Ciuiro de lepore, over de altra carne.
XIX. Coradella d’ agnello, etc.
XX. Coradella di chapreto, etc.
XXI. Composta bona e perfetta.
XXII. Cime de vitte.
XXIII. Cisame de pesse quale tu voy.
XXIV. Formentra bona e utille perfetta.
XXV. Fongi.
XXVI. Fritelle da Imperadore magnifici.
XXVII. Fritelle de fiore de sambugho, etc.
XXVIII. Fritelle bianche.
XXX. Gelatina de polastri,
XXXI. Gelatina de zaschuna carne.
XXXII. Gelatina per un altro modo. 
XXXIII. Gellatina communa e bona de pesse.
XXXIV. Herbe battute perfecte e bone, etc.
XXXV. Herbetella, etc.
XXXVII. Lenolata over Enolata.
XXXVIII. Lasagne.
XXXIX. Manzare de pomo bono e perfetto.
XL. Migliaciti bianchi e vantagiati, etc.
XLI. Mandolata cocta e perfetta.
XLII. Mostarda e mostarda bona.
XLIII. Manzare de rape.
XLIV. Malmoma, etc.
XLV. Mortarolo per XII persone.
XII persone, toy VI polastri e iiij casi freschi
XLVI. Mortadelle bone e perfette, etc.
XLVII. Ove plene.
XLVIII. Pastero de quaye boni e vantagiati.
XLIX. Pastero de polastri.
L. Pastero de pipioni.
LI. Pastero de carne de porcho optimo.
LII. Pastero de capreto bono.
LIII. Polastri a sumacho boni e perfecti, etc.
LIV. Polastri in brodo bianco.
LV. Panicata con agresta.
LVI. Paniera cum carne bono e perfetto.
LVII. Polastri pini e boni.
LVIII. Pane de noxe maravigliosso e bone.
LIX. Peverada scleda zoè schutelini.
LX. Quinquinelli zoè rafioli boni molti.
LXI. Rixo in bona manera.
LXII. Rafioli friti, etc.
LXIII. Rafioli commun de herbe vantazati.
LXIV. Rafioli per altro modo
LXV. Rapa armata.
LXVI. Rosto in cisame bono e perfetto optimo.
LXVII. Savore rinforzato perfetto.

Vedi anche

 

Libro per cuoco” Anonimo VENEZIANO: RICETTE
SALSA AGLIATA  da "Libro per cuoco" Anonimo VENEZIANO Fried_cauliflower_with_salsa AGLIATA

SALSA AGLIATA da “Libro per cuoco” Anonimo VENEZIANO, sec. XIV-XV

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Stampato per la prima volta nel 1899 con il titolo Libro della cucina del XIV secolo, comprende 135 ricette. A Firenze si trova un frammento di un manoscritto risalente presumibilmente al XIV sec. dal titolo Modo di cucinare et fare buone vivande e contenente 57 ricette. Pare che alcune di queste preparazioni siano del cuoco senese Niccolò de’ Salimbeni, al quale spettava la preparazione dei piatti per i banchetti dei “12 ghiotti”, anche noti come “la brigata godereccia” (o spendereccia).
  • E’ questo il primo testo gastronomico in volgare insieme all’Anonimo Toscano o Libro della cocina (XIV – XV sec.) che mostra punti di contatto con il Liber de coquina del XIII – XIV sec., presumibilmente compilato alla corte degli Angiò, a Napoli.
  • Il testo conobbe un’ampia difffusione ed ispirò grandi cuochi come il Plàtina e Maestro Martino.
  • L’ignoto autore non scrisse un libro di corte, destinato ai grandi cuochi, ma per la casa, per il cuoco domestico.
 slowfood.it aprile 2009 

La brigata godereccia
Siena, metà del Duecento. Dodici giovani di famiglia ricca danno vita alla “brigata”, ripromettendosi di sperperare tutto il proprio danaro in gozzoviglie. Ci riuscirono, dilapidando 216.000 fiorini in due anni, l’equivalente di 12-15 milioni di €uro. Scrissero di loro Cavalcanti, Boccaccio e Dante. Si legge nella Divina Commedia, Inferno XXIX,128: “Niccolò de’ Salimbeni che la costuma ricca del garofano prima discoperse”. Ciò in quanto, al tempo era noto per la passione smodata per il costosissimo chiodo di garofano. Si diceva cuocesse le carni sopra braci prodotte con questa spezia. Ai 12 ghiotti sono dedicate nel libro per cuoco alcune ricette.
“Se tu voy fare mandolata cocta per XII persone, toy tre libre de mandole, e toy meza libra de zucharo”.

Slowfood.it

III, AGLIATA. 1

Agliata a ogni carne, toy l’aglio e coxilo
sotto la braxa, poi pestalo bene e mitili aglio
crudo, e una molena de pan, e specie dolçe,
e brodo; e maxena ogni cossa insema e fala
unocho bolire e dala chalda.

In epoca moderna dovrebbe invece essere trascritta così:

SALSA AGLIATA

Cookaround.com.

Prendi 2 teste di aglio e cuocile sotto le braci. Prendi 5 spicchi di aglio crudo, frullalo e mischialo con della mollica di pane, 2 pizzichi di spezie dolci (mix di cannella, noce moscata e zenzero) e un mestolino di brodo di verdura tiepido. Mescola tutto nel bicchiere del mixer . Spella l’aglio abbrustolito e metti tutto nel mixer e trita finemente. Scalda il composto e servilo caldo aggiustando all’ultimo il sale.

Per ottenere questa ricetta trascritta è stato necessario riprodurre la ricetta in cucina e tentare con diverse proporzioni di ricreare un sapore che si adattasse anche alle nostre papille. Di conseguenza riportare alla luce le ricette dal 1200 in avanti è un lavoro non solo di pazienza per la traduzione, ma anche consiste in una serie infinita di prove e di assaggi, che non ricreano esattamente quali erano i sapori a cui erano avvezzi nei 1300, ma sono dei tentativi di adattamento all’epoca moderna.

 

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 SALSA AGLIATA da “Libro per cuoco” Anonimo VENEZIANO
Palio delle Contrade, Fucecchio (Fi)

“Libro della Cocina” Anonimo TOSCANO, sec. XIV – XV: ricette

Fucecchio, Firenze – Palio delle contrade: Ogni anno, in maggio, a Fucecchio, si corre il Palio delle Contrade. Questa importantissima quanto antica manifestazione è nata come rievocazione di una Contesa tenutasi a Fucecchio intorno all’anno 1200. […]

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Per la prof. Anna Martellotti (filologa, già professore associato presso l’Università di Bari, che si interessa da tempo di gastronomia medievale), l’Anonimo Toscano sarebbe una traduzione italiana del sopra citato libro perduto latino. Questo per via del vocabolario usato (parole in latino non tradotto, accumulo di sinonimi) e per l’andamento delle frasi. Tale traduzione e riscrittura del libro perduto (che comprende verosimilmente errori ed omissioni) sarebbe stata voluta da Ubaldino della Pila, fratello di Ottaviano degli Ubaldini (che era un compagno di Federico II e che figura nell’Inferno di Dante sotto il nome de “Il Cardinale”). Nel libro è loro dedicata una ricetta: “frittelle ubaldine” (80).Per gli altri storici il libro di cucina sarebbe della fine del 14° secolo, inizio del 15°. È spesso chiamato Anonimo Toscano (Manoscritto 158, Biblioteca universitaria di Bologna).

Il libro di cucina è stato pubblicato in toscano da Francesco Zambrini a Bologna nel 1863. Ristampato a Bologna nel 1968.Testo completo in lingua medievale, Anonimo Toscano, Libro della cocina (Manoscritto del tardo 14° secolo o primi del 15°) – E. Faccioli, Arte della cucina, Milano 1966, vol. I, p. 21-57.

Il libro della cocina contiene 183 ricette, di cui 101 sono presentate anche (o lo sono in forma molto somigliante) nel Liber de coquinaAnonimo Meridionale, classificate come segue: Come nei “regimi di salute” il testo incomincia con ricette di verdure, con indicazioni dietetiche: ricette dalla 1 alla 62 (ivi comprese 2 ricette di champignons). Seguono poi ricette per la maggioranza a base di carni in brodetto, in salsa, farcite, arrostite: ricette dalla 65 alla 115. Le ricette dalla 116 alla 129 propongono torte e pastelli. Seguono poi i piatti di molluschi (130-134) e di quaresima (141-144), inframmezzati da 5 ricette di pollo (135-139) e da una ricetta di uova (140). Abbiamo poi ricette diverse (dalla 145 alla 160) tra cui ricette di lasagne, ravioli, tria genovese (pasta), formaggi, salse e la sola ricetta di torrone della famiglia del Liber de Coquina (149). Il libro si conclude con ricette per malati (dalla 161 alla 175) e consigli vari. Quest’ultima parte non ha una diretta relazione con le ricette della famiglia del Liber de Coquina. Ci si rende conto della volontà di raggruppare le ricette per tipo di preparazione (il che ha come risultato il fatto di mescolare ricette di carni e di pesci) o per varianti di una stessa ricetta. Si possono anche notare alcuni commenti del copista.

Del pastello dei capretti. Altramente:
Togli uno capretto minuzzato, o polli smembrati, e friggili col lardo fresco e cipolle minuzzate, e erbe odorifere trite con zaffarano, e tuorla d’ova, e distempera fortemente, e mesta con ova, e metti tutto in uno vaso sopra la bragia, e volgi spesso, fine che sia spesso: giongivi spezie abbastanza; colorarlo con tuorla d’ova, e fà la forma de la pasta, e rinchiudi tutto: fà cuocere, e mangia. (Zambrini 57-58)

Del brodo saracenico
Togli capponi arrostiti, e i fegati loro con le spezie, e pane abbrusticato, trita nel mortaio; e distempera nel mortaio buono vino bianco et succhi agri, e poi smembra i detti capponi, e metti a bollire con le predette cose in una pentola, e mettivi su dattali, uve grece, prugne secche, amandole monde intere, e lardo sufficiente; e dà a mangiare. Simile modo fà de’ pesci marini; pome e pere puoi ponere nei detti brodi.

 LIBRO DELLA COCINA sec. XIV – XV

Testo completo in lingua medievale

Dei cauli.
De le foglie minute, et dei finocchi.
Salsa di finocchio.
De’ senacioni
De la senape.
De li sparaci. 
De le lattuche.
De le zucche
De le pere.
Di cipolle.
De’ porri.
De’ naponi, ovvero navoni.
De’ raponcelli.
De le rape.
De’ ceci. 
De’ peselli.
Peselli con carne.
De le fave sane.
De le fave infrante
De le lenti.
De’ fasoli.
De’ fungi.
De la composta.
De’ brodi: e primo, de brodo granato.
De la gelatina di pesce.
Del brodo del pesce.
Del paparo.
De la grua. 
Del brodo saracenico.
Del brodo dei capponi.
De le starne.
De la gratonia.
De’ crispelli, ovvero frittelle ubaldine.
De’ guanti, cioè ravioli.
Di salsiccie, o vuo’ tortelli di pesce.
De’ crispelli di carne, o vero tortelli e ravioli. 
De le gualdaffe di ventri et caldumi.
Dei detti gualdaffi e caldumi.
De li savori.
De la peverada.
De’ civeri di lepore e altre carni.
Di sommacchia di polli o di uccelli.
Di limonia di polli.
Di gratomea di polli, uccelli et pesci.
Di romania di polli.
Di agliata bianca con li capponi.
De’ blanmangieri.
Libro della Cocina Anonimo TOSCANO
 
 
Maestro Martino da Como, Per fare sapor celeste de estate

Maestro Martino da Como, Per fare sapor celeste de estate…

Peintnerhof_Heidelbeer_Feige_Zwetschke_Bienenmarmellata

Libro de Arte Coquinaria, 1450-60 Capitolo III

Per far ogni sapore: le MORE

Per fare sapor celeste de estate.
Piglia de li moroni salvatiche che nascono in le fratte,
et un poche de amandole
ben piste, con un pocho di zenzevero.
Et queste cose distemperarai con
agresto¹ et passarale per la stamegnia.

Mescola more di rovo con qualche mandorla ben schiacciata e un pizzico di zenzero. Unisci il tutto a dell’agresto e passa al colino.

  • ¹AGRESTO: conserva acidula a base di mosto (leggi)
  • ²Stamegnia: colino o setaccio fine


Maestro Martino da Como: per sapore celeste d'estate

Per fare sapor de moroni.
Habi dell’amandole monde et piste bene con un pocha di mollicha di pane biancho.
Et piglia li ditti moroni, et macina con diligentia ogni cosa inseme.
Et non gli dare colpo né pistare, per non rompere quelli granelli piccini
che hanno dentro; poi gli mecti de la cannella, del zenzevero
et un pocho di noce moscata. Et ogni cosa passa per la stamegnia.

Schiaccia bene delle mandorle con un po’ di mollica di pane bianco. Aggiungi le more e mescola tutto senza schiacciare per non disfarle. Unisci cannella, zenzero e un po’ di noce moscata. Passa tutto al colino....

Maestro Martino da Como: More         Clicca sulle immagini per vederle ingranditemaestro martino libriMaestro Martino da Como, Per fare sapor celeste de estate

menù epoche clothes abbigliamento

Menù e ricette delle epoche passate

 

I SECOLO a.C.- I SECOLO d.C.

Marco Gavio Apicio (25 a.C.-37 d.C.)

APICIO – De re coquinaria: raccolta di ricette 

 XV-XVII SECOLO
 XIX SECOLO

Georges Auguste Escoffier (1846–1935)

Pellegrino Artusi (1820–1911) 

XX SECOLO

1930/40

1950

1960

1970/80

 

 

 

Ciotola con coperchio fatta di farina

Ciotola di farina con il coperchio

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Ingredienti e dosi per 6 persone

300 gr. di farina, 1 uovo, 100 gr. di burro a temperatura ambiente, 1 dl. di acqua, sale

Preparazione

Disporre la farina a fontana sulla spianatoia. Versare il sale, il burro e l’uovo intero.Impastare, aggiungendo l’acqua poco per volta, fino ad ottenere una pasta consistente. Formare una palla, avvolgere in un foglio di alluminio e lasciare riposare per due ore al fresco, ma non in frigo. Con l’aiuto di un mattarello, stendere la pasta sulla spianatoia infarinata.

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.Formare due dischi, uno più grande dell’altro:con il disco più grande foderare una tortiera imburrata.

Punzecchiare con una forchetta e coprire il fondo con carta da forno; coprire con fagioli secchi o sassolini perchè la pasta non gonfi durante la cottura. Il disco più piccolo servirà da coperchio: foderare con carta da forno una teglia, mettere il disco poi coprirlo con altra carta da forno.

Sopra mettere fagioli secchi o sassolini perchè la pasta non gonfi durante la cottura. Cuocere per 20 minuti circa a 200 gradi. Togliere dal forno. Riempire con pasta o riso e servire caldo su un piatto di portata riscaldato.

contenitore-con-il-coperchioContenitore con il coperchio.

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Ciotola con coperchio fatta di farina