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Egg drop soup “zuppa di gocce d’uovo”, tipica della cucina cinese

La “zuppa di gocce di uova”, nota anche come “zuppa di fiori d’uovo”, è una zuppa cinese di uova sbattute in brodo di pollo. Vengono aggiunti condimenti come pepe nero o bianco, scalogno e tofu tritati finemente.

 Zuppe simili nel mondo
Turin

Turin

Sopa de ajo

Sopa de ajo

Eierflockensuppe

Eierflockensuppe

 

  • In Italia è apprezzata la Stracciatella, versione a base di uova e parmigiano, e la zuppa pavese, costituita da un brodo in cui vengono messe fette di pane raffermo e uova in camicia.
  • In Francia, il Tourin (zuppa all’aglio) è preparato con gli albumi che vengono conditi nella zuppa in modo simile a come viene preparata la tradizionale zuppa a base di uova.
  • In Spagna, la tradizionale Sopa de ajo (zuppa d’aglio) utilizza gli albumi per addensare il brodo in modo simile.
  • In Austria, la Eierflockensuppe o Eierflöckchensuppe è una ricetta semplice e tradizionale generalmente preparata per bambini molto piccoli o malati. Le uova strapazzate vengono mescolate con la farina e poi versate nella zuppa bollente per formare dei piccoli gnocchi all’uovo. A piacere si possono aggiungere spezie.
  • Esiste una ricetta simile nella cucina polacca: Kluski lane (spaghetti versati), con il composto di uova e farina versato direttamente nella zuppa o nell’acqua bollente, quindi filtrato e aggiunto a una zuppa o salsa. Per i bambini, spesso al posto della zuppa viene utilizzato il latte bollente (facoltativo con zucchero).
  • In Russia, la semola viene solitamente bollita nel brodo di pollo prima che le uova vengano sbattute e aromatizzata con scalogno tritato e pepe nero. Semplici gnocchi di pasta all’uovo simili ai vareniki (варе́ники) o agli halušky ucraini (галушка) sono un’aggiunta frequente nelle regioni meridionali.
  • A Cipro e in Grecia l’uovo viene sbattuto e poi mescolato lentamente nella zuppa in modo che non si rapprenda. Limone e riso sono gli ingredienti aggiuntivi oltre al brodo di pollo per preparare l’Avgolemono (αβγολέμονο), originariamente un piatto della cucina ebraica
  • .Negli Stati Uniti la zuppa di uova  è spesso una delle principali zuppe offerte dala cucina cinese americana, ed è anche chiamata zuppa di fiori d’uovo, una traduzione letterale del suo nome cinese, nei menu di alcuni ristoranti. L’amido di mais può essere utilizzato per addensarlo.
  • Nella cucina cinese, le zuppe a base di uova hanno una consistenza più sottile rispetto alle varianti occidentali più comuni. A seconda della regione, possono essere guarniti con ingredienti come tofu, scalogno, germogli di soia e mais.
  • Nella cucina laotiana Mee ka tee è una zuppa di noodle all’uovo laotiana al curry rosso e latte di cocco
Kluski lane

Kluski lane

Avgolemono

Avgolemono

Mee ka tee

Mee ka tee

Wikipedia
 

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Egg drop soup, zuppa tipica della cucina cinese

Ricetta di agrodolce.it

Questa zuppa è composta da uova sbattute, brodo di pollo e amido di mais come addensante: sciogliere una parte dell’amido direttamente nel brodo e una parte nelle uova. Viene guarnita con erba cipollina fresca, ma alcune ricette di famiglia prevedono l’aggiunta di carne o cubetti di tofu, salsa di soia e olio di sesamo.

Ingredienti per 4 persone 
  • Un litro e mezzo di brodo di pollo,
  • 4 uova,
  • 2 cucchiai di amido di mais,
  • sale qb,
  • erba cipollina.

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Preparazione 

Portare il brodo a bollore. Nel frattempo rompete le uova in una ciotola e sbattetele bene con un cucchiaio di amido di mais.

In una ciotola versate un mestolo di brodo caldo e fate sciogliere il restante cucchiaio di amido sbattendo con una forchetta. Aggiungete nuovamente questo brodo in pentola.

Continuate a mescolare e aggiungete le uova sbattute delicatamente. Aggiustate di sale e lasciate cuocere pochi secondi fin quando le uova sono cotte e rapprese in fiocchi.

Lavorate e tritate l’erba cipollina e aggiungetela a fine cottura. Servite caldo senza lasciare riposare eccessivamente.

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La Stracciatella in brodo in alcune ricette della tradizione regionale

Weinschaumsuppe, Minestra allo spumante

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Olive ripiene all’ascolana, la ricetta in dialetto marchigiano

La ricetta in dialetto marchigiano, “Marche in cucina” 1998
(clicca sull’immagine per ingrandire)

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olive ripiene ascolane marche

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Olive verdi di Ascoli, esaltate da una ricca farcia, accompagnate da un Verdicchio ben freddo, sono premessa raffinata ad un pranzo ad impronta marchigiana. Occorrono una sessantina di olive, snocciolate con l’apposito utensile in modo che restino integre. Preparate la farcia. In un misto di olio e burro, rosolate un etto e mezzo di carne di vitello, altrettanto di maiale e 200 gr. di petto di pollo. Terminate la rosolatura con mezzo bicchiere di marsala secco, che lascerete evaporare. Tritate la carne e lavoratela con un cucchiaio di pecorino grattugiato, salame e prosciutto crudo tritati per un peso complessivo di 150 gr., la polpa senza semi di 3 pomodori pelati (o un cucchiaio di salsina), una grattugiatina di tartufo nero, sale, pepe, il tutto amalgamato con 2 tuorli d’uovo. Dovrete ottenere un impasto morbido e compatto. Riempite le olive con la farcia, passatele alla farina, poi al bianco d’uovo battuto ed infine al pangrattato. Friggete in olio bollente e servitele ben calde.

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Olive verdi ascolane del Piceno

Le olive verdi utilizzate per la preparazione delle olive ripiene all’ascolana erano conosciute anche in epoca romana. Della loro qualità scrissero Catone il Censore in De re rustica (vol. 1, Tipografia Pepoliana, 1794, p. 186). VarroneMarziale, Petronio Arbitro che racconta, nel Satyricon, di come fossero sempre presenti sulla tavola di Trimalcione.

Risulta che furono i monaci della Congregazione olivetana, presenti nel Piceno, i primi ad effettuare la concia delle olive in maniera organizzata, a testimonianza di una ormai diffusa attività locale basata sulla preparazione delle olive da tavola. Papa Sisto V le menziona in una lettera di ringraziamento indirizzata agli Anziani di Ascoli. Le prime notizie riguardo alla farcitura dell’oliva tenera ascolana risalgono invece al 1600; all’epoca erano denocciolate e riempite con un misto di erbe (cosiddette “olive giudee”).

Grandi estimatori della specialità furono anche Gioachino Rossini e Giacomo PucciniGiuseppe Garibaldi ebbe modo di assaggiarle, sia in salamoia e sia ripiene, il 25 gennaio 1849, durante il suo breve soggiorno ascolano. Il generale ne rimase colpito e tentò di coltivare a Caprera le piantine avute dal suo fedele amico Candido Augusto Vecchi, ma non riuscì nel suo intento. Wikipedia

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Alivi cunzati (Olive condite) alla siciliana

Olive in salamoia alla maniera di Petronilla sotto calce e cenere

Panini alle olive nere

Olive all’ascolana.jpg [[File:Olive all’ascolana.jpg|Olive_all’ascolana] Di L’utente che ha caricato in origine il file è stato Jeanmi di Wikipedia in francese – Trasferito da fr.wikipedia su Commons da Bloody-libu utilizzando CommonsHelper., CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=20435916
calamari ripieni fritti-Cumi_Asin_1

Caràmai col pien, Calamari ripieni, la ricetta in dialetto veneto

La ricetta in dialetto veneto su carta paglia – “Veneto in bocca” Il Vespro 1976

calamari ripieni fritti veneto

 

Ingredienti

Se i calamari sono grandi ne basta uno a testa

  • 8 calamari,
  • 100 gr, di prosciutto magro,
  • 2 spicchi d’aglio,
  • 6 cucchiai di pangrattato,
  • 100 mg. di vino bianco secco,
  • 2 uova,
  • prezzemolo,
  • olio di oliva extra vergine,
  • sale e pepe.
Preparazione

Pulite i calamari eliminando le interiora, gli occhi, il becco. Occorre lavarli e stralavarli bene dentro e fuori sotto acqua corrente.
Poi tagliate la testa e anche i tentacoli che vanno tritati assieme a aglio, un po’ di prezzemolo. Metteteli in padella a rosolare con olio. Aggiungete il prosciutto tritato e il pangrattato. Versate il vino bianco secco e fatelo evaporare. Portate a cottura. Togliete l’aglio e trasferite il resto in una ciotola e fate raffreddare. Poi aggiungete al composto le uova, un trito di prezzemolo, il pangrattato, sale e pepe. Amalgamate bene. Riempite i calamari con il composto ottenuto. Chiudete i calamari con uno stuzzicadenti.
Mettete un padella e friggete in olio caldissimo e abbondante per circa 10 minuti. Raccogliete i calamari e fateli sgocciolare. Adagiateli nel piatto di portata e cospargete con il prezzemolo tritato.

Vino

Vini bianchi giovani di medio corpo, piacevolmente rinfrescanti, come Vermentino, Ribolla gialla, Falanghina, Passerina, Greco di Tufo, Cirò DOC bianco; Colli Berici Bianco frizzante DOC bianco.

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Cumi Asin 1.jpg [[File:Cumi Asin 1.jpg|Cumi_Asin_1]  Calamares rellenos.jpg [[File:Calamares rellenos.jpg|Calamares_rellenos]]
polenta concia 2

Polenta conscia, la ricetta in dialetto milanese

Ricetta in dialetto. “Milano in bocca” 1978

Si prepara con la polenta fredda tagliata a fette che si fanno rosolare in abbondante burro (gr. 200) insieme a qualche spicchio di aglio, prima di servire molto calda.  Poi si copre con latte e parmigiano grattugiato. Si lascia sobbollire per dieci minuti.

La polenta conscia, anche detta polenta concia, polenta uncia, polenta unscia, polenta cunsa,  polenta cuncia, polenta vonscia e polenta pasticciata è un piatto tradizionale di varie aree del Nord Italia fra cui il Piemonte (Valsesia e provincia di Biella), la Lombardia (zona lariana del comasco e del lecchese) e la Valle d’Aosta. La polenta concia si prepara utilizzando la farina di mais a cui vengono aggiunti formaggi a piacere come, ad esempio, burro, fontina e toma, che rendono spesso l’alimento più liquido.
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Durante il Rinascimento, la polenta fritta veniva a volte servita con formaggi teneri, come il gorgonzola, ed era considerato un apprezzato piatto di portata. Secondo una leggenda, la polenta concia si sarebbe diffusa in Piemonte durante il XIV secolo con Facino Cane (1360 -1412),, che pretendeva gli venisse sempre servita ovunque andasse. Di conseguenza, molti cuochi furono costretti a imparare la ricetta. Un tempo, la polenta concia veniva consumata tutti i giorni dai valligiani del Nord Italia, che rendevano più grasso l’alimento con l’aggiunta del formaggio per affrontare le dure condizioni climatiche e di lavoro.
Polenta uncia (cioè “unta” nel dialetto di Como), ottenuta mischiando la polenta con burro e formaggio, servita al rifugio del Monte Palanzone “Rifugio Riella” (nella provincia di Como).
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La sola, la tradizionale, l’antichissima Polenta! Bianca, Taragna, Gialla

Di Mænsard vokser – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=44925172

insalata di trippa fagioli

Salada ‘d tripa e faseuj, insalata di trippa e fagioli

Ricetta in dialetto. “Piemonte in bocca” 1978

Insalata di trippa e fagioli
(Antica ricetta della «Confraternita dla Tripa» di Moncalieri. Sessione della Famija Moncalereisa)

Per 4 persone fate cuocere 300 gr. di trippa e tagliatela a striscioline sottili e non troppo lunghe. Mettetela in una insalatiera con 100 gr. di fagioli bianchi di Spagna ben lessati. Condite con olio, limone, sale, pepe e una manciata di prezzemolo tritato. Mescolate con cura e servite a tavola.

In Piemonte esistono varianti del piatto, come “cipolla e fagioli” oppure il salame di trippa di Moncalieri con fagioli:

  • La trippa di Moncalieri trae forse le sue origini dalle usanze galliche tra le quali vi era quella di preparare salsicce insaccando varie parti di stomaci animali. L’innovazione introdotta a Moncalieri fin dal Medioevo fu quella di comprimere la trippa in modo da ottenere un insaccato decisamente più consistente di una salsiccia ed assimilabile ad un salame. La documentazione storica pervenuta attesta come la produzione della trippa di Moncalieri fosse già nota nel 1400. La città di Moncalieri era sede di un importante foro boario nei pressi del quale venivano macellate grandi quantità di animali ed era quindi un luogo di elezione per la lavorazione e la trasformazione di carni e frattaglie.

Trippa_di_moncalieri

Di F Ceragioli – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=25080340
friarielli broccoli di natale

Antipasto natalizio, broccoli friarielli di Natale. La ricetta in dialetto napoletano

Trota al forno con aneto, friarielli (broccoli) e patate al forno.

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Ricetta in dialetto napoletano. “Napoli in bocca” 1976

antipasto natalizio friarielli

Traduzione

Per 6 persone
Mentre Pasqua si festeggia con le uova a Natale si festeggia con i broccoli. Prendete 1 kg. di broccoli, puliteli, lavateli e metteteli a bollire. A metà cottura levateli dal fuoco e fateli scolare. Soffriggete in padella 5 o 6 spicchi d’aglio, olio, e alici salate a pezzettini. Quando l’aglio è rosolato aggiungete i broccoli, salateli, non fate mancare un pizzico di pepe e fateli insaporire. A cottura ultimata toglieteli dal fuoco e mangiateli con buona salute.

I friarielli (chiamati anche broccoli di rapa nel Cilento ed in Calabria, una varietà della famiglia di cui fanno parte le cime di rapa in Puglia, rapini (o rapi) in Toscana o pulezze) vengono generalmente preparati soffritti in olio d’oliva con aglio, sale e poco peperoncino rosso piccante.  Non vanno confusi con i friarelli, peperoni nani verdi dolci (conosciuti anche come “friggitelli” nel Lazio), i quali vengono anch’essi consumati fritti.

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Di Roedelius – [1], CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1917420Di Roedelius – [1], CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1917420
pizza cozze

Pizza con le cozze, pizza cu ‘e cozzeche’, la ricetta in dialetto napoletano

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Ricetta in dialetto napoletano. “Napoli in bocca” 1976
pizza cozze
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Traduzione
Per ogni pizza 50 gr. di pomodori pelati e tagliati a pezzi, sale, olio e origano¹. A parte fate aprire, in un tegame con uno spicchio di aglio e un po’ d’olio, 200 gr. di cozze ben lavate, togliete il frutto (la parte edibile) e mettetelo sulla pizza già cotta.
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¹origano: solo a Napoli l’ origano si chiama arecheta

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Come fare l’Impasto per la pizza 

  • 500 gr. di Farina,
  • 15 gr. di Lievito di birra,
  • Olio extravergine d’oliva,
  • ½ cucchiaino di Sale.
 Preparazione:

Scaldate 250 ml d’acqua e scioglieteci il lievito. Versate in una ciotola. Aggiungete 1 pizzico di sale. Versate la farina, aggiungete 2 cucchiai d’olio e impastate fino ad ottenere un composto omogeneo. Coprite con un panno e lasciate lievitare per almeno 2 ore. Stendete la pasta col matterello sul piano di lavoro infarinato. Farcite. Cuocete in forno ben caldo per circa ½ ora a 200 gradi.

pizza cozze

La preparazione di base delle pizze è sempre identica, ciò che cambia è solo la farcitura, in cui la fantasia può davvero sbizzarrirsi. Se non avete voglia o tempo per prepararle da voi, potete utilizzare i prodotti già pronti anche surgelati.

Calzone al forno, la ricetta in dialetto napoletano

Piatto della tradizione italiana per eccellenza: la pizza margherita

Piatto della tradizione italiana per eccellenza: la pizza margherita
Seaside pizza (2262061782).jpg [[File:Seaside pizza (2262061782).jpg|Seaside_pizza_(2262061782)]] Pizza Frutti di Mare at Pizza Pronto.jpg [[File:Pizza Frutti di Mare at Pizza Pronto.jpg|Pizza_Frutti_di_Mare_at_Pizza_Pronto]] Di Sconosciuto – Pizze alla napoletana. In: Il Bersagliere. Vol. VI, No. 170, Rome: 1880 (Scan)., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=106811209
Puttanesca vermicelli cavalcanti

Timpano di Vermicelli di magro e vermicelli con pomidoro. Ricette di Ippolito Cavalcanti, cuoco, 1837

ippolito cavalcanti

Ippolito Cavalcanti duca di Buonvicino (Afragola, 2 settembre 1787 – Napoli, 5 marzo 1859) è stato un cuoco e letterato italiano.
Il suo trattato Cucina teorico-praticapubblicato per la prima volta a Napoli nel 1837 alla quale aggiunge, nella seconda edizione del 1839, l’appendice Cusina casarinola co la lengua napolitana, presenta numerose ricette dell’epoca, provenienti dalle diverse classi sociali. Il libro ebbe, dal 1837 al 1865 nove edizioni, abbastanza diverse fra di loro in quanto venivano continuamente ampliate dall’autore. La Cucina teorico-pratica è un compendio di cucina tradizionale napoletana, alcune delle ricette sono di ispirazione francese, in quanto la cucina d’Oltralpe era all’epoca molto presente sulle mense dell’aristocrazia o dell’alta borghesia, l’appendice ci riporta invece alla cucina casaereccia in uso all’epoca presso il popolo.
Il trattato ed il compendio in lingua napolitana, rivestono una notevole importanza anche dal punto di vista storico, poiché in essi vengono descritte alcune delle ricette più diffuse nella moderna cucina italiana. Vi si trova, ad esempio, la prima descrizione di una pasta (vermicelli) condita con il pomodoro. Molte altre sono le ricette presenti in queste opere, ed in alcune di esse sono chiaramente riconoscibili i tratti di quella che è la moderna cucina napoletana. Wikipedia

“Aulive ‘e chiapparielli” (olive e capperi)

La ricetta mi ricorda quella della Pasta alla puttanesca. Si preparava con un sugo composto da ingredienti quasi sempre presenti in tutte le cucine napoletane e tenuti a portata di mano, senza bisogno di perder tempo per acquistarli; così le donne, che preparavano questo veloce e gustoso sugo, potevano impiegare il tempo risparmiato in attività… più allegre!!!

Cucina teorico-praticacol corrispondente riposto ed apparecchio di pranziIppolito Cavalcanti, duca di Buonvicino.

Capitolo V. – §. III, Dei diversi Timpani¹, e Sartù

Timpano di vermicelli di magro senza pasta.

«Prendi rotoli due di vermicelli², che lesserai, ma che sieno pronti; frattanto terrai apparecchiato tre misurelli d’oglio finissimo, che farai soffriggere con una decina d’alici salse ben pulite, e spinate, e le farai consumare nell’oglio, cotti che saranno i vermicelli, li sgocciolerai benissimo, versandoli in una casseruola grande, anzi se fusse un tegame sarebbe meglio, e sopra ci porrai quell’oglio li rivolterai più volte con del sale, del pepe, e per chi piace ci stà bene ancora un trito di petrosemolo, facendo restare a color di foco il tegame anzidetto, con darci una rivoltata da tanto, in tanto, perchè così li vermicelli s’asciugano, e diventano sciolti, poscia prenderai una casseruola, che ti sembra proporzionata, che ci vadino tutti bene incassati, ci farai una verniciata di strutto e poi una ingranita di pan gratto tal quale come per Sartù di riso, dipoi ci porrai pochi vermicelli, che accomoderai, facendoci un suolo di capperi, olive, alici salse, ci potrai mettere ancora de’ piccoli fonghi, ma cotti; del pesce, ben pulito, e spinato ec., e quindi un altro suolo di vermicelli, e così continuerai; sulla superficie de’ vermicelli ci farai un’altra verniciata di sugna, che parimenti ingranirai con pan gratto, e lo farai cuocere come il Sartù.»

  • ¹Timpano o Timballo: piatto tipico della cucina del Meridione d’Italia che si presenta come una torta
  • ²Con il termine vermicelli si intende in Italia un formato di pasta secca di grano duro, lunga a sezione rotonda con diametro più grande degli spaghetti; viene usato anche diversamente ed è stato adottato in varie lingue, anche se talvolta in queste ultime sta ad indicare preparazioni diverse per forma e composizione. Il termine vermicelli è già presente in alcuni testi ebraici risalenti al secolo XI (vermishelsh) che pare dunque riconducibile ad una origine italiana per il suo significato implicito. Compare successivamente nel Liber de Coquina come uermiculi, ricettario compilato da un ignoto autore di area napoletana tra il XIII ed il XIV secolo.

cavalcanti vermicelli

Timpano di vermicelli con pomidoro cotti crudi.

«Per ogni quarto di vermicelli ci va un rotolo di pomidoro, però debbono essere di quelle tonde e non molto grandi. Prendi la casseruola proporzionata pel numero di coperti, che dovrai servire, farai in essa una verniciata di sugna, dipoi dividerai per mettà li pomidoro, e li porrai nel fondo della casseruola, con la parte umida al disotto, e la pelle al disopra, e sopra di esse ci porrai un altro filo di pomidoro anche divise per mettà, con la differenza, che la parte umida delle seconde resterà alla parte di sopra, e così sarà coverto tutto il fondo della casseruola; ci porrai del sale, del pepe, e sopra di esse adatterai li vermicelli crudi, spezzandoli siccome è la larghezza della casseruola, e ne coprirai li pomidoro; sopra i vermicelli porrai gli altri pomidoro divisi sempre per mettà, che spruzzerai di sale, pepe, e sopra di esse situerai gli altri vermicelli di contraria posizione degli antecedenti, e così praticherai finchè si sarà riempita la casseruola; l’ ultimo suolo delli pomidoro le situerai, con la pelle alla parte di sopra, e per ultimo ci porrai il condimento; sia oglio, sia strutto, sia butiro, sarà sempre pria liquefatto, e quindi lo verserai nella casseruola, che farai cuocere come al timpano. Debbo prevenirti ancora, che se ti piace farlo di magro ci farai de’ tramezzi di alici salse, ed allora ci porrai l’oglio; se vorresti condirlo con butiro, o strutto, potrai farci de’ tramezzi di fettoline di mozzarella; par, che mi sia bastantemente spiegato per questa inetta operazione, e laddove non giunga la mia insinuante spiegazione, supplirà la tua perspicacia.»

Pasta alla puttanesca o Pasta alla bonne femme?

https://ierioggiincucina.myblog.it/2015/05/04/sartu-o-sortu-di-riso-le-ricette-del-corrado-1793-e-del-cavalcanti-1837/
Putanesca – Flickr – wickenden.jpg [[File:Putanesca – Flickr – wickenden.jpg|Putanesca_
apicio Dulcia domestica (Dolci fatti in casa con datteri ripieni)

Dulcia domestica, dolci fatti in casa: Datteri ripieni – Apicius, De Re Coquinaria

Dulcia domestica (Dolci fatti in casa con datteri ripieni) by  C. Raddato from FRANKFURT, Germany

Marcus Gavius Apiciius – De re Coquinaria 230 p.Chr.n.

Liber VII – Polyteles Uolatilia

11. XI. DVLCIA DOMESTICA ET MELCAE

Ingredienti:

  • 200 g di datteri freschi (si possono usare quelli secchi)
  • 50 g di pinoli macinati grossolanamente
  • 1 cucchiaio di liquamen
  • pepe nero macinato fresco
  • 100 ml di Mulsum (vino speziato al miele)
  • 2 cucchiai di miele

Preparazione

Snocciolate con cura i datteri e riempiteli con i pinoli [se volete aggiungete pepe nero alle nocciole prima di usarle come ripieno]. Disporli con cura in una casseruola e aggiungere il Liquamen, il vino rosso e il miele.

Portare delicatamente a ebollizione e poi ridurre la fiamma a fuoco lento.

Cuocere delicatamente fino a quando la buccia superficiale dei datteri inizia a staccarsi (dovrebbero volerci circa 5-10 minuti).

Disporre i datteri in un piatto e irrorarli con un po’ di salsa al vino.

File:Dulcia domestica (stuffed dates) (14784461867).jpg

Garum o Liquamen, salsa milleusi dell’antica Roma, anche in versione moderna

Apicio: Ricetta del MULSUM con volgarizzamento e note del 1852.

Dulcia domestica (stuffed dates) (14784461867).jpg [[File:Dulcia domestica (stuffed dates) (14784461867).jpg|Dulcia_domestica_(stuffed_dates)_(14784461867)]] Mulsum and Conditum Paradoxum (23823106286).jpg [[File:Mulsum and Conditum Paradoxum (23823106286).jpg|Mulsum_and_Conditum_Paradoxum_(23823106286)]]
baldino castagnaccio

Il Baldino toscano, un dolce medievale ricco di storia

castagnaccio baldino.ortensio lando

Nel Medioevo la specie arborea più utile era il castagno. i suoi frutti, le castagne, erano un cibo insostituibile per le popolazioni alpine ed appenniniche. Le castagne venivano consumate fresche o secche, crude o cotte, bollite e arrostite. Venivano anche ridotte in farina nei molini, per preparare pietanze, focacce, dolciumi come il baldino (castagnaccio).

Poiché la castagna, elemento principe del castagnaccio, è molto diffusa in regioni quali il Veneto, il Piemonte, la Lombardia e la Toscana, è un po’ difficile stabilire quale sia veramente la patria del castagnaccio anche perché ogni regione ne propone una sua versione. Nel corso del tempo, però, il castagnaccio è diventato sempre più un dolce tipico Toscano anche per la sua storia legata strettamente a questa regione e in particolar modo alla citta di Siena. Il castagnaccio nasce inizialmente, come la maggior parte delle ricette tradizionali, come pietanza per i poveri contadini ottenuta appunto dalla castagna, molto diffusa nelle campagne.
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Certo è che questo dolce affondi le sue origini in un passato davvero remoto: basti pensare che già nel ‘500 era molto conosciuto e apprezzato tanto che un padre agostiniano lo cita in un suo scritto. In ogni caso, sembra che l’ideatore del castagnaccio sia stato proprio il toscano Pilade da Lucca che viene citato nel «Catalogo dell’inventori delle cose, che si mangiano, et delle bevande c’hoggidi s’usano» p. 68, pubblicato in appendice ad Ortensio Lando, Commentario delle più notabili et mostruose cose d’Italia, et altri luoghi, Venezia nel 1553-1547.

«Pillade da Lucca: fu il primo che mangiasse castagnazzi, et minestra di semola, et di questo ne riportò loda» .

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baldino castagnaccio medioevo

Fu però a partire dall’800 che i toscani esportarono il castagnaccio nel resto d’Italia e fu sempre nell’800 che venne arricchito con uvetta, pinoli e rosmarino.

Il Baldino è conosciuto come castagnaccio (o anche castignà, migliaccio, ghirighio, patòna, torta di neccio, bòle), è una torta preparata con farina di castagne.

La ricetta di storica

di Chef Marco Silvestri, Taccuinigastrosofici.it
Ingredienti per 4 persone
  • 300 gr. di farina di castagne,
  • 380 gr. di acqua fredda,
  • 4 cucchiai di zucchero,
  • 2 cucchiai di olio toscano extravergine d’oliva,
  • 40 gr. di uvetta,
  • 40 gr. di pinoli,
  • 40 gr. di gherigli di noce,
  • 2 rametti di rosmarino,
  • un pizzico di sale.
Preparazione
  1. Iniziate la preparazione del castagnaccio mettendo a bagno l’uvetta in acqua fredda e tostando i pinoli in n padellino antiaderente.
  2. In una ciotola setacciate la farina di castagne e unite il pizzico di sale, lo zucchero, i 2 cucchiai di olio evo e l’acqua. L’acqua va aggiunta a filo, poco alla volta, continuando a mescolare con una frusta per evitare la formazione di grumi. Dovrete ottenere un composto fluido ma non eccessivamente liquido.
  3. Unitevi la metà dell’uvetta strizzata, dei pinoli e delle noci. Mescolate bene.
  4. Ungete con olio, una teglia rotonda di 26 cm. di diametro, versatevi il composto e guarnite la superficie con le noci, i pinoli e l’uvetta rimasti e gli aghetti di rosmarino.
  5. Terminate con un filo d’olio e passate a cuocere in forno preriscaldato a 180 gradi per 45 minuti, fino a quando sulla superficie si saranno formate delle piccole crepe.
  6. Sfornate il castagnaccio e lasciatelo raffreddare prima di servirlo.
 Consigli dello chef

Una volta che avete mescolato la farina con l’acqua lasciate riposare il composto per 40 minuti prima di procedere alla cottura. Distribuite la frutta secca sul castagnaccio e versate un’abbondante filo d’olio prima di mettere il dolce in forno.
Se il tempo stringe utilizzate lo stesso composto per fare delle frittelle da cuocere in olio bollente: in 5 minuti sono fritte, poi rigirate nello zucchero semolato. Sono pronte per essere servite.

Castagnaccio mangiari ricchi e poveri

Mangiari dei ricchi e dei poveri di inizio ‘900: Il castagnaccio alla romagnola

Castagnaccio alla maniera di Petronilla

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castagnaccio- migliaccio

Mangiari dei ricchi e dei poveri di inizio ‘900: Il castagnaccio alla romagnola

Il castagnaccio, localmente conosciuto anche come gnaccia, castignà, pattona, migliaccio, ghirighio, patòna, bòle, o torta di neccio) è una torta di farina di castagne originaria della Toscana, ormai tipica anche delle zone appenniniche di Umbria, Piemonte, Liguria, Lazio, Emilia e Romagna e alpine o di pianura (Veneto, Lombardia, Campania). Inoltre, viene preparato nell’isola di Corsica.
Cucinario di una vecchia famiglia nobiliare dei primi del 900”: Menù per festività e ricorrenze con oltre 350 ricette raccolti in un cucinario di una vecchia famiglia nobiliare romagnola che il rampollo Giovanni Manzoni ha svelato in questo libro ricco di suggerimenti e leccornie. Tra le ricette più selezionate ben otto modi di fare i cappelletti romagnoli ed altrettanti per i tortellini bolognesi con tanto di brodo doc per palati fini. Da citare la polenta alla Manzoni che riporta gli antichi sapori nostrani, poi per sbizzarrirsi si può provare a cucinare altre ricette che si adattano a qualsiasi piatto ed accostamento di cibi. Lugo di Romagna 1985.

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Castagnaccio dei poveri

Farina di castagne g. 1000
Fare una pasta molle con acqua, farina di castagne, un cucchiaio di grasso, un pizzico di sale e cuocere il tutto in una “ruola” molto unta.

Castagnaccio dei ricchi

Fare una pasta molle con latte, farina di castagne gr. 1000, frutta tagliata a pezzettini, fichi secchi ben tritati, uva passa, cioccolato tritato, pinoli, due cucchiai di olio, venti di zucchero, un pizzico di sale.
Fatto l’impasto riporlo in una “ruola” molto unta con olio e Alkermes e spolverizzata da gherigli di noci e nocciole finissimamente pestati.

Il Baldino toscano, un dolce medievale ricco di storia

Castagnaccio alla maniera di Petronilla

Liquore Alkermes, liquore per dolci, ricetta del 1853

Mangiari di QUARESIMA dei RICCHI e dei POVERI nelle terre del ravennate di inizio Novecento

Di burde – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=42876575
spallicci la pie santa caterina

La Fiera di Santa Caterina in Romagna, articolo di Aldo Spallicci del 1922

giornalistoricicesena.it

LA PIÊ
Rassegna mensile di illustrazione romagnola 1922 – Anno III

Aldo Spallicci

LA FIERA DI SANTA CATERINA

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spallicci piè santa caterinaaldo spallicci s. caterinaspallicci la pie santa caterina (2)

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«Nella parte più antica e più remota di Forlì, sul largo prospiciente alla chiesa di San Biagio, al 25 d’ogni novembre, si festeggia Santa Caterina. È la fiera delle spose che precede di diciotto giorni Santa Lucia: la fiera delle ragazze. (…)

Par Santa Catarena                                    (Per Santa Caterina,
o che piöve o che neva o che brena         o piove o nevica o c’è brina
o che tira la curena,                                     o tira la corina (vento sciroccale)
o ch’u jè la paciarena.                                 o c’è fanghiglia)

(…) Le lampade a petrolio, le candele, e gli sfacciati beccucci dell’acetilene danno il tono della gaiezza alle banchette.

C’è  il torrone, la ghiotta fiera da portare in dono alle maritate; c’è il vischioso dolciume, racchiuso nel pacchetto dorato di figurine, così docile a sgrigliolare sotto i denti dei ragazzi! E c’è uno stormo di galletti e di pagliacci e di somarelli che dondolano dal festone assicurato ai pali della tenda.

Il richiamo del donnone accanto alla banchetta non dà tregua: völ  e’ turon? (vuole il torrone?) völ e’ galadin? (vuole il gallettino?)

All’invito galeotto si sgranano gli occhi infantili ed i galletti col fischio sulla coda fanno un chichiriare da fare impallidire tutte le aurore passate e venture.

Non è veduto più quest’anno, accanto alle bambole-signorine, la proletaria Caterina, la bambola di straccio costruita sul manichino di un pezzo di canna (…) La bambola da due soldi che aveva raggiunto il costo vertiginoso di una Lira coi sopraprezzi di guerra.

(…) Era tutto il corredo della banchetta d’un tempo: le catarene, le campane, i cucchi, i torroni di mandorla tra un’abbondante cornice di bracciatelli (ciambelle di biscotto a tortiglione, colorate a macchie rosse e pruriginose di zucchero). Ora c’è gran dovizia di ninnoli di latta, di pupattole di carta pesta, di caramelle a fagottino tricolore (…) Corre sulle bocche delle mamme l’allegra canzoncina:

Par Santa Caterena                                    (Per Santa Caterina
E gal e la galena                                          il gallo e la gallina,
La bela bambuzzena                                  la bella bamboccina,
Turon d’amandola                                       il torrone di mandorle.
Pianzì burdell                                               Piangete bimbi,
S’a vlì di brazzadell!                                    se volete dei bracciatelli!)

Spaldo »

Aldo Spallicci (1886-1973) è stato un medico, poeta e politico, nonché cultore e promotore dell’identità e delle tradizioni popolari della Romagna. La sua opera d’esordio è una raccolta di sonetti in forlivese (Rumâgna, 1908). I suoi temi sono la campagna, gli animali e la vita dei contadini. La sua seconda silloge poetica è I campiùn d’Furlè (1910). Il suo interesse deriva dal desiderio di «rimettere in onore le tradizioni spente o vicine a spegnersi»

Nel 1920, diede vita a una nuova rivista d’illustrazione romagnola. Il primo numero uscì nel gennaio 1920. Il nome fu preso dalla piada romagnola (la piê), fatta d’acqua, sale e farina e cotta sul testo. «Niente dice più “Romagna” di questo pane nostro» affermò lo stesso Aldo Spallicci.

I dolci romagnoli per Santa Caterina

«Caterine e galletti» per la Festa di Santa Caterina a Ravenna

Brazadèl (bracciatelli) romagnoli, la ricetta da “Cucinario di una vecchia famiglia nobiliare” dei primi del 900

Torrone alle mandorle e miele fatto in casa

Menù per l’EPIFANIA delle famiglie nobiliari ravennati di inizio ‘900 (Romagna)

biscotti caterine galletti

«Caterine e galletti» per la Festa di Santa Caterina a Ravenna

La tradizione dei “Galletti” e delle “Caterine” rivive ogni anno a Ravenna il 25 novembre: si tratta dei tradizionali biscotti di pasta frolla, ricoperta di cioccolato fondente e confettini colorati, a forma di bambola (bambuzzena) o anche di gallo o gallina (coch o gal e galena). Vengono preparati per le bambine e i bambini, in occasione della festa di Santa Caterina.

Anche a Forlì, Il 25 d’ogni novembre, si celebra Santa Caterina d’Alessandria con la tradizionale Fiera: per tutta la giornata, nel piazzale davanti alla Chiesa di San Biagio, su colorate bancarelle si possono trovare torroni (che i mariti regalano alle loro spose), dolciumi e caramelle,  È la fiera delle spose che precede di diciotto giorni Santa Lucia: la fiera delle ragazze.

Aldo Spallicci – LA PIÊ, rassegna mensile di illustrazione romagnola 1922 – Anno III (pdf)
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Per Santa Catarena                                      Per Santa Caterina,
o che piöve o che neva o che brena          o piove o nevica o c’è brina
o che tira la curena,                                      o tira la corina (vento sciroccale)
o ch’u jè la paciarena.                                  o c’è fanghiglia
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«(…) Il 25 d’ogni novembre, si festeggia Santa Caterina. È la fiera delle spose che precede di diciotto giorni Santa Lucia: la fiera delle ragazze.
 (…) Era tutto il corredo della banchetta d’un tempo: le catarene, le campane, i cucchi, i torroni di mandorla tra un’abbondante cornice di bracciatelli (ciambelle di biscotto a tortiglione, colorate a macchie rosse e pruriginose di zucchero). Ora c’è gran dovizia di ninnoli di latta, di pupattole di carta pesta, di caramelle a fagottino tricolore (…)
Corre sulle bocche delle mamme l’allegra canzoncina:
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Par Santa Caterena                                      Per Santa Caterina
E gal e la galena                                           il gallo e la gallina,
La bela bambuzzena                                   la bella bamboccina,
Turon d’amandola                                        il torrone di mandorle.
Pianzì burdell                                                Piangete bimbi,
S’a vlì di brazzadell!                                     se volete dei bracciatelli!
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Spaldo
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La romantica leggenda sulla nascita dei biscotti ravennati, la trovi qui

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caterine biscotti ravenna

La ricetta dei tradizionali biscotti per Santa Caterina: Caterine e Galletti
di Valentina Orlandi per Ravenna24ore.it

Ingredienti

  • 500 gr. di farina bianca,
  • 100 gr.. di burro fuso,
  • 200 gr. di zucchero,
  • 2 uova intere,
  • 1 bustina di lievito per dolci,
  • scorza di limone grattugiata,
  • perline colorate.

Procedimento

Lavorare bene lo zucchero con le uova, aggiungere il burro fuso e la scorza di limone grattugiata e mescolare. In seguito unire la farina e il lievito setacciati e amalgamare il tutto fino ad ottenere un impasto liscio e omogeneo. Far riposare coperto in frigorifero per circa 20 minuti. Scaldare il forno a 180°C e intanto stendere l’impasto col matterello ad uno spessore di circa 1 cm.

Ricavare con le formine (o con un coltello a mano libera) le figure desiderate, porle in una teglia coperta con carta da forno e far cuocere fino a doratura (circa 12 minuti). Far raffreddare su una gratella.

Per la decorazione preparare la glassa al cioccolato e versare gli zuccherini colorati sui biscotti.

caterine spallicci Christmas-cookies

Come preparare il cioccolato per glassare torte e biscotti

Glassa reale per decorare torte e biscotti

La Fiera di Santa Caterina in Romagna, articolo di Aldo Spallicci del 1922

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glassa cioccolato biscotti torte

Come preparare il cioccolato per glassare torte e biscotti

Glassa o ghiaccia:
rivestimento usato per dolci (torte e pasticcini) che si fa, secondo i casi, con cioccolato e altri ingredienti, oppure con zucchero a velo misto con acqua o albume sbattuto, che a volte viene colorato e/o profumato.

Glassare:
cuocere o finire di cuocere un alimento in modo che, a fine cottura risulti rivestito di una sottile pellicola lucente. L’effetto si può ottenere, per esempio, cuocendo una verdura con poca acqua, burro e poco zucchero, o bagnando un alimento con il suo sugo mentre cuoce in forno, o, ancora, passando in forno una preparazione rivestita di qualche speciale salsa.

Glassare un dolce significa coprirlo con una glassa: se è una torta, versate la glassa e spalmatela in modo uniforme.

Il Grande libro della cucina d’oggi 1982 – Selezione dal Reader’s Digest
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File:Glasur für Schokoladenkuchen (4353108719).jpg

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Ingredienti per la glassa

  • 100 gr. di cioccolato fondente,
  • 100 gr. di zucchero a velo,
  • 125 gr. di panna (facoltativo).
 COME PREPARARE IL CIOCCOLATO PER GLASSARE

Mettete il cioccolato spezzettato in una pirofila posta sopra una casseruola con acqua bollente. Coprite il recipiente in modo che il calore si diffonda e si mantenga bene tra le sue pareti. Di tanto in tanto date una mescolata, finché il cioccolato sarà fuso (occorreranno 15-20 minuti). Poi levate definitivamente il coperchio e continuate a mescolare fino ad ottenere una crema morbida e omogenea.
Il cioccolato sarà pronto per glassare a una temperatura di 35-40°.

 Come far fondere il cioccolato

Per far sciogliere il cioccolato con buoni risultati mettete il prodotto spezzettato nella parte superiore di un recipiente per la cottura a vapore oppure in una pirofila che possa essere agevolmente appoggiata sopra una casseruola. Riempite parzialmente d’acqua il contenitore sottostante facendo ben attenzione che il liquido non tocchi mai, soprattutto in fase di ebollizione, il recipiente posto sopra, altrimenti il cioccolato si surriscalda e indurisce. Portare l’acqua a bollore, poi levare tutto dal fuoco e lasciare il recipiente contenente il cioccolato sopra all’altro, con un cucchiaio mescolate in continuazione finche il cioccolato sarà diventato morbido.

Cucinare benissimo, Tutto cioccolato – Edigamma 1986

Glassa reale per decorare torte e biscotti

Torta di menta e cioccolato

Castagne ricoperte di cioccolato

Fragole ricoperte di cioccolato

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Apicio Ricetta del MULSUM

Apicio: Ricetta del MULSUM con volgarizzamento e note del 1852.

Mulsum, Liquamenn e Dulcia domestica  by  C. Raddato from FRANKFURT, Germany

Un vino servito a chi viaggia sulla strada. Il pepe tritato viene messo in un recipiente con miele e vino, e solo tanto  quanto deve essere bevuto. A seconda dei gusti, più miele o più vino. L’uso del miele per dolcificare il vino era tipico dei romani, i quali, tra l’altro, addolcivano quasi ogni salsa con il miele.

Il Mulsum era una bevanda molto apprezzata dai Greci e dai Romani. Si riteneva che stimolasse l’appetito, aiutasse la digestione e prolungasse la vita.

Secondo Plinio, alla domanda su come fosse arrivato alla vecchiaia Romilio Pollione, che aveva più di cent’anni, rispose: “Con mulsum dentro, con olio fuori”.

Il mulsum veniva solitamente servito prima del pasto. Il servizio degli antipasti veniva quindi chiamato anche “promulsis”.

Marcus Gavius Apiciius De re coquinaria Liber I –  Epimeles I.

II CONDITUM MELIZOMUM VIATORIUM

Conditum melizomum perpetuum, quod subministratur per viam peregrinanti: piper tritum cum melle despumato in cupellam mittis conditi loco, et ad momentum quantum sit bibendum, tantum aut mellis proferas aut vinum misceas sed, si vas erit, nonnihil vini melizomo mittas, adiciendum propter mellis exitum solutiorem.

 

C. APICIO, delle vivande e condimenti ovvero DELL’ARTE DELLA CUCINA di Giambattista Baseggio- 1852- Volgarizzamento

1.2. Condito  di  sciroppo di mele¹ per chi viaggia

Questo sì condito che si conserva, e si porge per istrada ai viaggiatori. In luogo del condito precedente, per questo farai così. Metti in una scodella pepe tritato con mele a cui sia tolta la schiuma, e nel momento in che si voglia berne, quanto ne sia bisogno, altrettanto aggiungi di mele o di vino. Ȳ però bene mescolare un po’ di vino al mele perchè scorra meglio.

Note del 1852:
¹Miele. Cosi volto il Melizomum, che letteralmente si dovrebbe tradurre brodo di miele, perchè mi sembra che meglio convenga.
²Il Lister al vocabolo suaserit fa l’ annotazione seguente: “Piperatum tamen ex melle sic despumato per se melius conservatur, quam cum crudo vino commissum”; ma tutto questo perchè? L ’ autore dice, che il vino si aggiunga allorché si voglia bere del condito. E che ci ha a far qui la conservazione ? Vanità delle vanità.

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Der römer shop  Foto by Carole Raddato

Se vuoi prepararlo, ecco la ricetta con dosi

Ingredienti

  • 125g di miele
  • 5 grani un cucchiaio di pepe macinato
  • 1 litri di vino bianco (o rosso)

Preparazione
Macinare finemente i grani di pepe. Scaldare leggermente il miele e aggiungetelo al vino e mescolare il pepe. Raffreddare prima di servire.

Dulcia domestica (Dolci fatti in casa con datteri ripieni) by  C. Raddato from FRANKFURT, Germany

apicio Dulcia domestica (Dolci fatti in casa con datteri ripieni)

Dulcia domestica, ricette per dolci fatti in casa – Apicius, De Re Coquinaria

Apicio: Ricetta del CONDITUM PARADOXUM con volgarizzamento del 1852.

La ricetta dell’ Ippocrasso, il vino speziato del Medioevo

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Ricetta del Conditum Paradoxum (vino speziato) per i giorni nostri che si avvicina all’originale

Der römer shop  Foto by Carole Raddato

Il Conditum era molto apprezzato dagli antichi romani. Nell’antica Roma non era comune bere il vino puro e veniva  diluito con acqua. Puoi aggiungere acqua a questa ricetta per smorzare il gusto di questo vino estremamente dolce.

Ingredienti
  • 1 bottiglia di vino bianco (750 ml)
  • 1 tazza di miele  
  • 1 cucchiaino di pepe nero
  • ½ cucchiaino di semi di finocchio
  • 2 foglie di alloro
  • Un pizzico di zafferano
  • Diversi fili di zafferano
  • 1 piccola manciata di uvetta o datteri
 Procedimento
  1. Far bollire in un pentolino 75 ml (circa 1/3 di tazza) di vino e miele, mescolando spesso finché il miele non si sarà sciolto completamente.
  2. Ridurre a fuoco lento e aggiungere gli ingredienti rimanenti.
  3. Copri la padella e fai sobbollire per 10 minuti.
  4. Filtrare il composto in una brocca con un colino fine e un filtro per il caffè.
  5. Aggiungi il vino rimanente alla miscela filtrata.
  6. Servire freddo.
Pass the Garum. pass-the-garum.blogspot.com

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Der römer shop  Foto by Carole Raddato

Apicio: Ricetta del CONDITUM PARADOXUM con volgarizzamento del 1852.

Apicio: Ricetta del MULSUM con volgarizzamento e note del 1852.

Il Vin brulé

Vino cotto marchigiano

ABBINAMENTO CIBO-VINO

  Di Carole Raddato from FRANKFURT, Germany – BIVE VIVAS MULTIS ANNI, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=37878438 Di Carole Raddato from FRANKFURT, Germany – Conditum paradoxum – Ancient red wine from Apicius, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45976697
apicio vino antica roma Roemerwein_in_Speyer

Apicio: Ricetta del CONDITUM PARADOXUM con volgarizzamento del 1852.

La bottiglia di vino di Spira. La bottiglia di vino più antica al mondo risale all’epoca romana, più precisamente, al IV secolo d.C. (325-350 d.C.) ed è stata trovata nel 1867 in una tomba romana vicino alla città di Speyer, in Germania, da cui ha preso il nome.
Manoscritto di Apicio (ca 900 d.C.), monastero di Fulda in Germania, acquistato nel 1929 dall’Accademia di Medicina di New York.

File:Apicius Handschrift New York Academy of Medicine.jpg

Marcus Gavius Apiciius De re coquinaria Liber I –  Epimeles I.  CONDITUM PARADOXUM

1.1. CONDITI PARADOXI COMPOSITIO

Mellis pondo XV in aeneum vai mitluntur, praemissis vini sex tari is duobus, ut in coctura mellis vinum decoquas: quod igni lento, et aridis lignis calcfactum, commotum ferula dum coquitur, si effervere caeperit, Tini rore compescitur, praeter quod subtracto igni in se rediL Cum perfrixerit,rursus accendilur. Hoc secundo ac tertio fìat. Ac tum demum reraotum a foco postridie despuinatur. Tum addcs piperis uncias IV. jam tri tas, mastiche! scrupulos tres, folii et croci drachroas singulas, ductylorum ossibus lorridorum quinque, iisdemque daclylis vino mollitis, intercedente prius suffusione vini de suo modo ac numero, ut tritura lenis habeatur. Uis omnibus paratia, supermittcs vini settaria X V11I. Carbone» perfecto aderunt duo millia.

C. APICIO, delle vivande e condimenti ovvero DELL’ARTE DELLA CUCINA di Giambattista Baseggio- 1852- Volgarizzamento

(Vino) CONDITO MIRABILE

1.1. COMPOSIZIONE DEL CONDITO MIRABILE.

«Versa in vaso di bronzo quaranta once¹ di vino e quindici parti di miele, perchè cuocendo il mele il vino si scemi. Scalda a fuoco lento di legna ben secche e diguazza con bastoncello finché cuoce; che se leva il bollore, spruzza vino e fermalo; senzachè, a farlo posare, basta sottrargli il fuoco. Raffreddato che sia, riponilo al fuoco, e ciò per due e tre volte. Finalmente toltolo, nel dì vegnente lo schiuma.

•Quindi vi aggiungi quattro once di pepe trito, tre scropoli di mastice² un dramma di malabastro³ ed altrettanto di zafferano, cinque ossicelli torrefatti di datteri, e pure cinque datteri (i) ammollati nel vino tanto, quanto basti perchè riescano teneri a dovere. Compiuta la operazione, versavi trenta libbre di vino delicato. Consumati due mila carboni, la cottura sarà perfetta•»

•Quindi aggiungere 4 once di pepe, poco pistacchio, cannella e zafferano, cinque ossi di datteri arrostiti; trita cinque datteri che dal giorno precedente avrai posti nel vino per farli ammorbidire. Fatto ciò versa due litri circa di vino giovane. La cottura sarà perfetta quando avrai consumato circa un chilo e mezzo di carbone•

¹Un’oncia equivale a 28,35 grammi
Note del 1852:
²mastice: La resina prodotta dalla pianta nominata dal Linneo Pistacia Lentiscus (Pistacchio).
³malabastro: Bene considerato ciò che dice Plinio intorno il solium mi attengo al Bauhin: Pinax 4. Basileae 1671, e quindi ritengo che sieno le foglie della Cannella del Malabar, ossia del Laurus Cassia di Linneo (…)
Sestario: Antica misura di capacità romana corrispondente a un sesto del congio, cioè a 0,545 l. Accanto al s. romano esistevano numerosi s. provinciali derivati da misure locali. (Treccani.it/enciclopedia/sestario)
Mixtura cum Caseo, Formaggio a pasta molle con purea di erbe e Hapalos Artos, pane morbido
undefinedDi Carole Raddato from FRANKFURT, Germany – Mixtura cum Caseo (Soft Cheese with a Herb Purée) & Hapalos Artos (soft bread), CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=38328971 Bottiglia di Spira Di Immanuel Giel – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=19228090

Ricetta del Conditum Paradoxum (vino speziato) per i giorni nostri che si avvicina all’originale

Apicio: Ricetta del MULSUM con volgarizzamento e note del 1852.

I cibi afrodisiaci di Apicio nell’antica Roma

Moretum

Moretum, crema di formaggio alle erbe (con noci o pinoli) dell’antica Roma

Moretum by Carole Raddato from FRANKFURT, Germany

Il Moretum era un formaggio spalmabile alle erbe, con noci o pinoli, che gli antichi romani mangiavano con il pane. La variante con i pinoli era simile all’odierno pesto alla genovese. Pinoli e noci venivano pestati nel mortaio (moretarium: attrezzo per ottenere il moretum).

In epoca romana il Moretum venne descritto da Virgilio nel poema della Appendix Vergiliana: breve idillio di ispirazione campestre in cui viene descritto il risveglio di un contadino all’alba. Appena alzato si prepara, aiutato dalla schiava, una colazione rustica a base di formaggio, erbe ed aglio, che mangia con appetito. Terminato il pasto, si reca al lavoro.

Nel De Re Rustica di Columella, nel Libro XII, si trovano ulteriori ricette di moretum.

File:Moretum, Ingredients (14964548651).jpg

Ricetta di Carole Raddato
Ingredienti
  • 8 spicchi d’aglio,
  • 200 gr di formaggio (io ho usato la ricotta ma potete usare anche la feta),
  • 2 gambi di sedano con le foglie,
  • un mazzetto abbondante di foglie di prezzemolo,
  • un mazzetto abbondante di foglie di coriandolo,
  • 2 cucchiai di olio d’oliva,
  • 4 cucchiai di olio d’oliva con aceto di vino bianco,
  • sale di mare.
  • Noci o pinoli.

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Preparazione

Il moretum si ottiene pestando (mescolando a pressione) il sedano, il prezzemolo, il coriandolo con il sale, le noci o i pinoli e l’aglio, il tutto condito con il formaggio e l’olio extravergine di oliva. Si tratta quindi di una salsa a crudo, ovvero un composto nel quale gli ingredienti sono amalgamati a freddo, non cotti.

Moretum and Roman bread by Carole Raddato from FRANKFURT, Germany

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Garum o Liquamen, salsa milleusi dell’antica Roma, anche in versione moderna

Il pesto alla genovese per condire le Trenette

Pesto di rucola con noci o mandorle

Pesto trapanese

Ingredienti Moretum, Ingredients (14964548651).jpg [[File:Moretum, Ingredients (14964548651).jpg|Moretum,_Ingredients_(14964548651)]] Presentazione Moretum and Roman bread (14971169175).jpg [[File:Moretum and Roman bread (14971169175).jpg|Moretum_and_Roman_bread_(14971169175)]] Mortaio Moretum DSC 3294.jpg [[File:Moretum DSC 3294.jpg|Moretum_DSC_3294]]
Pettole pugliesi, frittelle rustiche o dolci

Pettole pugliesi, semplici o ripiene per San Martino

Mottole di Oria, Brindisi, Salento, Puglia
Le pèttole (pèttëlë in dialetto pugliese, mottole ad Oria (Br), zeppole in Irpinia, scorpelle a San Severo, pèttuli nel Brindisino, pìttule nel Leccese, pètt’l nel Materano, pèttule nel Potentino) sono pallottole di pasta lievitata molto morbida fritte nell’olio bollente, tipiche delle regioni Puglia, Campania e Basilicata.
Possono essere rustiche o dolci, semplici o ripiene, e spesso vengono usate in sostituzione del pane, oppure come antipasto. In tutte le varianti, si realizzano utilizzando farina, patata, lievito di birra, acqua e sale, ma ne esiste anche una versione più semplice che non prevede l’utilizzo della patata e comunque la pasta deve risultare piuttosto fluida per poterla versare nell’olio senza fare un panetto solido destinato ad inzupparsi di olio. La forma può essere quella della “pallottola” oppure di una ciambella, come è tradizione a Ferrandina, Bernalda, Salandra e Pomarico.

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Nella zona leccese del Salento la prima frittura avviene l’11 novembre, giorno in cui si celebrano San Martino e, secondo la tradizione, la fine del periodo di fermentazione del mosto che coincide quindi con l`arrivo sulle mense del vino nuovo o novello. È costume ancora molto praticato tra i leccesi, per l’occasione, festeggiare Santu Martinu ritrovandosi tra amici e parenti, preferibilmente nelle tipiche abitazioni di campagna normalmente preposte alla villeggiatura estiva. L`usanza locale prevede il consumo, oltre che delle pittule e del vino novello, anche di carni arrostite alla brace, particolarmente di cavallo e di maiale.

Ingredienti
  • 1 Kg di farina 00,
  • 1 bicchiere d’acqua tiepida con dentro sciolti 3 cucchiaini colmi di sale fino,
  • 1 bicchiere d’acqua tiepida con dentro sciolto 1 cubetto di lievito di birra,
  • 1 bicchiere scarso di latte tiepido,
  • 400 ml circa di acqua tiepida,
  • olio per friggere.
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Preparazione

Pettole pugliesi pittule

La preparazione con foto passo passo la trovi ” Nel  cuore dei sapori”

Leggi anche

A Foggia è usanza preparare l’impasto per le pettole dal primo mattino del 24 dicembre per friggerle e consumarle ancora calde verso mezzogiorno come “spuntino” in attesa del cenone della vigilia. Come variante c’è l’aggiunta di alici sott’olio (prima della frittura) o la preparazione di vere e proprie pizzette fritte da condire con pomodoro, basilico e pecorino. Alcune famiglie ripropongono le pettole la mattina del 31 dicembre. A Monte Sant’Angelo nell’impasto si aggiungono anche delle patate lesse affinché la pettola risulti essere più morbida.
A Brindisi, tradizione vuole che le pettole vengano preparate il 7 dicembre, ovvero il giorno della vigilia dell’Immacolata Concezione, per poi essere riproposte nel periodo natalizio. In molte altre località, la data di inizio della preparazione delle pettole è invece la festa dell’Immacolata Concezione, l’8 dicembre, infatti nel Salento tarantino e precisamente a Lizzano, c’è un proverbio che dice: Ti la Mmaculata la prima frizzulata, ti la Cannilora l’ultima frizzola, cioè: Nel giorno dell’Immacolata, la prima preparazione di pettole, nel giorno della Candelora, l’ultima.
Nella zona leccese del Salento la prima frittura avviene l’11 novembre, giorno in cui si celebrano San Martino e, secondo la tradizione, la fine del periodo di fermentazione del mosto che coincide quindi con l`arrivo sulle mense del vino nuovo o novello. È costume ancora molto praticato tra i leccesi, per l’occasione, festeggiare Santu Martinu ritrovandosi tra amici e parenti, preferibilmente nelle tipiche abitazioni di campagna normalmente preposte alla villeggiatura estiva. L`usanza locale prevede il consumo, oltre che delle pittule e del vino novello, anche di carni arrostite alla brace, particolarmente di cavallo e di maiale.
Nell’area di Taranto (in cui la tradizione della pettola è ancora molto sentita) si preparano nel giorno in cui si festeggia Santa Cecilia, il 22 novembre, e a seguire durante le festività natalizie. In alcuni comuni del sud-est barese, come Rutigliano è consuetudine prepararle il giorno di Santa Caterina, il 25 novembre. Si usa ancora prepararle recitando preghiere. La ricetta tipica usata a Taranto è quella che le vede cosparse di zucchero, ma anche di sale.
In altre zone della Regione è possibile degustarle ricoperte di vincotto o vincotto di fichi o miele, ma volendo si possono riempire con piccoli pezzi di baccalà lessato o di alice salata, oppure con un broccoletto di cavolo cotto a metà. Wikipedia
Pittule cu li fiuri ti cucuzza, pittule (o pettole) con i fiori di zucchina

File:Pittule cu li fiuri ti cucuzza.jpg

Pettole pugliesi, frittelle rustiche o dolci
Di Florixc (Opera propria) [GFDL (http://www.gnu.org/copyleft/fdl.html) o CC BY-SA 3.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0)], attraverso Wikimedia Commons
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Oca in porchetta per la festa di San Martino

Perché si mangia l’oca alla festa di San Martino?

 Oca in porchetta
è una preparazione tipica del periodo della mietitura e viene fatta nelle case di campagna utilizzando i forni a legna. Il grasso recuperato si utilizza per cucinare le patate al forno.
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L’oca viene accuratamente pulita, tagliata lungo la pancia e privata delle interiora. Vengono, quindi, rotte le ossa facendo attenzione a non rovinare la pelle che la ricopre.
Sempre all’interno praticare delle profonde incisure e introdurvi sale e pepe, finocchio selvatico¹ e spicchi di aglio interi in abbondanza. Cospargere l’interno dell’oca con molto lardo macinato.
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Lasciare riposare. Chiudere con un filo di refe e cuocere a forno caldo 200 gradi. Ogni tanto salare a piccole manciate e ungere con olio di oliva o lardo. Occorre sistemare vicino all’oca un recipiente con acqua avendo l’accortezza di non farla esaurire, ciò perchè il vapore dell’acqua lascerà cuocere la carne senza farla seccare.
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Quando l’oca è quasi cotta e l’acqua è completamente evaporata, rosolare e togliere dal fuoco. Eliminare gli aromi e servire caldo.
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Con il termine “porchettare” si intende un metodo di preparazione che prende spunto dalla “porchetta” propriamente detta e si applica ad altre carni come l’agnello, il coniglio. i pesci come la carpa. Di qui, il “coniglio porchettato” o “coniglio in porchetta”, la “carpa porchettata”.
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Come preparare la selvaggina da piuma (o da penna)

Come preparare la selvaggina da piuma (o da penna)

Frollatura e marinatura della selvaggina

Frollatura e marinatura della selvaggina prima della cottura

 

 

 

 

 

 

 

¹Il finocchio selvatico può essere sostituito con barbe di finocchio fresco normale o, fuori stagione, con un pizzico di semi di finocchio. Questo aroma, tipico della ricetta originale, può comunque essere eliminato da quanti non lo gradiscano.

Risultati migliori si avranno se si è in grado di far disossare il coniglio (solo la gabbia toracica: restano le ossa delle zampe): in tal caso aumentate il ripieno, impastando le carni con la mollica di un panino inzuppata nel latte e con 2 cucchiai di formaggio grana grattugiato. Ottimo accompagnamento per questo piatto è una purea di patate e spinaci o patate al forno cucinate nel grasso di cottura della carne.

Oca da 4 a 5 kg. per 6-8 persone. E’ grassa quindi è necessario togliere la pelle con un coltellino sottile, “sbucciare” l’oca e togliere il grasso sottocutaneo, farlo fondere con salvia e rosmarino e cuocere l’oca con il suo grasso, senza altri condimenti, se arrosto o al forno; oppure conservare il grasso (ottimo per i fritti), e lessare l’oca a pezzi. Sgrassata, sarà leggerissima.

oca porchetta Roasted_goose_St_Martin's_Day

Vino

Rosso Conero (Marche), Rosso Piceno Superiore (Marche), Teroldego Rotaliano (Trentino), Cabernette Sauvignon (Friuli), Schioppettino (Friuli), Aglianico (Basilicata), Sangiovese di Romagna.

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Stufato al vino bianco in salsa di prugne ed albicocchepane patate
   
Roasted goose St Martin’s Day.jpg [[File:Roasted goose St Martin’s Day.jpg|Roasted_goose_St_Martin’s_Day]] Christmas-goose-(Weihnachtsgans) 1.jpg[[File:Christmas-goose-(Weihnachtsgans) 1.jpg|Christmas-goose-(Weihnachtsgans)_1]]